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Les arts à la cour des papes

著者
Eugène Müntz
出版
1898年
引用サイト
Google Books

 1492. Le Landgrave de Hesse . — 1493. Ferdinand, plus tard roi de Naples . – 1497. Philippe d'Autriche , duc de Bourgogne. 1499. Louis XII . — 1501. Alphonse de Ferrare .
 Le lecteur va juger, d'après les documents tirés des Archives pontificales, dans quelle mesure cette nomenclature peut être agrandie.

 Les documents qui servent de base à ma liste ont paru dans mon article sur les Épées d'honneur (Revue de l'Art chrétien , 1890, p. 290-292) . Il m'a donc paru inutile de les reproduire ici à nouveau, Il ne sera pas hors de propos de constater que le type , si caractéristique, du « stocco benedetto » a été imité parfois dans les épées non bénites . Telle est la fameuse épée du duc Eberhard de Wurtemberg ( 1495 ), conservée au Musée des Antiquités de Stuttgart ( voy . Heideloff, Die Kunst des Mittelalters in Schwaben , p. 34, pl. X)

 En 1492 , l'épée est donnée au prince Frédéric d'Aragon ( Burchard , t . II , p . 26) .
 En 1493 , 196 ducats sont versés à Angelinus pour l'épée et 80 pour le chapeau . Cette épée est donnée à Ferdinand , plus tard roi de Naples.
 En 1494, Angelinus et Minichus de Sutri reçoivent 276 florins pour l'épée et « pro clippeo » . Le 6 mars de la même année, Alexandre VI envoie l'épée en question au roi Maximilien par son camerier , le D' Antonius Fabrègues.
 Pour l'année 1495 , Burchard mentionne bien l'envoi de l'épée , mais nous laisse ignorer à qui elle fut donnée ( t . II , p . 259) .
 En 1496, Alexandre VI se borne à donner une épée restaurée . Pour cette année encore, le destinataire de l'épée nous est inconnu .
 Au mois de janvier 1497 , l'épée est donnée à l'archiduc Philippe d'Autriche ( Burchard , t . II , p . 351 ) .
 La même année , au mois de décembre , Bogislas X, duc de Stettin , de Pomeranie, etc. , reçoit l'épée exécutée par Angelino ( Burchard , t . II , p . 423) . Cette épée existe encore : elle figure à Berlin , au Musée des Hohenzollern ( Palais Monbijou ). On en trouvera la gravure dans mon Histoire de l'Art pendant la Renaissance ( t . II , p . 242-243) , ainsi que dans le travail de M. J. Lessing, Die Schwerter des preussischen Krontresors (p . 19-25)
 L'année suivante , en 1498 ( et non en 1499, comme l'affirme Moroni) , le titulaire est Louis XII de France ( Burchard , t . II , p . 502-503) .
 En 1499 , le pape se contente de bénir l'épée et le chapeau et de les faire déposer, sans choisir de destinataire , dans le gardemeuble pontifical (Burchard, t . III , p . 1 , 2) .
 En 1501 , le nouveau mari de Lucrèce Borgia , Alphonse d’Este , reçoit l'épée ( Burchard , t . III , p . 179). L'orfèvre Angelino , de son côté, touche 249 ducats , 30 bolonais, pour fourniture de l'épée , du ceinturon et du béret.
 L'épée de 1500 (ou 1501 ) , ainsi que la rose , sont données à César Borgia ( Burchard, t . III , p . 18 ; lettre du 17 mai 1501 ) . M. Bonnaffé a publié, avec le commentaire que l'on était en droit d'attendre de son érudition , l'inventaire rédigė , le 12 mai 1514 , après la mort de Charlotte d'Albret, la veuve de César.

 Inventaire de la duchesse de Valentinois Charlotte d'Albret ; Paris, 1878, P. 53.

Malheureusement pour nous , on n'y trouve nulle mention de quelque joyau pouvant se ramener avec certitude au pontificat d'Alexandre VI .
 Une autre épée ayant appartenu à César Borgia, à poignée en or émaillé , se trouve aujourd'hui à Rome, en la possession du duc Caetani, tandis que le fourreau, en cuir, merveilleusement travaillé , appartient au Musée de South -Kensington.

 Voy. la monographie de M. Yriarte : Autour des Borgia. Paris , 1891 .

Alcuni ricordi di Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta

XI La spada del Duca Valentino

 A proposito di un ricevimento dato nel '56 o nel '57 - Alessandro Ademollo , geniale studioso di cose romane , pubblicò il seguente articolo che credo bene riportare qui , perché ci dà la storia della celebre spada di Cesare Borgia , il maggior tesoro di Casa Caetani .

 « Una sera di ricevimento in Casa Caetani si facevano i quadri plastici , allora di moda nel bel mondo come cosa nuova .
 Ebbe grande incontro fra gli altri un quadro raffigurante la Giustizia con la spada e con le bilancie . In quella figura di donna , che era la signorina di casa , quell'Ersilia Caetani che già si preparava a divenire una delle più colte gentildonne italiane , gli spettatori eruditi avrebbero potuto vedere ben altro che la giustizia , imperocché la spada che la fanciulla teneva nella mano era nientemeno che quella del Duca Valentino . Che dura vendetta faceva il caso delle stragi e delle confische che ai Caetani i Borgia fecero patire sul principio del secolo decimo sesto !
 Da quella sera in poi la spada del figlio di Papa Alessandro , per diverse ragioni curiose , fu nota in Italia e fuori , anche più che se l'avessero esposta in pubblico museo . Molti vollero vederla , alcuni s'invogliarono a scriverne e a rinracciarne la storia , ma alle prime ricerche in proposito , i sopracciò della erudizione romana rispondevano sempre con una notizia da far cascare le braccia . Il dottissimo Cancellieri poi ( affermava , duce agli altri , il Marchese Villarosa ) il dottissimo Cancellieri ha già detto tutto , illustrando la spada con somma erudizione nella sua lettera a Sebastiano Ciampi sulle spade celebri .
 Ansioso di dissetarmi con una buona dose di somma erudizione circa la spada del Valentino , cercai fra gli opuscoli del Cancellieri quello in discorso . Oh delusione ! La somma erudizione del dottissimo abate si restringe alle seguenti parole testuali : “ Il motto Aut Caesar – aut nihil – allusivo alle parole della sua impresa è inciso da ambe le parti della lama della sua spada , tutta arabescata ”.

 Ciò ricorda il famigerato capitolo del Horrebow sui Gufi in Islanda ... In Islanda non vi sono gufi !

 Questo è tutto , e siccome è pochino davvero , mi diedi a cercare qualcosa di più altrove .
 Chi cerca trova . Ed ecco le parole del Padre Agostino Cesaretti , che vide sicuro la spada famosa , e ne discorse nel 1788 in una sua storia del Principato di Piombino :
 La spada è singolare ; dopo il corso di più di tre secoli si vede tutt'ora una lama come se fosse uscita di fresco dalla sua tempra; damascata in oro , e vi è scolpita la strage degli Israeliti col motto : Cum nomine Caesaris – Amen. Nell'armatura leggesi : – Caesar Borgia , Cardinalis Valentinus. – Non contento di questa testimonianza , relativamente antica , ricorro ad uno scrittore d'oggidi , allo storico di Roma Gregorovius . Egli tratta la spada , a dir vero , con poco riguardo , e dal Cesaretti differisce anche in questo che la dice decorata d'incisioni relative a Cesare l'antico , e nel motto invece di Amen , legge Omen .
 Insomma , tre scrittori e tre lezioni diverse circa le figure e le parole incise sulla spada del Valentino . C'era tanto da prendere il cappello e lo presi difatti , ma per andare difilato a vederla cogli occhi miei . Il Gregorovius e il Cesaretti videro la spada ma non bene : il Cancellieri , che si scrocca la fama di averla illustrata con somma erudizione , non la vide mai né bene né male .
 L'unico che l'abbia veduta e seguiti a vederla compiutamente e benissimo è il Duca di Sermoneta , che malgrado la cecità sua , mi descrisse con le più minute indicazioni la spada , e mi aiutò a scoprire in diversi punti ciò che non mi era apparso dapprima .
 Je possède une pièce fort curieuse ; c'est l'épée de César Borgia Duc de Valentinois , qu'il fit travailler exprès avec des emblêmes faisant allusion à sa grandeur future et à son ambition .
 Il est superflu de vous conter comment , par quels détours , cette épée est tombée entre mes mains . – Je voulais en faire un présent lucratif au Pape , et selon mon usage , l'accompagner d'une dissertation erudite pour en illustrer les emblêmes » Così scriveva l'Abate Galiani dal quale ebbero la spada i Caetani , a Mad.me d'Epinay il 2 d'ottobre 1773. Ed è un vero peccato ch'egli non desse neanche principio alla dissertazione erudita ch'ei si proponeva di farne , e non fece , quando salito al pontificato Giovan Angelo Braschi ( Pio VI ) , dal Galiani chiamato in una sua lettera senza complimenti lacché , egli perdé la speranza di offrire a lui il dono , che doveva esser per curiosa antitesi un dono lucroso . Non pare che ne dimettesse mai intieramente il pensiero , imperocché il Ceseretti gli scrive da Padova il 20 ottobre 1787 : Mi sta sul cuore quella spada di Cesare Borgia . Voi fareste pure una bella cosa se voleste dettare a qualcuno le vostre curiose scoperte sulla storia di costui poco nota , quanto sugli emblemi della spada , che possano eccitare la curiosità degli eruditi più di qualche basso rilievo greco o romano . Se dopo questa dettatura vi compiaceste di spedirmela a Padova , mi fareste pure un prezioso regalo . Ma il Galiani morì due mesi dopo e il voto del Cesaretti rimase inesaudito .
 E anche il nostro lettore avrebbe ugual sorte se egli aspettasse di sapere con certezza da noi , d'onde venisse in mano dell'abate la spada del Valentino . Il Cesaretti che fu il primo a scriverne , dopo averne senza dubbio parlato col Galiani stesso , dice che pervenne in sua mano dal Duca di Monte Albano , al quale fu donata in Spagna , Monsignor Onorato Caetani nell'Elogio di Carlo III stampato a Napoli nel 1789 , nomina come possessore della spada nel 1759 il Duca di Montallegro , cioè quel consigliere Spagnuolo venuto a Napoli nel 1734 con Carlo III , del quale fu per lungo tempo primo Ministro .
 Forse il Cesaretti sbaglia nel nome , ed il suo Montalbano non è altro che il Montallegro.
 Il Gregorovius scrive che l'Abate Galiani portò quella spada di Spagna a Roma , ove la comprarono i Caetani .
 Queste tre cose affermando , sbaglia tre volte ; l'Abate non fu mai in Spagna ; quando la spada fu portata a Roma egli era morto da un pezzo , ed i Caetani non la comprarono ma l'ebbero per legato , oneroso , ma legato.

 Questo passo ricorda una citazione favorita del Duca : L'Academie française a défini l'écrevisse « un petit poisson rouge qui marche à reculons » - on demanda a Buffon son opinion de cette définition : – il répond que c'était très bien sauf trois erreurs : - L'ecrevisse n'était pas un poisson , n'était pas rouge , et ne marchait pas à reculons .

 E prima di venire a Roma , è probabile che la spada fosse a Napoli da tre secoli . Ivi difatti deve esser rimasta nel 1504 , quando il Duca Valentino fu preso a tradimento dal Gran Capitano ( 20 maggio ) , che lo tenne in prigione nonostante il salvacondotto del Re Ferdinando e della Regina Isabella , con grande infamia delle loro corone , per usare le parole di Luigi da Porto .
 E così la pensa il Duca di Sermoneta , vero e solo illustratore della spada , la quale è di per sé stessa una riprova della ragionevolezza di quest'opinione . Immaginatevi non già una spada di battaglia , ma uno spadone di cerimonia simile a quelle che portavano sulla spalla gli Svizzeri del Papa per rappresentare i sei Cantoni Cattolici .
 Cesare Borgia , che riconosceva la sua fortuna troppo seco adirata , stimò impossibile , e non cercò ricuperare dalle mani di Consalvo questo spadone di cui egli erasi servito , forse una volta sola da Cardinale , nell'incoronazione di Re Federigo . Anzi , chi sa che lo spadone non fosse fatto apposta per quella circostanza ?
 Ma adagio a ma ' passi ; narriamo e non tiriamo ad indovinare .
 Monsignor Onorato Caetani , fratello di Don Francesco , avo dell'attuale Duca Michelangelo di Sermoneta , era grande amatore di anticaglie . Sùbito che la spada del Duca Valentino , posseduta dall'Abate Galiani , venne , costui morto , in sua mano ; Monsignor Caetani pensò di collocarla nella Rocca di Sermoneta con analoga iscrizione illustrativa composta dal P. Massimiliano Gaetani d'Aragona de ' Duchi di Laurenzana , che scrisse in proposito al Cancellieri : ' Mi son visto in necessità di fare l'iscrizione sopra la spada del Valentino , troppo interessante per voi Caetani , contro de ' quali , come contro gli Orsini e i Colonnesi , quel mal uomo impugnò le armi , assediò Sermoneta , fece morire vari della famiglia . Questo monumento fu già dal signor Consiglier Galiani pattuito a prezzo di ducati 300 con Monsignor Caetani , ed in morte confermato il contratto , né Monsignore volendola per tanto prezzo , si destinava dal detto Galiani alla Sovrana delle Russie . Monsignore , amante delle antichità , risolutamente la vuole . Prego dunque V.S. a degnarsi di dare un'occhiata a questa iscrizione ' .
 L'iscrizione non fu fatta , perché la spada non fu altrimenti portata nella Rocca di Sermoneta , ma a Roma , nel palazzo del Duca Don Enrico Caetani . E fu bene . Così almeno essa , grazie alla cortesia dei possessori , può essere veduta ed esaminata da chi lo desideri , e , prima o poi , verrà qualche artista o qualche erudito che si accingerà a descriverla , a cui riesca di dichiarare gli emblemi e le figure , cose che non posso fare io , né alla meglio né alla peggio . Quel che posso tentare è una descrizione secca , secca ; una vera pagina d'inventario . Eccola :
 1. Nel tratto istoriato della lama lunga 1.25 e larga 0.083 all'elsa e 0.065 all'alto , nel punto ove comincia la damascatura vi sono da ambo le parti quattro scompartimenti con ogni sorta di arabeschi , di cifre , di emblemi , di leggende , di animali e di figure pressoché tutte nude . Nel primo scompartimento pare rappresentata una festa . Nel centro un globo con sopra un grand'uccello , e sotto un cavallo ventre à lerre e testa ritta . Da un lato un uomo che suona uno strumento a corda . Il campo è pieno di figure di donne , nude , s'intende .
 2. Nel centro un tabernacolo con una statua , ai lati le solite figurine , nude sempre più . Leggenda : – Fides prevalet armis .
 3. Un ovale in mezzo ad arabeschi nei quali campeggia da un lato un bove . Nell'ovale , due angiolini che hanno in mezzo una specie di caduceo , un'asta con due serpenti attorcigliativi attorno .
 4. Un trionfo . Nel sodo del carro le lettere :

D
C E S

 Leggenda : Bene merent [i?] .
 Dall'altra parte :
 1.Nel centro una statua sopra una base , nella quale si vedono lettere così disposte :

T Q I
S A
G

da un lato un piedistallo , con lettere :

A
M O
R

 Nel campo figure nude , una delle quali porta un'insegna composta di una tabellina quadra in cima ad un'asta .
 2. Cavalli e gente d'arme che traversavano un fiume . Leggenda : Jacta est alea.
 3. Ovale in campo rabescato . Nell'ovale un Monogramma . Pare una R intrecciata con altre lettere o segni ; ogni cosa chiuso in un gran C.
 4. Nel centro : un bove sopra una gran base nella quale si legge :

DOM
HOSTIA

 Nei lati , le solite figure ; alcune pare alimentino una fiamma , altre danzino . Leggenda : Cum numine Caesaris , omen.
 Da ambe le parti , nel punto ove la lama è ficcata nell'elsa , un rigo di lettere . Le prime dicono : Opus ; le altre son coperte dall'elsa , o indecifrabili , perché consunte o quasi sparite .Il Duca'di Sermoneta assicura averci letto : Herculeum.
 Da una parte dell'elsa , in una tabellina quinquangolare che finisce a punta :

CES. BORG
CAR VA
LE
N

in lettere d'argento, sottilissime, su smalto bleu . Dall'altra parte , nella simile tabellina , uno stemma sparito per metà. La metà che resta ha nel quarto superiore un bove in argento ; nell'inferiore non si vede che lo smalto ; larga striscia di verde che circonda un campo bleu .
 « Da ambe le parti della lama, nel punto dove comincia la damascatura , si vede un piccolissimo marchio, senza dubbio quello della fabbrica . Il Duca di Sermoneta dice che rappresenta un castello , e ne deduce che la lama venne di Spagna e precisamente dalla Castiglia . Quanto alla damascatura , l'opinione del Duca è che sia lavoro italiano, forse fatto a Roma, perché egli scorge nei quadrati la maniera della pittura di quel tempo rappresentata specialmente dal Pinturicchio , che fu il pittore della Corte borgiana.
 « Dire che cosa rappresentino i quadretti, spiegare i simboli e gli emblemi, mi par difficile assai . Credo che lo stesso Galiani ci avrebbe perso il suo tempo ed il suo latino . Il Cesaretti vi vide una strage degli Israeliti , ma stragi non ce ne sono . Le incisioni relative a Cesare l'antico, affermate dal Gregorvius, certamente non mancano, e l'ultima parola del motto recato è omen e non amen. · Dei motti ve ne sono diversi , da una parte e dall'altra, come abbiamo veduto ; ce ne manca uno bensí : quello che il Cancellieri assevera inciso da ambe le parti : Aut Caesar, aut nihil. - E poi fidatevi delle illustrazioni fatte con somma erudizione !
 « Prima di finire , a sgravio di coscienza , bisogna toccare leggermente anche la grave questione circa l'autenticità della spada . - Non mancano alcuni , e fra questi il Gregorovius, crediamo, i quali la stimano lavoro moderno e la giudicano una falsificazione per trappolar questo o quello . « L'Abate , è vero , dètte argomento a ' sospettosi quando scrivendo a Mad.me d'Epinay non disse verbo circa alla provenienza ; ma a dileguare questa accusa dovrebbe bastare , ci sembra, la prova che la spada fu posseduta da altri prima dell'Abate Galiani, prova fornita dal Cesaretti , da Monsignor Onorato Caetani , ed ora qui messa in luce . - La questione si restringe adunque ad un apprezzamento artistico . E chi ha avuto il piacere di sentire illustrare la spada dal Duca di Sermoneta non può non dare ragione a lui quando con giovanile ardore sostiene come , piuttosto che opera moderna, sarebbe facile dimostrare essere la spada anche piú antica del tempo in cui devesi ritenere che fosse stata pel Cardinale Cesare Borgia - Vescovo di Valenza , poi scardinalato Duca Valentino . »

 Un articolo molto interessante fu scritto sulla spada di Cesare Borgia da Yriarte, che mi disse anni dopo ch'essa gli aveva suggerito di fare delle ricerche sulla storia del Borgia .
 La fodera della spada in cuoio lavorato , è bellissima, e si trova fra i tesori del Museo di South Kensington . Mi è stato assicurato che è stata valutata a 4000 sterline, ossia centomila lire italiane .

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Bibliotechina Grassoccia: capricci e curiosità letterarie inedite o rare

編集者
Filippo OrlandoGiuseppe Baccini
発行
1887年
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1583年3月10日 ヴェネツィア

ベリザーリオ・ヴィンタからフランチェスコ1世・デ・メディチ宛書簡

 Serenis. mio sig. et Padrone unico. —— Alli 27 del passato scrissi di Fiorenza a V. A. quanto allora mi accadeva. Non potetti partirmi alli 29, come havevo disegnato, ma mi messi in viaggio il di di calende, et quella sera mi condussi a Firenzuola. L' altro di passai Bologna fuor delle mura su le 24 hore et passai alla prima hosteria fuor della porta sulla strada maestra della posta per Mantova, et di quivi il di seguente mi incamminai, seguitando il cammino ordinario della posta, verso Buonporto, et vi alloggiai. Et l'altro giorno, alli 4, mi condussi a San Benedetto, tenendo questo cammino come il più sicuro, più grato alli Mantovani, dove sarei stato manco osservato per esser frequentato quotidianamente, et per fuggir da Ferrara, conforme al comandamento di VA Et havendo con il Donati resoluto nel suo partire, che questo fusse il viaggio più coperto, trovai al Fo preparata una barca a mia requisitione, et imbarcatomi la mattina de' 5, fui, ma con vento contrario sempre, a Chioggia, alli VI a duo hore di notte, et quivi licentiata la barca del Po, et sodisfattola, sebbene quelli huomini havevano havuto ancho danari dai mantovani, et per il mangiare et per il dormire vi era ogni cosa provvisto, ma io descesi sempre in terra per amor delle donne, presi una chioggiotta con otto remi et me ne venni qui alli VII a 23 hore con fatica grande, essendoci guast il tempo con vento grecale gagliardo per prua, et una pioggia minuta come nevistio, et il mar grosso che ci fu forza buttar via tenda, et non ci bisognava meno che haver quelli VII huomini valenti et pratichi. Et se nelle altre giornate per terra non mi havesse favorito il bel tempo, siccome fece, stentavo qualche giorno d'avvantaggio a condurre queste donne et la lettiga, senza la quale questa fanciulla non ci giugneva viva, non essendo per nove anni o più uscita a pena d' una stanza, et cosi ha patito assai, et ha come perso l'appetito, non so se per troppa allegrezza di questa sua fortuna, o pur per troppo timore et vergogna, perchè in vero si vede che per natura et per educatione ella è costumatissima. Sopra l'acqua ell'ha ben fatto miracoli, perché l'ha tollerata senza fastidio, ma con la sua solita inappetenza sempre. Il Sig. Principe di Mantova era comparso qui la sera de' V et aspettava me alli VI, et perché soprastetti fino alli VII, per non mi esser partito alli 29, come ho detto, stava con sospetto che non mi fusse intervenuto qualche sinistro impedimento, si come era avvenuto alla barca dei servitori del sig. Carlo Gonzaga, che venendo dreto al Principe sola, et assai lontana dalle altre, fu, vicino alla Stellata, luogo del Sig. Duca di Ferrara, a suon d'archibusate fatta fermare et visitata dalli Farinelli , che pensavano che vi fusse l' argenteria, o pur cercavano di qualche loro inimico; et non vi havendo trovato nè l'uno, nè l'altra, lassorno seguitarle il suo viaggio senza farle altro danno. Quanto il viaggio m' è parso felice, tanto è stato infelice l'arrivo, poichè mandando un po' innanzi a veder di M. Guglielmo, et ad avvertirlo con la oircospettione che conveniva, della mia venuta ad alloggiar seco, trovai che boccheggiava, et alli VIII circa le 19 hore fini di spirare con mio dispiacere infinito, et. con gran disconcio et storpio per non haver qui puro uno con chi poter parlare et confidare, et perchè non havevo saputo nulla della sua infirmità, et però mi ero condotto a dirittura al suo alloggiamento. Giudicai per lo migliore if fermarmivi per non far di me maggior mostra et per non havere andare su camere locande, et alla balìa di Mons. Abbioso che governa tutta la casa, et a un suo cugino, per esser ricevuto in casa, et per haver la comodità delli arnesi, chè nel resto mi provveggo di ogni cosa da me, mi è slato forza il discoprire la mia persona con proteste di taciturnità, ma non il segreto, nè il fine della mia venuta. Bene è vero che uno astante di M . Guglielmo, giovane lucchese, come mi vidde, disse che io gli parevo il cav. Vinta, ma si fece San Piero arditamente, et per il cammino anchora, non pstante che io non habbia croce, et che havessi habbia croce, et che havessi mutato habito, non vi è stato postiere, nè hoste, poichè in dicennove volte son passati per quasi tutte queste bande, che non mi habbia conosciuto a mio dispetto, ma hanno creduto che io me ne vada in Alemagna, et la fanciulla la fussi figliuola del sig. Capitano Frearbergher. Subito arrivato mandai una poliza in mano propria al Secretano Donati, essendo la casa del sig. Duca di Mantova sul Canal grande, molto vicina a questo casino di Mons. Abbioso, che immediate se ne venne da me, et rimanemmo, che alle due hore di notte io me ne andassi in camera sua dove verrebbe il Principe ad abboccarsi meco, et così seguì la notte stessa delli VII, et alla sua presenza del Donati solo, doppo l' avergli baciato le mani et fattogli le raccomandationi et le offerte di VA et della Sereniss.a Granduchessa mia signora, gli dissi che due potentissime cagioni havevano mosso le Altezze Vostre a questo; che l'una era le novellate sparse da altri con tanta asseveratione et con tanta particolarità, che ben si conosceva, che havevano havuto per mira di farle credere, et che se ben l'Altezze Vostre si havevano immaginato, e s'immaginano più che mai, che ne fussino non solamente false, ma forse anche maligne, che si ritrovavano però in questa necessità per giustificatione del mondo et per quiete et discarico delle anime loro. Che se fusse piaciuto a Dio et al sig. Duca suo padre, che il primo accasamento che egli havesse concluso, fusse stato con l'A. V., che non saremmo hora in questa difficultà. Che l'altra cagione era l' affetionato et acceso desiderio che le Altezze Vostre havevano maggior che mai, di haver l'Altezza Sua per genero et per figliuolo, et che non restasse impedita una congiuntione cosi bella, anzi che si effettuasse con stabilimento di perpetuo et sincero amore; che sì come per questi respetti le Altezze Vostre ringratiavano l'A. Sua, che si fosse disposta a venir liberatamente a questa pruova, che così anche la pregavano al farla con quella ingenuità che ricercava il caso, et che meritava l'affetione et intentione con la quale loro havevano camminato sempre in tutto questo negotio. Et io anchora, che havevo questo peso su le spalle, humilmente lo supplicavo a far di maniera, con il proceder da quel Principe che egli è, che servendo fedelissimamente le Altezze Vostre, miei Patroni, sicome n'ero tenuto et resoluto, potessi anche servire l'Altezza sua con una diligente relatione d' una nuda ed aperta verità, ricordandole che ogni piccola omhra et sospetto guasterebbe il tutto. Risposemi al complimento di cortesia con parole affettuosissime et reverente verso l'una et l'altra delle Altezze Vostre, et al restante che egli, senza guardare al nulla, si era resoluto di venire a questa pruova per confonder li maligni et bugiardi, et per satisfare le Altezze Vostre et mostrar loro così tanto maggiormente quanto egli apprezzi di diventar loro, con sì gran legame, figliuolo et servitore, et che quanto alle chiarezze io non dubitassi che egli era cavaliero, et che aveva stimato sino ad hora, et voleva stimar sempre, l 'honore più che la vita, et che voleva che io vedessi et toccassi. Et poi si entrò in altri propositi di piacevolezza, et del viaggio, et ritiratosi solo solo alle sue stanze, io fui poi cavato per una scala segreta, et subito saltato in gondola mi ricondussi al mio alloggiamento, parendomi che più qui che in qualsivoglia altro luogo, che 'io habbia visto sino ad hora, siano pronte et accomodate le opportunità da negotiare et trattare nascosamente. La sera delli Vili il Sig. Principe, il sig. Carlo Gonzaga et il Donati vennono al mio alloggiamento, et volse il Principe che io andassi seco fuor di Venetia in gondola coperta; disse per addomesticarsi meco et per vedermi in viso meglio che non haveva fatto la prima volta al lume di candela, et con familiarità et libertà si ragionò di cose allegre, et mi volse poi rimettere in casa, dolendosi molto spesso della mala fama sparsagli contro ingiustamente, et mostrando sempre gran reverenza verso le Altezze Vostre et gran desiderio di restar congiunto con loro a dispetto dei maligni, ché questa parola usava egli; et a due hore della medesima notte delli VIll volse venire alla medesima compagnia a veder la giovane, et ne rimase molto sotisfatto, mostrando gran risentimento di volontà per assaltarla allhora, ma io non volsi, perché appunto alli V le havevano cominciato le sue purghe, et era anchora un po' dibattuta del viaggio. La sera de IX ritornò il Principe accompagnato nel medesimo mod a riveder la giovane, et sempre gli è piaciuta più, et fece forza, ma gentilmente, di haverla , et io non acconsentii respetto al giorno del venerdi, et perchè il paese durava anchora piovoso et lo reputavo nostro disvantaggio. Si è ferma la giornata per questa prossima notte, se il paese sarà rasciutto a bastanza, come si spera. M. Piero Galletti ha avuto una efemera, ma hoggi sta bene et tengo per fermo che non havrà altro, et respetto alla sua età mi sono ingegnato di dargli per viaggio quelli maggiori commodi che è stato possibile, nondimeno ha patito alquanto, ma potrà nel negotio far la parte sua molto bene. Il Principe mi par bello, di statura come la mia et maggiore, pieno di carnagione, di pelame biondo, et porta come mezza zazzera, et spunta hora un po' di lanugine di barba nella parte di sopra alla bocca, et in tutta la persona è tutto proportionato et agile, per quello che ho possuto osservare sino ad hora, et se le parti occulte et la pruova corrisponderanno all' apparenza di fuore, io per me credo che VA ne rimarrà satisfattissima. Dimostra una libera ingenuità di procedere in ogni conto, veste volentieri alla franzese, et dilettandosi infinatemente della caccia, et massime di porci cinghiali, mi ha detto che gli pare ogni hora mille anni di venire alle caccie di Toscana, parlando sempre del parentado come di cosa fatta, et della pruova, come che egli non ci habbia un dubbio al mondo. L'alloggiamento che io ho, per la sicurezza della pruova mi pare al propositissimo, havendo io fatta camera di una saletta che ci è, dove dormo et mangio io, et nella camera che ha detta saletta, et che non vi si può entrare d' altrove, sta la giovane. Attaccato a detta camera è uno andare di legname che serve di terrazzino, et cammina verso il canal grande, donde si potrebbe dalla casa vicina entrar facilmente, ma ci è cosi buona porta nella camera stessa, et con si buon serrame et chiave di drento in camera, che sta sempre appresso di me, che non ci ho timore alcuno. Ha poi detta camera due finestre, che oltre che hanno buon serrarne di drento et confitto, et da aprirsi difficilmente senza strepito che io non sentissi, poiché starò sempre custode nella saletta all'uscio della camera, et la camera è piccola. Farò anche in quelle ore passeggiare a piè di dette finestre il capitano Augustino Digni, servitore di VA et da fidarsene, havendolo io menato meco per ogni buon respetto, et certo lo trovo discreto, accorto et da fatti, et cosi custodirà non solo le finestre, ma per maggiore cautela anchora terrà d'occhio al terrazzino. Mi ha detto il Principe che il Sig. Vittorio è stato da lui, e che haveva voluto , n' propositi che gli haveva tocchi, mostrar di haver notitia di tutta questa pratica, et che fra le altre cose disse, che verrebbe qua presto un huomo di V. A.; ma non gli ha saputo mai nominar chi. Repliai sopra di questo, che dalla parte di Vostre Altezze non si haveva potuto usar secretezza maggiore, et che la serenissiama Granduchessa mia Signora per questo respetto non mi haveva voluto né lettere, né commissioni non solo per il Sig. Vittorio, ma neanche per il Sig. suo Padre, et che spesse volte o si ostina alle cose con l' immaginatione et discorso, o si mostra artifitiosamente d'havere qualche notitia per allettare altrui a palesare il tutto.
 M. Livio Collini il di doppo il mio arrivo venne per visitare M. Guglielmo, ma non penetrò nelle mie stanze, che stavano ben serrate, et mi hanno detto questi di Monsignore che domandò se ci erano arrivati forestieri, et che gli fu risposto, che Monsignore haveva indirizzati al casino alcuni gentilhuomini fiorentini con donne, che andavano a sollazzo, et che non cercò altro, ne mai più poi ci s' è visto raggiratisi. M. Guglielmo è morto santamente, et haveva qui l' amore et la gratia d' ognuno, et si faceva molto pratico et valente, non risparmiando alcuna fatica per servir bene VA Lo sconsolato suo padre, il quale però non mi ha visto, venne in tempo di accompagnarlo alla sepoltura. Riscontrerò quei libri del Militia con lo Inventario e poi farò ammagliare et sigillare le casse et consegnarle al procaccio. Et vederò anche le scritture di M. Guglielmo, et si serreranno et sigilleranno in una cassetta che si lasserà in mano di M. Aurelio Abbioso, cugino di Mons., portando però meco, se vi sarà alcuna cosa di qualche importanza, et questo Sig. Aurelio, in sede vacante, haverà la cura di tutte le lettere, et scriverà quello che potrà, mostrando d'essere uno huomo dabbene et savio, et nel mio ritorno ragguaglierò VA minutamente, et humilissimamente inchinandome le prego sempre felicità. Da Venetia alli X di marzo 1583.
Fedeliss. et Obbl. Servo
Belisario Vinta

Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica

発行
1844年
出版社
Tipografia Emiliana
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 Cesare Borgia duca Valentino, partitosi dallo stato di Milano occupato dai francesi, con trecento lancie sotto il comando d' Ivone Allegri o Allegrè, quattro mila svizzeri sotto il bali di Digiuno, ed altre genti componenti un esercito di dieci mila fanti e tre mila cavalli, venne in Romagna, ove per la prima assediò Imola, la quale per le dispari forze presto si rese, e la fortezza rovinata dalle artiglierie si diede, salve le persone e le robe, al Valentino. La caduta di questa piazza trasse seco quella delle altre da essa dipendenti, per cui Caterina che in Firenze avea già posti in sicuro gli altri figli e gli effetti più preziosi, mandò colà anche Ottaviano, ed ella ritiratasi nella rocca, lasciò il conte Alessandro Sforza (suo fratello ed uno de' naturali di Galeazzo Maria Sforza) ad intendersela coi cittadini, ed a scuoprirne l'ultima loro intenzione, capo de' quali era allora Nicolò Tornielli. Questi alla presenza degli anziani e principali della città descrisse i sproporzionati mezzi di difesa della città contro nemico sì poderoso, sebbene si avesse coraggio di tentar l' estremo di loro forze per serbar il dominio in potere de'Riari ; nè fidarsi delle soldatesche, sì perchè composte di molti francesi, sì per aver altri contrastato col popolo per la loro militare licenza, e che faceva d'uopo consultare anche il consiglio de' quaranta. Alessandro riferì tutto a Caterina, che ben comprese non potersi sostener la città, per cui volse l'animo a custodire la sola fortezza di Ravaldino. Intanto i cittadini si decisero per la volontaria dedizione ed inviarono al Valentino il vescovo Asti e Giovanni dalle Selle, e il duca ne fece prendere possesso in suo nome da Ercole Bentivogli, Achille Tiberti da Cesena, e Bernardino di Ghia imolese con alquanti cavalli. Ad annunzio di tal sorta Caterina prese a bersagliare la città non l' artiglierie ; quindi a' 17 decembre 1499 Cesare Borgia preceduto dall' esercito entrò in Forlì per la porta s. Pietro. Era armato e cavalcava generoso destriero, una gran piuma candida gli sormontava la berretta; stringeva nella destra sguainato lo stocco, ed uno il precedeva col vessillo spiegato della Chiesa. L' armata venne ripartita per la città con grave incomodo de' cittadini, ed egli prese alloggio in casa di Luffo Numai.
 Prontamente incominciarono le soverchierie de' soldati, saccheggian do le botteghe intorno alla piazza, e distruggendosi dai francesi attorno alla Crocetta le memorie del trionfo contro di essi riportato verso la fine del secolo XIII. Molti cittadini furono maltrattati, tutti disarmati, e presa la rocca di Schiavonia il Valentino si accinse a battere l' altra, non essendo giovate le lusinge colle quali aveva invitato Caterina a cederla, lusinghe che non meritavano fidanza per la nota mala fede di quel fortunato duca. Piantò sulla chiesa di san Giovanni Battista una batteria di sette cannoni e dieci falconetti contro il Revellino del Paradiso, ma non se ne fece uso, succedendo una sospensione d' armi. Entrato l'anno 1500 il Valentino fece piantare altra batteria contro la cortina del

Römische Quartalschrift für christliche
Altertumskunde und Kirchengeschichte

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Raphael Brandounus Lippus

IV
1500 Septembris 13 Romae.
Manfredo de Manfredis Caesaris Valentini Borgiae narrat flagitia atque ejus saeculi infelicitatem deplorat. — Facunda sane et luculenta.

Manfredo de Manfredis

 Ruimus Manfrede mi, ruimus plane omnes. Non enim modo nobis augendae dignitatis, sed ne salutis quidem retinendae spes ulla est: ita sunt humana divinaque jura omnia ab iis eversa, a quibus erigi potius ac sustineri debuissent. Rapiuntur hic virgines prostituuntur matronae, subripiuntur sacra, diripiuntur aedes, deturbantur passim in Tyberim homines, diu noctuque trucidantur impune. Superiori anno puella genere Portia nocte intempesta a parentum complexu divulsa est; a quibus fortasse inquies ? ab intimis Pontificis familiaribus, qui sibi nìhil non licere arbitrantur. Matronarum infinitus est prostitutarum numerus. Quid de sacris dicam? Paucis ante mensibus ab ipsa divi Petri aede Lateranensique templo non aurei modo calices, sed et pretiosissima altarium ornamenta sublata sunt. In Urbe complures negociatorum merces itemque foris permulta locupletum civium pecora a predatoribus violenter abacta et impune quidem. Paucis ante diebus in puteum quis dejectus noctu; cum primum illuxit, semianimis ad putei fastigium emersit, quod ob exiguam forte putei aquam demergi non potuit. Is postea novisse se dixit eos, a quibus noctu praecipitatus fuerat. Nudius tertius viri duo, verum alter altero illustrior, interdiu interempti sunt; eorum alter Lucas cognomento Dulcius, Dominici Ruvere Cardinalis Sancti Clementis a cubiculo primus, Alfonsus alter Aragonius Federici Neapolitani regis nepos, Pontificis gener, quandoquidem Pontificibus nostra hac tempestate generos deligere fas est. Nunc de Luca, mox de Alfonso, ob quem praecipue inflammatus haec ad te scribo. Equitabat, ut aulicorum mos est, per Urbem Lucas, jamque ab Hadriani Mole recta ad Floram pervenerat, cum non longe ab ea domo, quam Cardinalis Medices habitarat, a personatis duobus, equite uno, pedite altero, districtis ensibus interceptus est atque in fugam actus. Is, ubi cursum eorum superare nequiret, quod tum forte mula vehebatur in pontificia via praeventus atque oppressus extitit, uno tantum ad femur accepto vulnere, quod sane fuit ejusmodi, ut ad praecordia penetrarit intestinaque omnia patefecerit. Sicarios ingens hominum multitudo ad eam usque domum est persecuta, unde Lucam invaserant, at sese illi tuto jam intra domus penetralia abdiderant; possidetur ea nunc ab Joanne Borgia, Montis regalis Cardinale. Vetustissimum Cardinalium privilegium probe nosti, ut qui ad eorum aedes homicidae confugerint, a magistratibus eo ipso casu exempti sint. Ille autem infelix semivivus e mula descendit, suis ipse manibus intestina recondit, Dominici cognomento Maximi civis Romani domum ingreditur ibique moribundus procumbit. Conveniunt amici, qui facinoris atrocitatem audierant; agnoscit omnes, dexteram jungit, vitae spem nullam esse adfirmat, sacerdotem acciri jubet, criminumque lapsus omnes, ut Christianum decet hominem, confitetur, dictaque suppliciter omnium culpa, animam efflat. Non dicam nunc parricidarum quae suspitio sit, alio jamdudum festinat epistola. Ad Alfonsum venio, cujus quidem jactura mihi dolori stuporique omnibus fuit, usque adeo, ut illum neque ego verbis exponere, nec tu animo satis amplecti queas. Acceperat infelix hic adulescens multis ante diebus, cum a visendo Pontifice noctu domum se reciperet, tria gravissima vulnera; ignorabantur tanti facinoris conscii; plaerisque Caesar Valentinus Borgia summa dominandi libidine suspectus erat. Cum Pontifex, ut est hominum omnium versutissimus, sive ad tollendam tanti facinoris suspitionem, sive ad majorem potius benevolentiam genero significandam, saucium ad se deferri jubet, haud procul a cubiculo suo collocat, medicos undique valentissimos acciri mandat, nec eos modo, quibus in Urbe primariis utebatur ipse, sed et qui proxima oppida vicinasque provincias incolebant, si qui prae caeteris excellebant. Misere Columnenses medicum praestantem sane atque eruditum, ut se omnium regulorum erga Pontificem deditissimos declararent. Misit et Federicus Neapolitanorum rex, partim egregia erga nepotem pietate, partim summi doloris attestatione, partim Pontificis ratione adductus medicos duos, physicum alterum, Clementem nomine, ingenio, doctrina, gratia, fortuna caeteris clariorem, chirurgiae peritissimum alterum, Galenum appellatum, cui nil arduum videretur. Sed profecto medicorum omnium peritia nec quicquam prodest, ubi certa maturi fati dies advenit aut exitialis improborum vis ingruit. Medicorum consilio deligata jam vulnera fuerant, erat sine febri, dolore vel nullo vel certo minimo, cum conjuge una cum sorore, cum privatis familiaribus in cubiculo jocabundus Alfonsus, ut debilitatum aegritudine corpus reficeret, cum Michelottus, Caesaris Valentini minister improbissimus idemque ejus praesidii praefectus, cubiculum, in quo Alfonsus cum paucis erat, irrumpit, Alfonsi avunculum atque una regium Oratorem corripit eosque, revinctis arcte post tergum manibus, armatis, qui pro foribus erant, in carcerem conjiciendos tradit. At Lucretia Alfonsi uxor et Sanctia soror, novitatom rei magnitudinemque admiratae, Michelottum muliebriter objurgant: siccine illum tam grave facinus in earum oculis atque Alfonsi aspectu ausum fuisse? Excusat ille se quo potest verborum lenocinio: obtemperandum sibi alienae voluntati, alieno sibi nutu vivendum esse; caeterum illae, si volunt, Pontificem adeant, captivos esse facillime impetraturas. Conveniunt in unum ambae, iracundia ac pietate simul adductae: Pontificem adeunt, captivos deposcunt. Interea Michelottus, sceleratorum improbissimus, improborum sceleratissimus, Alfonsum tale secum facinus evolventem atque indignantem suffocat. Redeunt a Pontifice mulieres, armatos ad cubiculi fores inveniunt, qui eas aditu prohibent et Alfonsum periisse denuntiant. Confinxerat enim neque veram neque verisimilem fallaciam tanti facinoris artifex Michelottus, Alfonsum periculi magnitudine consternatum, quod homines affinitate sibi et benevolentia conjunctissimos, jure ne an injuria, eripi a se conspexisset, exanimatum in terram decidisse atque ex eo vulnere, quod capiti inflictum fuerat, large sanguinem effluxisse sicque illum efflasse animam. Mulieres indignissimo casu perterritae, metu perculsae, dolore consternatae, vociferatione, plangore ac foemineo ululatu domum complent; haec virum clamat, haec fratrem, nec lacrymis finem faciunt. Sepultus est miserrimus adulescens sine ulla exsequiarum pompa nocte intempesta in divi Petri templo intra sacellum Calisto III Pontifici dedicatum. Quaeris fortasse, et quis fuerit parricidii author, et quam maxime ob causam Pontificis gener interemptus sit; facinoris authorem supprimo, suspitionem aperio. Ajunt plerique, ut a captivis postea compertum est, Alfonsum, Neapolitanis quibusdam ascitis, in Pontificis atque ejus fllii necem conjurasse, idque cum antea saepe fuisse molitum, tum vero maxime acceptis paulo ante vulneribus. Verum enimvero quis adulescentem peregrinum sine armis, sine ullo denique praesidio, contra Pontificem atque ejus filium, rerum dominos, multis copiis, maximo comitatu praesidioque circumseptos conjurasse existimet? Nemo, cui pensi quicquam sit, hoc facile credat. Sedenim, sive id ipsum fuerit, quod Borgiadae omnes adfirmant, sive quod Caesar Valentinus eam dirimere necessitudinem voluerit, quae inter Neapolitanum regem atque Pontificem summa erat, tam nefando parricidio, ut Gallorum factionibus, quibus propter affinitatem paulo ante initam maximopere studet, seque suosque omnes adjungeret, sive quod aliqua inter eos simultas ignota caeteris odia nutriebat, sive quod Pontifex una cum filio, novandarum in Italia rerum cupidissimus sit, quaecumque hujusmodi crudelissimae necis causa fuerit, mihi satis comperta non est. Illum certe regulum, Pontificis generum, regis filium, regis fratrem, regis nepotem, potentissimi denique Hispaniarum regis propinquum, Romae in ipsis soceri aedibus, in aula prope Pontificia, non longe a Pontificis oculis, quodque teterrimum est, a ontificis stipatoribus interdiu constat interfectum fuisse. Et quis Romae vivat? Et quis Urbem exoptet? Nemo equidem, sive hic nobilis, sive ignobilis sit. Nobilem ipsa nobilitas cruciat ac nominis amplitudo; ignobilem ipsa tenuitas obscurat ac deprimit. Divesne an pauper Romae degat? Neuter profecto. Illum divitiae pessumdant periculisque objiciunt saepenumero; hunc paupertas torquet assidue atque exanimat. Erimus itaque, Manfrede mi suavissime, nostra hac mediocri sorte contenti eaque laetissime perfruemur; et quando rempublicam prope ruentem sustinere ac tueri qui possit minime vult, qui velit minime potest, incolumitati nostrae, quantum fieri poterit, consulemus. Vale. Romae, XIII Septembris M. D.

Ragguagli sulla vita
e sulle opere di Marin Sanuto

著者
Jacopo Vincenzo Foscarini
初版
1837年
出版社
Alvisopoli
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 Il Sanuto si presenta come lo Scott degli Storici; compiacendosi come Sir Walter delle giostre, delle feste, e delle narrazioni piacevoli, e di dolce pietà. La bravura del romanziere consiste in una imitazione del vero, e una delle prime leggi inculca questa verità, cioè, che i dettagli i più minuti si sanzionano colla bacchetta magica del tempo, ma tali si cercano in vano nelle pagine degli Autori contemporanei, ed i Compilatori che non sono nè storici, né romanzieri non possono trovarne, e non sanno bene inventarne; ma di questi Marin ne abbonda, e come prova, copio qui un passo spettante al rapimento d'una bellissima donna mantovana del principio del secolo decimo sesto, la di cui scomparsa fu attribuita a quello spagnuolo celeberrimo Cesare Borgia; e per ispiegare l'interesse preso dalla Repubblica in questo scandolo osserverò che il marito della Caracciolo era capitianio delle infanterie della Repubblica; ed ella veniva da Urbino per trovare il marito in Gradisca. Vol. 3, f. 1033. " Adi 19 fevrer A. D. 1501, in Colegio.

 Collegio. È il canale per cui s'introducono al Senato tutti gli affari più importanti. In esso convengono i Consiglieri, i capi della Quarantia Criminale, i Savj grandi, i Savj di terra-ferma, e i Savj degli Ordini, i quali tutti formano il pien Collegio. Qui leggonsi lettere pubbliche, si ascoltano Ambasciatori, e si decidono diverse cause di pubblico interesse. I Consiglieri e i Capi di Quaranta con titolo di Serenissima Signoria spediscono altre cause di Delegazioni civili tra particolari". Estratto dalla Cronaca Sacra e Profana.

Di Cervia

 Cervia città della Romagna sotto il potere della Repubblica, ove risiedeva un Podestà Patrizio Veneto. Cessò di appartenere al Veneto Dominio dall'epoca della Lega di Cambray.

dil Podestà di 17, come a aviso quelli feno il delicto quella note (del 14 febraro 1501) cavalchono come dispersi, e trovò uno nostro contadin a piedi, qual li fo la guida; erano cavali 10, ben in hordine, con balestri e zaneti armati e ben a cavallo, et erano do done che molto si battevano e lamenlavono, scapigliate di l'horo capelli e aveva con l'horo cavalli 4, et una mulla senza alcuno suso, et si feno guidar a Galiano, mia do di Cesena, in casa di Nicoluzo di Galiano homo di villa, e li butò zoso la porta e feno schavalcar la dona meza aberata; fe far focho e aparechiò da cena. Lei dimandava dove mi menevi risposeno non zerchate, sete in bone mano, et in migliore anderete, dove con summo desiderio seti aspettata. Lei diceva chi è costui? rispondevano: basti Madona, non cerchate altro, e la se mangiar con pianti e gemiti assai. Lei non voleva manzar, la minazarono, e li foforza tolesse uno ovo, poi so posto a dormir con la compagna sua, e quella dona moglie del contadin; e la dona (la Caracciolo) non so maculata in quella note. La matina fato giorno, montorio a cavalo con cavalli 8, do erano partiti la note; e menò via la mulla dòve lei cavalchava, e andono con una guida nuova, qual fo el vilan, et alozono ala volta di Franpuolo via va a Forlì.

 Fra Cesena e Forlì pare che fosse questo luogo; almeno la Caracciolo fu rapita tra i confini del porlo Cesenatico e Cervia (Ved Marin Sanuto Diari in data del 16 febraro 1501); ma non trovo il luogo citato nelle carte della Romagna; forse coll'andar di tre secoli avrà cambiato di nome, o perduta la esistenza.

Et dice erano tutti Spagnuoli, e dice il villano li disse: sono spagnuoli dil Ducha, e li mostrò uno col dedo, dicendo e grande apresso il Ducha, e stava a Cesena, si che la cossa è marza".
 Poi la accoglienza fatta da Cesare Borgia in Imola al Secretario del Consiglio di Dieci ed all'Ambasciatore francese, spediti tutti due da Venezia per far la reclamazione della bella mantovana, la mostra delle camicie lavorate della sua mano, l'assicurazione del Duca al Manenti, che le belle della Romagna non si erano mostrate tanto crudeli per necessitare tali violenze, la sua posizione alla pergola, sono tutti dettagli che conciliano sede, e ci rendono per quasi dire presenti in Imola al Lever di questo Duca della Romagna.
 "Vol. 3, A. D. 15o 1. f. 1 o39, adi 24 sevrer. In colegio vene l'Orator di Franza ritornato dal Duca Valentimo etc.: za erra venuto questa matina, qual veneno insieme Alvise Manenti secretario nostro. et dito orator; reseri sapientissime quello a facto a Imola, e prima, come scrisse a monsignor di Trans, poi zonto a Ravenna andò a Imola, se scontrò nel Manenti secretario, lo feritornar, trovò monsignor di Alegra capitano, e il Manenti andò dal Ducha, et altamente si dolse dil inzuria fata al Roy e ala Signoria dil rapto della dona dil capitanio dile fanterie, dicendo: non doveva farlo, pregando per il meglio volesse restituir la dona.
 "Esso Ducha si scusò con parole grandissime, zurando nulla sapeva, nè mai l'aria fato, e la gran obligation ala Signoria nostra; bene è vero à saputo il caso seguito, et par, sia stato uno Diego Ramyres hyspano capitano suo di 3oo fanti, qual stete col ducha di Urbin, et era innamorato in ditta dona ch'è mantoama, e li mostrò certe camise lavorate, lei li havia donate, et questo Carlevar erano stati in solazi a Urbin; el qual Diego, e dove sia, nol sa; ma à scrito per tutto, e a Roma, e in le sue tere, si asecuri di star, et lo vuol piar, e far una gram justicia di lui, et quando ben havesse la dona, non la daria senza far taliusticia, scusandosi assai etc. etc."

Memorie istoriche di Rimino e de' suoi signori: ad illustrare la zecca e la moneta riminese

著者
Francesco Gaetano Battaglini
初版
1789年
出版社
Lelio dal Volpe
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 Et sic quod ad ipsos Žannem Guillielmum & Malgaritam fuerit & sit finita ejus tutela, il detto Zanne stato tutore avendo chiesto, secondo lo statuto di Rimino, a Francesco Migliorati di Cremona, giudice delle cause civili del Comune, che fosse destinato un curatore a rivedere l'amministrazione da sè tenuta, ed effendo tutto ciò efeguito, ne riporta fine, e quietanza. Dal qual documento e mi sembra aversene a conchiudere un fallo del correttore del Parti, il qual è di tal forte, che quello stesso Gianni di Malatestino, rinnovato di case nella contrada di San Tommaso nel 1352, é morto e a dire del Clementini, prima del 1358. venga immedesimato con altro Gianni, o Zanne, nato da Malatesta suo figliuolo, e da Agnesina de' Faitani parecchi anni più tardi.
 Ora da queito Gianni, e da Lucrezia di Galeotto de ' Malatesti, discendente da Giovanni il zoppo, nacque Giovanni, quello, che Governatore in Cesena nel 1431, quando da Giovanni di Lamberto fu suscitata la ribellione contro i Signori di Rimino dal popolo sollevato, che fi mostrava zelante pe' suoi legittimi Signori, fu altretto a chiuders in rocca ; e conosciuta poi la fedeltà sua fu dallo stesso Galeotto Roberto Signor di Rimino spedito á Fano per calmare alcro simile sollevamento. Furono in fomma quefti Signori di Sogliano oltre modo cari a ' Signori di Rimino, Gianni il padre fu uno de' primi destinati da Sigismondo Pandolfo a reggere il baldachino nel ricevimento, ch' ei fece in Rimino nel 1433. a Sigismondo Imperatore, il quale da Giovanni, e Malatesta, figliuoli di Gianni, fu accompagnato sino al Cesenatico, e là servito la notte al luogo detto la Boscabella nella lor villa di Villalta. Vivca Gianni ancora nel 1437. addi is. di Luglio, quando, secondo i rogiti di Francesco Paponi, ottenne da Sigismondo Pandolfo, e Malatesta novello, Signori di Rimino, in perpetuo governo per sè, e figliuoli, e nepoti maschi legittimi, e naturali Caftrum Tornani & Serre cum suis jurisdictionibus ac mero & mixto imperio & gladii poteftate G omnibus pertinentiis ; quod caftrum pofitum eft in provincia Montisferetri quibus caftris Tornani 6 Serre latera funt versus Or. curia castri montisfloris, verf. mer. curie caftrorum Malje Manentium & Talamelli, versus feptem. curie castrorum rontugnani 6 Savignani Provincie Montisferetri, versus acc. curie castrorum Talamelli G Perticarie, perchè viceversa Magnificus Zannes promifit fe fuosque filios G nepotes effe bonos & fideles recommendatos ipsorum DD. de Malatestis. Che anzi nel giorno stesso Sigismondo Pandolfo, a nome ancora del fratello, dedit & alignavit in dotem & nomine doris Spectabili viro Jobanni Zannis de Malatestis de Sogliano pro se suisque filiis & nepotibus legiptimis & naturalibus Masculini sexus tantum ex caufa matrimonii contracti inter ipsum Johannem & nob. dňam dňam Imperiam magnifici viri Alberici de Brancaleonibus de castro durante ad regendum & gubernandum Castrum sci Martini in Converseto cum sua curia in provincia Romandiole Vicariatu fci Archangeli cui latera versus Or. curia caftri burgorum, versus m. curia castri S. Jobannis in Gallinea, versus S. curia castri Roncofrigidi, versus Oc. curia castri Sogliani. Item caftrum Pondi cum ejus curia quod nullius existit diecefis in valle Galliade de jure enfiteotico Monasterii S. Illarij de Galliada, cui latera versus Or. curia caftri Spinelli custri Coline, versus m. curia castri Valbone, versus oc. curia castri fce foffie, versusS. curia caftri Planeti, salvo vicariatusemper ipforum DD. de Malatestis. La qual notizia fece forse scrivere al Clementini, che nel 1438. Sigismondo maritò Imperia figliuola di Almerigo Brancaleoni da Castel- Durante Cittadino Riminese a Giovanni di Zanne de Malatesti Conte di Sogliano, a cui diede in dote li castelli di S. Martino in Converseto e di Pondo. Ma li ha a tenere, che quel matrimonio non seguiffe di fatto, e che Giovanni fi prendeffe poi ia moglie Isabella di Luchino de ' Visconti di Milano, e la Brancaleoni s'accasasse con Antonio di Francesco di Candulsino da Urbino. Tanto ne accenna un atto di Sante d'Andrea da Seravalle nel nostro Archivio, per cui nel 1455. addì 12. di Giugno Magnifica venerabilis ó generosa Dña Dña Isabella nata qñ magnifici & spectabilis Militis dñi Luchini de Visecomitibus de Mediolano G qr confors magnifici viri Johannis de Malatestis de Sogliano donavit magnifice & generose Dñe Dñe Jobanne nate qñ magnifici viri Alberici de Brancaleonibus & mihi notario recipienti nomine & vice magnifice generoje Dře Date imperie om diéti Magn. Alberici ac conforlis Mugnifici viri Antonij irincisci Canilulfini de Urbibino omnia jura que hattie polit in pagis retentis per Illinum Dominium Venetorum de decem millibus ducatis exiftentibus in monte o camera imprestitorum difti Illői Dominij sibi relictorum per dictum dňum Lucbinum olim ejus patrem in vita ipsius dñe Isabelle. I non avendo dunque avuto effetto l'alligrazione di que' governi in conto di dote, Sigismondo, e Malateita novello, secondo i rogiti del Paponi, addi 29. di Decembre del 1441. allegnarono nondineno a Gianni il padre, che ancor vivea in conmil governo per lui, e figliuoli, e discendenti maschi legittimi, c naturali quello fietro Castello di San Martino in Converseto, notato tra i medeni confini, & hoc ideo fecerunt quia versa vice in compensationem di&tus magnificus Dñus Zannes Allignavit & confignavit libere & abjulute prefeto Magn. Dảo Dão Sigismundo & fuis beredibus Cuflrum Spinelli cuin ejirs curia ú cum omni juo jure & jurisdictione ac mero bo mixto imperio & gladii potejlute á cum omnibus fuis pertinentiis, quod Custrum cum sua curia poxitum eft in vulle Galiate, cui castro Ġ curie latera funt versus Or. curis Veffe, versus mer. curia Castri Valbone, & Villa Valanfüre, versus occ. curia caftri Pondi, versus sep. curia Petriline.
 Ebbe Gianni, siccome avvertimmo più addietro, oltre a Giovanni un altro figliuolo nomato Malatesta, i quali al par di lui mancarono prima delli 4. di Decemb. del 1452. Perocchè da ' protocolli di Sante d'Andrea haili fotto quel giorno una consegna in folutum ad Isabella de ' Visconti uxori qñ magnifici viri Gianis noinine magnificorum virorum Caroli qm Johannis de Malatestis de Sogliano & Andriti qň Roberti de Malatestis de Sogliano heredum bone memorie magn. Gianis de Malatestis de Sogliano. Fu Roberto, o Ramberto altro figlio di Gianni.
 Si tenne Carlo per qualche tempo in benevolenza di Sigismondo Signor di Rimino, cui fece dono addi 28. di Giugno del 1453; per atto del Paponi, d'una casa, ch' e' tenea in Rimino in contrata see columbe seu fii martini a IIJ. lateribus vie a IIIJ. beredes magistri Serafini Fisici, intitolandosi Magnificus vir Carolus qñ Jobannis Zannis de Malatestis de Sogliano Sogliani et.

Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo Quindici al figliuoli esuli

著者
アレッサンドラ・マチンギ
出版
1877年
編者
Cesare Guasti
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LETTERA SESTA - A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

 Al nome di Dio. A di 5 di giugno 1450.

 Ricevuta il di 26 di giugno.

 A di 25 passato fu l'utima ti scrissi. Dipoi ho una tua de’16 del passato. Farò per questa risposta.
 D'Antonio degli Strozzi e da me se'avvisato quanto è seguito de’ danari del Monte, di quegli s'è rimessi come ordinasti, e di quegli si sono ritenuti : che per l'accordo ho fatto col Comune mi bisogna de'fiorini novanta, che a questi dì ho fatto levare il debito ch'i'ho da giugno 1449 indrieto ; che sono presso a fiorini 400, che, secondo me, n'arei a pagare da ottanta ; e po'v'è di spesa da otto o dieci fiorini, che sarebbono circa di fiorini ottantotto o novanta . Fra pochi dì credo si pagherà, chè siàno presso al termine ; e ’Antonio Strozzi ho detto che faccia la ragion mia, e così il pagamento, e di tutto ti mandi el conto. El resto de’danari riserbai , fu più per amore di Marco che per altro ; che più volte mi disse che da te aveva avere danari, e vidi no gli seppe bene, di quegli s’avevano a rimettere a te, no gli serbai quegli che diceva avere da te. Risposigli, che s'erano serbati e danari pella casa di Donato ;

 Donato Rucellai. Ved. a pag. 37 e 59.

che ogni volta tu mi scriverrai quello ch'egli ha avere, e ch'io gliele dia, ch'io gliele farò dare ’Antonio . Lessemi un capitolo d'una tua lettera, che dice m'aresti scritto ch'io gliele dessi di questi ; ma dubitavi non fussi contenta. Dissi ch'i'ero contenta di quello ti contentavi tu, chè da te aveva a uscire il pagar lui e ' l comperare la casa ; sicchè io la rimettevo in te, che quello tu mi scriverrai ch' i ' faccia, quello farò. Fa' d'avvisarmene. Ancora s'ha a trarre di questi danari fiorini 12 larghi e grossi otto per la sicurtà si prese sopra' detti danarį,

 Di questa sicurtà, presa sulla dote della Caterina, parlò già nella Lettera IV. Ved, a pag, 59-60.

e braccia otto di panno pagonazzo mandato alla Caterina quando fece il fanciullo ; che così s'usa per tutte : che debbon essere fiorini dieci. E tutti questi ha ’ vere Antonio ; che in tutto debbon essere fiorini 23. Poi si ritenne per certe ispese si fanno, a voler riavere e danari dal Monte ; cioè un danaio per lira, e per la partita che montorono da sei fiorini. Credo d'Antonio ne sia avvisato a punto ; che lui e Marco l'hanno fatte queste spese.
 Da marzo in qua non ho auto lettere da Matteo, che ne sto co maninconia. Ècci stato lettere da Niccolò, che l'ha ’ ute Antonio ; ma di Matteo non dice nulla ; che non mi pare buon segno. I'ho sentito che o corriere o fante si sia, ch'è venuto da Barzalona, dice e' gli trovò a camino presso a Barzalona ; sì che ora vi saranno. Iscriverrogli una lettera , a Matteo , e dirogli quello mi parrà sia di bisogno : ed ho pensiero iscrivere a Niccolò, che se ' l fanciullo non facessi per lui , e che non facessi buona riuscita, come l'uomo istimava, non lo mandi ad altri ca me, e che di fatto lo rimandi in qua. Priego Iddio me ne mandi quelle novelle disidero ; che ’ niuno modo posso alle volte accordarmi a esser contenta averlo levato da me.
 Delle mandorle mi mandasti ne feci quanto mi scrivesti; e ' l lino serbai per me, come per altra t'ho detto .
 Ho caro abbi preso amicizia cogli ’mbasciadori, che sono uomini molto da bene ; e così dell'avere ritrovato il parentado con Giannozzo:

 Giannozzo Pandolfini, non ancora messere , chè appunto in quella occasione d'essere andato ambasciatore con Franco Sacchetti al Re di Napoli n'ebbe il cavalierato, per la pace conclusa . Il parentado di cui parla qui l'Alessandra sta in questo modo, che Agnolo Pandolfini, padre di Giannozzo, avea sposato nel 1393 la Giovanna di Francesco di Giannozzo Strozzi ; e in quest'anno del 50 una figliuola di Giannozzo, per nome Dora, sposava Vanni di Francesco di Benedetto degli Strozzi.

che ha fatto bene. Quando sarà tornato, andrò a vicitarlo , che so mi dirà novelle di te : che Iddio me le mandi buone.
 La morìa ci è cominciata, ed enne morti alcuni che hanno isbigottito la brigata : assai ne muore di questi forestieri che vanno e tornano da Roma. Fassi stima de terrazzani, che sono persone da bene.

 De' forestieri non si facevano caso , ma si de' cittadini ; tanto più ch'erano persone agiate.

Non si potrà quest'anno fuggire pelle ville, chè quasi per tutto il contado fa gran danno , e massimo in questo nostro piano ; che da Peretola insino a Prato non è villa che non ne muoia ; eccetto che a Quaracchi non v'è nulla ancora ; ma a Campi fa gran fracasso . È cinqu’anni affittai il mio podere a un buono lavoratore e ricco, ed erano tra uomini e donne e fanciugli diciassette, che n’è morti dodici : evvi rimaso un uomo, di tanti , e quattro donne. E ancora non ha fine; che ve n'è degli ammalati. È tanto la gente che vi muore , e le case sì sono vote , che de'poderi assai ne rimarranno sodi : che così rimaneva il mio, se non ch’e parenti loro m’hanno detto che faranno la ricolta, e lavorrannolo per quest'altr'anno . Che se non avessino fatto così, non trovavo chi vi volessi andare, tanto è la gente impaurita. E ancora ho avere una brigata di fiorini da loro, che me gli credetti perdere : pure m'hanno promesso darmegli ora alla ricolta . Che Iddio provvegga aʼnostri bisogni.
 I'mi credetti quest'anno poter estare a Firenze; e se la seguita come ha fatto dal primo dì di questo in qua, non ci si starà troppo. Non ho fatto ancora diliberazione d'andare più in un luogo che un altro : quando la farò, ne sarai avvisato. Che Iddio mi dia a pigliar buon partito . Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra che fu di Matteo Strozzi , in Firenze.
 Ricordoti iscriva ispesso a Lorenzo.

I centenari del 1898 - Toscanelli, Vespucci, Savonarola : Firenze nel secolo XV : feste, giuochi, spettacoli

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LA GIOSTRA DEL MAGNIFICO IN PIAZZA S. CROCE ( 7 Febbraio 1468)

 A Giostra, a differenza del Torneamento, nel quale si lottava a fine di morte, può definirsi: « l'armeggiare con lancia a cavallo di un cavaliere contro un altro, con l'aste broccate, e cercando vittoria solo dallo scavallare. »
 Le Giostre costituiscono un esercizio ed una forma di divertimento molto comuni nel secolo xv, ripetute ad ogni occasione solenne. Infatti si fecero Giostre nell'Ottobre Novembre 1406 per festeggiare la caduta di Pisa; nell'Aprile 1429 per la venuta di D. Pietro figliuolo del Re di Portogallo, nelle quali ebbero l'onore della vittoria Filippo Tornabuoni, Baldassarre del Milanese, e Jacopo Bischeri, e in ogni altra occasione.
 Ma la Giostra più splendida e più suntuosa di tutte fu certamente quella che ebbe luogo in Piazza di S. Croce nel 7 Febbraio 1468 alla quale prese parte lo stesso Lorenzo de' Medici e suo fratello Giuliano. Di questa ci è pervenuta l'esatta narrazione, che trovasi nel Codice Magliabecchiano N.° 1503, CI. VIII, e che venne pubblicata per intero da Pietro Fanfani in un raro libretto nel 1864 con una breve prefazione dalla quale mi piace riportare il seguente brano...... « la leggano specialmente i celebratori delle odierne delizie e quegli più che altri i quali videro mesi sono le giostre di Torino e di Milano; e poi mi sappiano dire che cosa è la miseria e la pidocchieria di queste feste di una gran Nazione, appetto alla nobiltà, alla suntuosità, alla magnificenza, alla eleganza ed alla cortesia di quelle della mia Firenze, quando era Firenze. »

 Lorenzo il Magnifico ne' suoi Ricordi cita anche questo fatto : « Per eseguire e fare come gli altri, giostrai in sulla Piazza di S. Croce...... e benchè d'armi e di colpi non fussi molto strenuo, mi fu giudicato il primo onore, cioè un elmetto fornito d'ariento con un Marte per cimiero. » Ed aggiuge che siffatta festa. gli costò la somma di « diecimila fiorini. »
 I Giostratori erano 13, ciascuno seguito da' suoi, cioè :
 1.° Braccio di Niccola de' Medici - 2.° Piero di Messer Luca Pitti e Piero Antonio di Luigi Pitti sotto uno stendardo - 3.° Piero di Giovanni da Trani e Marco di Guasparri da Vicenza, uomini di Bernardino da Todi - 4. ° Dionigi di Puccio Pucci - 5 . Piero di Giovanni Vespucci - 6. ° Salvestro di Jacopo Benci - 7.° Jacopo di Messer Poggio Bracciolini - 8.º Carlo di Messer Antonio Borromei - 9. ° Giovanni del Forte da Vico, che si presentò senza compagnia e pompa da farne menzione - 10.º Benedetto d'Antonio Salutati - 11 ° Lorenzo di Pietro di Cosimo de' Medici - 12. ° Francesco e Guglielmo di Messer Andrea de' Pazzi sotto uno scudo - 13.° Boniforte, uomo d'arme del Sig. Ruberto coll'elmo in testa, senza pompa e compagnia da farne menzione.
 Sarebbe il caso di riprodurre tutta la narrazione, ma poiché lo spazio manca, basterà riportare la sola parte che riguarda i due Fratelli Medici e la descrizione dei costumi indossati da essi e dai loro seguaci.
 « Undecimo venne in campo Lorenzo di Pietro di Cosimo de' Medici et in sua compagnia due uomini d'arme che lui misse in campo.
 « Giovanni degli Ubaldi, uomo d'arme del Signor Federigo,
 « Carlo da Forma, napoletano, uomo d'arme del Signor Ruberto.
 « Nove Trombetti a cavallo con panziere in dosso, suvi giornee di taffettà a sua divisa, frappate e frangiate, o dipinte a rose secche e fresche ; et in capo avevano celate con mazzocchi e penne suvi, a sua divisa, calze in gamba di detta divisa, e loro pennoni di taffettà, frappati e frangiati intorno di sua divisa.
 « Un Paggio a cavallo vestito d'un gonnellino di velluto bianco e pagonazzo, con una berretta in capo di detto drappo. Portava in mano :
 « Uno Stendardo di taffettà bianco e pagonazzo con uno sole nella sommità, e sottovi un arcobaleno ; e nel mezzo di detto Stendardo v'era una dama ritta sur un prato vestita di drappo alessandrino ricamato a fiori d'oro e di ariento : e muovesi d'in sul campo pagonazzo uno ceppo d'alloro

Le istorie fiorentine

著者
ニッコロ・マキアヴェッリ
発行
1872年
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 XXXVI. --- Ma i Fiorentini, finita la guerra di Serezana, vissero insino al mccccxcii, che Lorenzo dei Medici morì, in una felicità grandissima ; perchè Lorenzo posate l'armi d'Italia, le quali per il senno ed autorità sua s'erano ferme, volse l'animo a far grande sè e la città sua, ed a Piero suo primogenito l'Alfonsina, figliuola del cavaliere Orsino, congiunse ; dipoi Giovanni suo secondo figliuolo alla dignitàdel cardina lato trasse. Il che tanto fu più notabile , quanto fuora d'ogni passato esempio, non avendo ancora quattordici anni, fua tanto grado condotto. Il che fu una scala da poter fare salire la sua casa incielo, comepoi neiseguenti tempi intervenne . A Giuliano, terzo suo figliuolo, per la poca età sua e per il poco tempo che Lorenzovisse,non potette di strasordinaria fortuna provvedere. Delle figliuole, l'una a Iacopo Salviati, l'altra a Francesco Cibo, la terza a Piero Ridolfi congiuse; la quarta, la quale egli, per tenere la sua casa unita, aveva maritata a Giovanni de' Medici, si morì. Nell' altre sue private cose fu quanto alla mercatanzia infelicissimo; perchè per il disordine dei suoi ministri, i quali non come privati, macome principi le sue cose amministravano, in molte parti molto suo mobile fu spento ; in modo che convenne che la sua patria di gran somma di danari lo sovvenisse. Ondechè quello per non tentare più simile fortuna, lasciate da parte le mercantili industrie, alle possessioni, come più stabili e più ferme ricchezze, si volse. E nel Pratese, nel Pisano, ed in Val di Pesa fece possessioni, e per utile e per qualità di edifizj e di magnificenza, non da privato cittadino, ma regio. Volsesi dopo questo a far più bella e maggiore la sua città : e perciò sendo in quella molti spazjsenza abitazioni, in essi nuove strade da empiersi di nuovi edifizj ordinò ; ondechè quella città ne divenne più bella e maggiore. E perchè nel suo stato più quieta e sicura vivesse, e potesse i suoi nimici discosto da sé combattere e sostenere, verso Bologna nel mezzo dell' Alpi il castello di Fiorenzuola affortificò. Verso Siena dette principio adinstaurare il Poggio Imperiale , e farlo fortissimo. Verso Genova , con l'acquisto di Pietrasanta e di Serezana, quella via al nimico chiuse. Dipoi con stipendi e provvisioni manteneva suoi amici i Baglioni in Perugia, i Vitelli in Città di Castello, e di Faenza il governo particolare aveva; le quali tutte cose erano come fermi propugnacoli alla sua città . Tenne ancora in questi tempi pacifici sempre la patria sua in festa ; dove spesso giostre e rappresentazioni di fatti e trionfi antichi si vedevano ; ed il fine suo era tenere la città sua abbondante, unito il popolo, e la nobiltà onorata. Amavamaravigliosamente qualunque era in una arte eccellente; favoriva i litterati; di che

Archivio storico italiano

発行
1889年
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 Alla nascita di Francesco, avvenuta il 26 settembre 1434, va unita la notizia che in quei giorni la città sorse in armi , si suonò la campana a parlamento, e fecesi la Balia e furon confinati molti cittadini. Era il trionfo di Cosimo il Vecchio , erano le sue vendette. Anche Matteo da Panzano, fratello di Luca, « ebbe ciedola da' Singnori per maziere loro », e dovette par tirsi dalla città , confinato per cinque anni al Borgo San Sepolcro : e fu obbligato a sodare, cioè dar mallevadoria, che avrebbe obbedito. Dei cinquecento fiorini , a tale uopo richiesti, Luca ne dette dugento. E la nascita della bambina Mattea , il 17 luglio 1440, è accompagnata dal ricordo che la tenne a battesimo Lionardo Bruni lo storico, legato a Luca d'amicizia, perchè in via dell'Anguillara erano a confine le case loro.

 La casa proprio a confine col Bruni la compró Luca, ai 4 ottobre 1427, da Iacopo Rimbertini, per fiorini 200. E la rivendè poi, per fiorini 240, a ser Giovanni Salvetti.

 E qui mi pare il luogo di notare che il Da Panzano fu amico anche del cronista Goro Dati, e che dopo la morte di questo si prese pensiero di trovar nuovo marito alla di lui vedova, Caterina di Dardano Guicciardini. E vi riusci , e la rimaritò a Schiatta Ridolfi con trecento fiorini di dote nella primavera del 1436. Madonna Caterina avea del Dati un figliuoletto , chiamato Antonio, al quale provvidamente Luca penso. E scrive in proposito :

 « E più fu d'achordo con ( letto Ischiatta e Lorenzo Ispinelli suo gienero, e coll'Antonia figliuola di Schiatta Ridolfi e donna di detto Lorenzo Ispinelli , che uno fanciullo , che ha la Caterina detta, ch'ha nome Antonio, e figliuolo di Goro di Stagio detto, che Schiatta il terrà in casa et alimenterallo del vivere e ricietto de la casa , come gli altri suoi figliuoli, ecietto che del vestire e chalzare l'abbi a vestire e chalzare la detta Caterina. Et in qualunque caso o diferenza venisse, o per essere detto fanciullo non buono, questo rimette in me il detto Ischiatta e la detta Caterina achonciare e dirizare questo caso del fanciullo, come a me pare e piacie . Et a fede della verità io Lucha ho fatto questo richordo, et honne dato una chopia di mia mano ala detta Caterina in foglio doppio ».

Archivio della Società romana di storia patria

第1~10巻

 1337 , ottobre 8. Benedetto XII ordina che si determinino i diritti del card . Napoleone Orsini sopra Montalto . X , 474 .
 1346 , luglio 10 . * Clemente VI ordina al rettore del patrimonio di procedere contro Giovanni Di Vico , suoi parenti e seguaci . X , 475 .
 1346 , agosto 22 . * Clemente VI scrive al rettore del patrimonio perchè procuri di sottomettere i Di Vico . X , 476 .
 1346 , agosto 22 . Scrive allo stesso perchè ponga l'interdetto in Viterbo a causa dei Di Vico . X , 477 .
 1346 , agosto 22 . Il pontefice ordina ai suoi ufficiali nel patrimonio di fare inquisizione a carico di Giovanni Di Vico e seguaci . X , 477 .
 1346 , agosto 22. * Ai medesimi perchè citino il prefetto , i suoi fratelli e seguaci a comparire dinanzi al papa nel termine di due mesi . X , 478 .
 1346 , agosto 22 . * Clemente VI scrive al suo vicario in Roma , perchè faccia bandire il decreto che nessuno arrechi soccorso a Giovanni Di Vico . X , 480 .
 1346 , dicembre 5. Costanza vedova di Pandolfo de Normandis vende i castelli di Ceri , Castrum novum Castri Campanilis , Loterno e Civitella a Giovanni e Stefano de Normandis . X , 248 .
 1347 , luglio 18. Cola di Rienzo scrive al comune di Firenze domandando che sia impedito il passaggio pel territorio fiorentino alle milizie assoldate da Giovanni Di Vico . X , 482 .
 1347 , luglio 22 . Cola di Rienzo annunzia ai Fiorentini la sua vittoria su Giovanni Di Vico . X , 482 .
 1347 , luglio 27. Cola di Rienzo scrive a Clemente VI per fargli conoscere le condizioni dello Stato di Roma . X , 483 .
 1347 , settembre 14. * Il legato apostolico cita a comparire dinanzi a sè Giovanni Di Vico e i rappresentanti del comune di Viterbo . X , 483 .
 1347 , dicembre 3. Clemente VI dà facoltà a Bertrando cardinale di S. Marco di sciogliere dalla scomunica Luca Savelli , Sciarra Colonna ed altri . X , 486 .
 1348 , febbraio 17 . Trattato fra il legato del papa e il prefetto Giovanni Di Vico pel possesso di Vetralla . X , 592 .
 1348 , luglio 7 . Giovanni Di Vico compra il castello di Carcari . X , 486 .
 1349 , marzo  13 . Ranuccio , vescovo di Todi , approva la nomina di Lanno di Lello a priore di San Bartolomeo di Tevellaria . X , 248 .
 1349 , luglio 11 . Giovanni Di Vico rivende il castello di Carcari a Nerio dei signori di Tolfanuova . X , 487 .
 1351 , settembre 14. Il comune di Orvieto delega ser Leucio di ser Vanni a dare in pegno il castello e territorio di Collelungo a Benedetto dei Monaldeschi . X , 248 .
 1352 , aprile 29. Il popolo di Narni nomina un procuratore per trattare la pace colla terra di S. Gemino . X , 487 .
 1352 , maggio 12 . * Clemente VI esorta Giovanni Di Vico a pentirsi delle sue colpe , restituire il mal tolto , e tornare alla comunione della Chiesa . X , 488 .
 1352 , agosto 24. * Il capitano di Orvieto nomina alcuni ufficiali in sostituzione di altri che eran fuggiti per l'arrivo del prefetto . X , 490 .
 1352 , settembre 3 - 1355 , aprile 30. Atti compiuti da Giovanni Di Vico durante la sua dominazione di Orvieto . X , 491 .
 1352 , settembre 10 . Giordano Orsini , rettore del patrimonio , manda alla difesa di Bolsena Erasmo da Narni . X , 514 .
 1352 , settembre 28. Il rettore aumenta la difesa di Orvieto . X , 514 .
 1352 , ottobre 31. * I priori del comune di Orvieto stabiliscono una pensione vitalizia di 50 fiorini d'oro al mese a Giovanni Di Vico . X , 496 .
 1352 , novembre 8 . Giovanni Di Vico riceve a patti il castello di Cetona . X , 497 .
 1353 , maggio 15. Innocenzo VI scrive all'arcivescovo di Milano che presti fede a M. Ugo Arpaione . X , 514 .
 1353 , luglio 18. * Giovanni Di Vico , signore d'Orvieto , fa mandato di 800 fiorini per pagare 4 bandiere di cavalleria . X , 503 . Innocenzo VI partecipa ai Romani l'invio in Italia del cardinale Egidio Albornoz , a ' danni specialmente di Giovanni Di Vico . X , ' 515 .
 1353 , agosto 25. Innocenzo VI manda copia della lettera precedente al vescovo di Castro e al rettore dell'ospedale di S. Spirito perchè la leggano e spieghino al popolo . X , 515 .
 1353 , settembre 3. Lettera di Innocenzo VI al cardinale Albornoz sulla guerra contro il prefetto Di Vico . X , 515 .
 1353 , settembre 15. Innocenzo VI ordina che si pubblichino in Italia i processi fatti da Clemente VII contro Giovanni Di Vico . X , 516 .
 1353 , novembre 16. Deliberazione del Consiglio generale del comune di Orvieto sui trattati da aversi colla Chiesa . X , 506 .
 1353 , novembre 16. Il Consiglio degli Orvietani delibera di mandare un procuratore al cardinale Albornoz con l'incarico di trattare la pace fra lo stesso Albornoz da una parte e la città di Orvieto e Giovanni Di Vico dall'altra . X , 516 .
 1353 , dicembre 11. Il Consiglio degli Orvietani affida ai priori e ad altri cittadini scelti da loro di provvedere per la conservazione della libertà . X , 516 .
 1354 , gennaio 12 . Innocenzo VI si rallegra coi Perugini della concordia fra di essi stabilita , e li conforta a soccorrere la Chiesa contro Giovanni Di Vico . X , 517 .
 1354 , marzo 14. Innocenzo VI cita innanzi alla Curia avignonese Giovanni Di Vico . X , 517 .
 1354 , marzo 17. Innocenzo VI ringrazia i Fiorentini , i Senesi e i Perugini del soccorso che dànno alla Chiesa contro il Di Vico , e li esorta a perseverare . X , 518 .
 1354 , marzo 24 . Innocenzo VI invita i Romani a mantenere la promessa di aiuto contro Giovanni Di Vico . X , 518 .
 1354 , aprile 3. Il Consiglio generale di Toscanella nomina a suo procuratore Puccio Ciani per accordarsi sulla pace col cardinale Albornoz . X , 518 .
 1354 , giugno 5. Patti per la pace colla Chiesa stabiliti fra il cardinale Albornoz e Giovanni Di Vico . X , 519 .
 1354 , giugno 10 . Istrumento della cessione di Orvieto fatta da Giovanni Di Vico al cardinale Albornoz . X , 519 .
 1354 , giugno 10 . Giovanni Di Vico confessando le sue colpe ne domanda pubblicamente perdono alla Chiesa e le giura fedeltà . X , 519 .
 1354 , giugno 20 . Innocenzo VI cita nuovamente Giovanni Di Vico innanzi alla Curia di Avignone . X , 519 .
 1354 , giugno 20 . Innocenzo VI scrive all'Albornoz dandogli istruzioni sul modo di regolarsi con Giovanni Di Vico . X , 520 .
 1354 , giugno 23. Giovanni di mastro Roberto , rappresentante della città di Viterbo , giura fedeltà alla Chiesa e confessa le proprie colpe . X , 520 .
 1354 , giugno 25-27 . Sottomissione del popolo di Orvieto ai commissari dell'Albornoz , dai quali chiedono l'assoluzione delle pene incorse . X , 521 .
 1354 , luglio 24. Solenne presa di possesso della città di Viterbo pei commissari della Chiesa . X , 521 .
 1354 , settembre 8. Innocenzo VI scrive al cardinale Albornoz sui capitoli della pace con Giovanni Di Vico . X , 522 .
 1354 , settembre 8 . Altra lettera del pontefice all'Albornoz sui trattati da questo avuti col Di Vico . X , 522 .
 1354 , settembre 14. I massari e il popolo di Barbarano giurano fedeltà e vassallaggio al nuovo signore Giovanni dell'Anguillara . X , 248 .
 1354 , settembre 24. Memoria della controversia fra Giovanni Di Vico e Pietro di Rollando pel possesso della rôcca di Rispampani . X , 523 .

 1440 agosto 2. Testamento di Battista Orsini contessa di Nola. X, 258.

 1484 , gennaio 20. Elisabetta duchessa di Ascoli ed Isabella già di Castelgandolfo confermano ed accettano la divisione della « Selva della rocca » . X , 265 .
 1484 , aprile 16 . Giudizio di maestro Lorenzo de Bugino maniscalco sulla morte di alcuni cavalli del conte Giovanni dell'Anguillara supposti avvelenati . X , 265 .
 1484 , aprile 16. Antonio de Trame e Bernardino di Antoniolo depongono circa il valore dei predetti cavalli . X , 266 .
 1484 , aprile 16. Lodovico Pavia procuratore del conte Giovanni dell'Anguillara protesta di voler procedere contro chiunque apparisse reo o complice dell'avvelenamento dei cavalli del suo signore . X , 267 .
 1486 , febbraio 28 . Giovanni Shervood , Giovanni Dunmowe ed Ugo Spaldyng sono nominati procuratori di Enrico VII alla Corte di Roma . III , 207 .
 1486 , settembre 25. Giovanni Lup , decano della chiesa di Segovia , cita Roberto Savelli al giudizio , a cui fu chiamato da Francesco dell'Anguillara canonico di San Pietro . X , 266 .
 1487 , febbraio 4 . * Breve d'Innocenzo VIII col quale rimette e condona la gabella del sale al comune di Sutri . V , 642 .
 1487 , febbraio 14 . * Lettere apostoliche di Sisto IV che inibiscono a chicchessia di alzare banchi sulla piazza di Santa Maria della Rotonda senza licenza del capitolo della stessa basilica . VIII , 584 .
 1487 , marzo 31 . Contratto di società di banco stretta fra Agostino Chigi e Stefano Ghinucci . II , 209 .
 1487 , agosto 24. Bartolomeo dell'Anguillara vende a Francesco dell'Anguillara la terza parte del castello di Ceri . X , 267 .
 1488 , agosto 10. Onofrio de Cicchis vende ad Elisabetta dell'Anguillara una casa in Trastevere . X , 267 .
 1489 , aprile 4. Testamento di Domenico dell'Anguillara . X , 267 , 268 .
 1489 , ottobre 10. Elisabetta dell'Anguillara vende 800 pecore e follati a Nicola Orsini . X , 268 .
 1489 , .... * Inventarium sacristie ( S. Petri ) ; mobilium , bonorum et librorum bibliothecae . VI , 99 .
 1490 , ottobre 17. * Diritto di cittadinanza conceduto da Enrico VII re d'Inghilterra a Giovanni Battista di Gerardo da Genova , ni . pote del papa Innocenzo VIII . III , 209 .
 1492 , febbraio 3. Lorenzo de Amodei vende una casa in rione Pigna a Elisabetta dell'Anguillara . X , 268 . 492 , marzo 27 . Motuproprio di Innocenzo VIII che inibisce a chicchessia e anche ai magistrati delle strade di disturbare in qualunque modo i locatari dei banchi sulla piazza di Santa Maria della Rotonda . VIII , 586 .
 1492 , settembre 25. * Bolla di Alessandro VI che conferma i privilegi , immunità e statuti del comune di Acquapendente . IV , 97
 1492-1504 . Estratti dai Registri Mandati , Obbligazioni e Patrimonio della Camera apostolica relativi alla famiglia Borgia . IV , 114 .
 1493 , gennaio 2. Francesco Cibo vende a Gentile Virgilio Orsini i castelli di Cervetri , Monterano e Viano , il casale della Rota , una parte d'Ischia e i bagni di Stigliano . X , 269 .
 1493 , gennaio 3. Francesco Cibo vende a G. Virginio Orsini il castello dell'Anguillara . X , 269 .
 1493 , aprile 16. Fabrizio Colonna fa donazione di alcuni beni posti in Marino a Bernardino dell'Anguillara . X , 269 .
 1493 , novembre 8. Benedetto Castellani della Fara , procuratore di Gentile Virginio Orsini , immette nel possesso della contea dell'Anguillara Carlo Orsini . X , 270 .
 1494 , maggio 24. * Breve di Alessandro VI a Fabrizio Colonna , col quale gli conferma il possesso di Grottaferrata . VIII , 497 .
 1494 , agosto 23 . Breve Alexandri papae VI concessionis tractae frumenti pro dominis Augustino et Mariano Chisiis . II , 211 .
 1494 , ottobre 25. Testamento di Achille di Bucio dei Monaldeschi . X , 270 .
 1496 , maggio 14 . Istrumento di mutuo di 4000 ducati fatto da Agostino Chigi a Pietro de ' Medici e inventario delle tappezzerie e camei dati per sicurtà dell'imprestito . III , 296 .
 1496 , giugno 23 . Atto col quale Bart . de Mena e Martino Atari , capitani del postribolo a ponte Sisto , cedono il loro officio a Lodovico Romanelli Orsi e Giov . Capuano . I , 170 .
 1497 , aprile 18 . Strumento di mutuo fatto da Agostino Chigi al duca Guidubaldo di Urbino , e inventario delle argenterie e gioielli lasciati in sicurtà . III , 299 .
 1498 , novembre 11 . * Breve di Alessandro VI col quale invia in Acquapendente un commissario generale per provvedere alla sicurezza del territorio . IV , 99 .
 1499 , luglio 29 . Cessione di vin greco fatta da Lorenzo Chigi ad Antonio Spannocchi . VI , 145 .
 1499 , agosto 25. Alessandro VI raccomanda al comune di Acquapendente il cardinale Giovanni Borgia . IV , 100 . 1500 , maggio 25. Alessandro VI ordina al comune di Acquapendente di dar aiuto a Domenico Capranica da lui inviato a porre rimedio alle rapine dei Corsi . IV , 101 .
 1501 , gennaio 2 . Ricevuta di mutuo di ducati 20,000 fatto da Agostino Chigi a papa Alessandro VI . III , 293 .
 1501 , giugno 5 . * Conferma di Antonio de Mathirolis a potestà di Acquapendente . IV , 103 .
 1501 , dicembre 7 . Alessandro VI ordina al comune di Acquapendente di fare incetta di selvaggina e di pollame in occasione degli sponsali di Lucrezia Borgia . IV , 104 .
 1501 , dicembre 7 . Breve di Alessandro VI ai priori ed al comune di Castro perchè provvedano il palazzo apostolico di selvaggina e pollame per banchettare il corteo venuto da Ferrara a prendere Lucrezia Borgia . IV , 586 .
 1502 , maggio 30. Contratto di società stretta fra Mariano e Agostino Chigi e Francesco Tommasi . II , 210 .
 1502 , giugno 18 . * Concessione fatta ad Agostino Chigi e soci appaltatori delle allumiere della Tolfa di portarvi vettovaglie ad uso degli operai . II , 213 .
 1502 , luglio 1 . * Mallevadoria prestata da Alessandro VI ad un mutuo di 200 ducati prestati da Agostino Chigi alla principessa di Squillace . VI , 508 .
 1502 , agosto 4 . Chirografo col quale Cristoforo e Mariano Chigi allogano una tavola a dipingere a M. Pietro Perugino per la chiesa di S. Agostino . II , 482 .
 1502 , novembre 26. Giovenale Spinelli , giudice palatino , approva la tutela dei pupilli Virgilio e Brigida Orsini assunta dalla madre Porzia Savelli . X , 270 .
 1502 , dicembre 7 . * Bolla di Alessandro VI con la quale ordina a quei di Camerino di scacciare Giovanni Maria Varano e i suoi aderenti . IV , 106 .
 1503 , gennaio 28 . Alessandro VI rivendica a sè alcuni beni custoditi nel convento di S. Agostino in Acquapendente . IV , 112 .
 1504 , marzo 10. Porzia Savelli , come tutrice dei figli Virgilio e Brigida Orsini , si obbliga di pagare a Francesco Cibo 6000 ducati . X , 275 .
 1504 , settembre 15 . * Ordine della Camera apostolica alla famiglia de Castro di non porre ostacolo alla fabbricazione degli allumi . II , 214 .
 1505 , febbraio 14. Giulio de Albertoni , procuratore di Antimo Savelli , nomina quattro arbitri per decidere ogni questione fra Antimo Savelli predetto e Giovanni dell'Anguillara di Ceri Orsini . X , 270 .
 1505 , febbraio 15 . Sentenza arbitrale nella questione fra Antimo Savelli e Giovanni di Ceri per la terza parte del castello di Bassano . X , 271 .
 1505 , febbraio 15 . Giulio Orsini , come procuratore di Giovanni di Ceri Orsini , accetta gli arbitri predetti . X , 271 .
 1505 , luglio 7. Salvocondotto della Camera apostolica ad Agostino Chigi e compagni . VI , 147 .
 1505 , novembre 4. * Breve di Giulio II ai mercanti fiorentini Antonio Gualterotti e soci col quale li invita a provvedersi degli allumi dalle allumiere di Santa Croce piuttosto che da quelle dei Turchi . II , 214 .
 1507 , marzo 15 . * Contratto col quale il comune di Siena cede ad Agostino Chigi la terra di Porto Ercole con tutte le sue rendite e gabelle per anni 40 contro il mutuo di fiorini 8000. III , 422 .
 1507 , aprile 12. Antimo Savelli si dichiara soddisfatto della somma di ducati 2500 pagatagli da Giovanni di Ceri Orsini in forza di arbitraggio . X , 272 .
 1507 , giugno 7. Ferdinando re di Aragona , Sicilia , ecc . approva l'obbligazione dei beni allodiali e feudali fatta da D. Antonio de Cardona per garanzia della dote della propria moglie . X , 272 .
 1507 , luglio 2. Pompeo Colonna fa quietanza di quanto gli dovea Bernardino dell'Anguillara . X , 273 .
 1507 , dicembre 3. * Bolla di papa Giulio II sulla erezione della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo . III , 441 .
 1508 , gennaio 31. Lodo di Onofrio di Gente , Simone Ricasoli e Leonardo Bartolini nelle differenze fra i Chigi ed il loro agente a Londra . VI , 140 .
 1508 , luglio 8. Lettera di Giov . Francesco Vigilio , precettore di Federico Gonzaga , a Isabella d'Este . IX , 566 .
 1509 , gennaio 6. * Istrumento di enfiteusi della casa della Corte de ' Chigi coi frati di S. Agostino . II , 487 .
 1509 , marzo 2. Il luogotenente dell'uditore generale della Camera accoglie l'appello di Porzia Savelli e dei figli Virginio e Brigida contro una sentenza arbitrale del cardinale Giovanni dei Medici . X , 273 .
 1509 , giugno 15. Inventario delle robe nella rocca di Porto Ercole consegnate al castellano Paolo de Torri . VI , 161 .
 1509 , dicembre 24. Cessione di diritti sopra alcune case in Roma , fatta da Giuliano di Stabia a Lorenzo de Cere . X , 273 .
 1510 , febbraio 13 . Lettera di Raffaello Hermenz.o alla marchesa di Mantova sulle feste fatte in Roma a Eleonora Gonzaga . IX , 557 .
 1510 , febbraio 23. Giovanna Villamarina de Castro revoca la rinuncia ai suoi diritti feudali ed allodiali . X , 273 .
 1510 , marzo 17. Lettera d'Isabella d'Este a Donato di Preti , agente mantovano presso l'imperatore , con la quale si rifiuta di mandare il figlio Federico in ostaggio alla corte imperiale . IX , 511 .

第5巻

 ( 1 ) AMEYDEN cit .; MAGALOTTI , GUALDI , IACOVACCI , anonimi della Chigiana ed altri .

 1°. anno 1019 Guido illustris comes filius Belizonis qui appellatur de Anguillaria , nell'anno 3° di Enrico III imp . ed ottavo di Benedetto VIII pontefice , affitta il diritto di pesca nel lago Sabatino ( documento dell'Archivio di s . Maria in Trastevere . Cod . Vat . 8044 . Nibby , Analisi , I , pag . 143. GREGOROVIUS , St. di R. , lib . X , c . 1 ° , S 2 ) . Ne risulta che all'anno 1019 gid era castrum , e che conteneva milites vale a dire cavalieri.
 2°. 1140 Alcuni scrittori accennano che un Giovanni dell'Anguillara conquistò Nepi , nell'anno 1140 , in occasione delle turbolenze fra Innocenzo II e l'antipapa Anacleto ( RANGHIASCI , Memorie , ecc . della città di Nepi e suoi dintorni , Todi 1845 , pag . 106 ; MORONI Comm . Gaet . , Dizionario , vol . XLVII , pag . 286 l'ha trascritto ) . Dichiaro di non essere convinto della sincerità di questo fatto , quantunque non sia improbabile : e perciò debba almeno registrarsi ( 2 ) .

 ( 2 ) II RANGHIASCI , rozzo scrittore , cita il PLATINA , ma la cita- zione è per lo meno sbagliata ; nè ho potuto rintracciarla in questo libro . Che i Nepesini seguissero le parti di Anacleto lo sostiene il Ranghiasci sulla scorta del MURATORI , ma vedremo ( sotto Nepi ) che cosa possa pensarsi della fonte allegata .

 3°. 1146 – Nicolo dell'Anguillara s'impadronisce di Tolfa e di s . Severa , in occasione dei torbidi suscitatisi a Roma nella fuga di Eugenio III ( BONINCONTRIUS nelle Deliciae eruditorum di G. LAMI , vol . V , pag . 144 ) .
 4°. 1154 – Nell'inventario dei beni di s . Maria Nuova al f . 32 , in un documento che riguarda Galeria ( Careia ) , tra i suoi confini si cita il fiume Arone ( l'Arrone ) sicut descendit a tenimento Anguillariae et Cesani .
 5°. 1186 – Leone dell'Anguillara consul romanorum riceve dall'imperatore Enrico VI in compenso della sua sperimentata fedeltà verso Federico I e il concedente , in feudo la città di Sutri e nominatamente le masse di s . Stefano e s . Giovanni ( da un diploma in pergamena esistente nel volume 63 della Cred . XIV dell'Archivio segreto Capitolino . Cf. COPPI , Atti cit . , vol . XV , pag . .227 . Sembra apocrifo : Gregorovius giustamente ne sospetto la falsità ) .
 6°. 1191 – Enrico VI avvicinandosi a Roma per cingere la corona imperiale , ratificó ai 2 di aprile del 1191 iuxta locum Anguillariae il giuramento dei principi dell'impero al Papa e ai Cardinali ( dai Rouleaux de Cluny nelle Notices et extraits des mauuscrits de la bibl . Imp . , t . XXI , pag . 326. GREGOROVIUS , op . cit . , lib . VIII , C. 6 , S 4 ) .
 7°. 1205 - Nella bolla d'Innocenzo III in favore della basilica Vaticana , in quest'anno , tra i diritti dei Canonici di legge quod habent in castro Anguillariae et in castro Anguillariae et in castro Cesani ( Bullar . Vatic . , t . I , pag . 83 ) .
 8°. 1217 - Nella nota bolla di Onorio III in favore della chiesa di s . Tomaso in Formis , sotto quest'anno , tra i diritti della medesima è annoverata : medietatem de Anguillaria cum medietate de Placito , domibus , redditibus et aliis pertinentiis suis . Ecclesiam s . Michaelis Arcangeli in territorio Anguillariae cum vineis , terris , canapinis , montibus , collibus , planitiis et appenditiis suis , et quantum cumque duo navigia poterunt omni tempore in eiusdem loci lacu piscari et cum omni redditu ipsorum et cum uno aquimolo cum ingressibus et omnibus aliis pertinentiis suis posito in loco qui dicitur Capirolum .... ( Bullar . Vat . , t . I , pag . 103 ) .
 9°. 1229 - In quest'anno i signori di Anguillara ( erano già domiciliati in Roma nel Trastevere ) ripararono a proprie spese la chiesa di s . Francesco a Ripa . Di questo tempo è il sepolcro di Pandolfo dell'Anguillara , ivi scolpito in abito francescano ( terziario ) con iscrizione conosciuta ( GONZAGA , Istoria Serafica , parte 2 “ , pag . 177 ; GALLETTI , Inscriptiones , vol . III , pag . 309 ) . La torre degli Anguillara nel Trastevere spetta pure a questo tempo ( Massimo principe , Sulla torre degli Anguillara , R. 1847 ) .
 10°. 1244 – In quest'anno , un Petrus alme urbis praefectus , comes Anguillariae sottoscrive in Acquapendente un diploma dell'imperatore Federico II ( HUILLARD , Historia diplomatica Friderici II , vol . VI , pag . 166 ) .
 11°. 1261 – Da un documento di quest'anno , il mona110 stero di s . Bibiana in Roma apparisce proprietario di alcuni terreni in Anguillara ( ADINOLFI , Roma nell'età di mezzo , I , pag . 144 , in nota ) .
 12°. 1264 - Pandolfo dell'Anguillara si mette a capo dei Guelfi italiani prima della venuta di Carlo d'Anjou ; si misura con Pietro di Vico capo dei Ghibellini ; ed è fatto prigioniero da costui presso Vetralla ( SABA MALASPINA , Res Siculae in MURATORI , R. I. S. , vol . VIII , pag . 881 ; GREGOROVIUS , op . cit . , lib . X , cap . 1o , § 2 ) .
 13°. 1275 — A quest'anno appartiene la torre di Pandolfo in Viterbo con una iscrizione ch ' è stata pubblicata ( Veggansi gl ' istoriografi Viterbesi , e il Marocco , Monumenti dello St. pont . , vol . XIV , pag . 37-38 , l'AMEYDEN , manoscritti alla Casanatense , f . 53 ) .  14°. 1280 — Pandolfo ricordato siccome podestà in Orvieto dal MANENTE ( cf. Ameyden , l . cit . )
 15°. 1286 — In un documento dell'archivio di s . Spirito , sotto questa data , è descritto il castello di Galeria coi suoi confini ; e tra questi vi sono il castrum Braczani , Anguillariae , Martignani et Cesani ( Codice Vat . , 8034 , fol . 182 ) .
 16°. 1293 – In un istromento stipulato a Roma , ai 6 di agosto di quest'anno , si stabilisce un'alleanza tra i Colonna , gli Anguillara , Pietro e Manfredi di Vico , in presenza del card . Benedetto Caetani , che fu Bonifazio VIII ( nell'Archivio Caetani , XIII , n . 79 ; GREGOROVIUS , op . cit . , lib . X , cap . V , S 4 ) .
 17°. 1295 – Dal Regesto di Bonifazio VIII ( vol . I , ep . 124 , fol . 197 ) si trae che il castello di Nociliano presso Nepi si era ribellato a Giacomo e Mattia , fra- telli Arlotti , e che protettori dei ribelli erano stati i signori di Anguillara ( THEINER , Codex diplom . , vol . I , pag . 327 ) .
 18°. ... ? .... — Al secolo xi stimo che spetti una iscrizione metrica sepolcrale di un giovine Muzio dei Conti dell'Anguillara , la quale non ho veduto finora pubblicata . L'ho trascritta in Sutri , nella chiesa di s . Francesco , in fondo alla nave minore sinistra , dove fu trasportata nel 1865. Per lo addietro stava presso l'altar maggiore ; e quando fu rimossa dal pavimento , vi si trovo sotto una spada . L'iscrizione dice :

...... SIT IN HOC TVMVLO
...... AERIS SVM MVTI VS INFANS ANGVILLAE
INSIGNIS QVEM
TVLERAT SOBOLES
ROMANAE POTIVS ST
IRPIS NE DEGENER ES
( sic ) SEM TRRVM SPONTE
TVLI SCILICET INGNI
RVRENS MVTIVS ANTEHA
EROS FLAMA SI SPONTE
FEREBAT VIR FVIT ERA
( sic ) RAT COXERAT ILLE MAN
NVM INFANTI INSONTI
QVE CAPVT MIHI FLA
MA PERVSSIT MAGNVS IN
EST QUINTO SED MIHI
MAIOR HONOS ( 1 )

 ( 1 ) Le due prime linee possono supplirsi : quis sit in hoc tumulo quaeris ? sum mutius infans etc. Nell'ottava linea vorrei correggere quell'insignificante terrum in fatum . Del resto da si rozzo epitaffio può dedursi che Muzio d'Anguillara fanciullo peri per essersi abbruciato il capo ; e perciò viene paragonato anzi anteposto a Quinto Muzio Scevola !

 19°. 1312 - In quest'anno Enrico VII viene in Roma ad incoronarsi . Nell'esercito che l'accompagnava erano 100 uomini forniti dal conte di Anguillara ( da MusSATO Albertino nel vol . VIII . R. I. S. , rub . 8a e seg . )
 20°. 1314 - Domenico dell'Anguillara , figlio del quondam Pandolfo , vende ai 25 di maggio detto anno a Ponello ( 2 )

 ( 2 ) ADINOLFI scrive cosi , ma io credo si debba leggere Poncello .

figlio di Matteo Rubeo de ' figli d'Orso per 3300 fiorini d'oro il castello di Magliano ( dall'Archivio di s . Spirito , pergamene , tomo II , 13 ; ADINOLFI , op . cit . , pag . 60 ) ( 3 ) .
 21°. 1320 — Una pergamena dell'Archivio di s . Maria in Trastevere dimostra che in quest'anno un Petrus Amedei nipote ed erede del quondam Petrus de Pinea possedeva tutto il lago d'Anguillara , col Sabatino ; e vi è indicato , tra i limiti del lago , il castrum Anguillariae ( Cod . Vat . , 8051 , fol . 48 ) .

 ( 3 ) Dal complesso delle notizie che ho letto sugli Anguillara mi sembra poter determinare che il Magliano di quest'atto non è la Magliana della via Portuense , come crede l'ADINOLFI , ma il Magliano poi detto pecorareccio .

 22°. 1326 - Il conte Francesco di Anguillara si sottoscrive quale regius in urbe vicarius ( di Roberto d'Anjou ) nella conferma degli statuti dei mercanti di panni e di quelli dell'arte della lana ( VENDETTINI , Serie cronol . dei Senat . , pag . 27 ; CRESCIMBENI , St. di s . Maria in Cosmedin ; VITALE , Storia dipl . dei Sen. di R. ( pag . 234 ) . L'elenchus senatorum urbis , mss . nell'Archivio Capitolino lo indica parimenti vicario regio . Nelle memorie per l'istorie dei Sen. di R. mss . Capitolino attribuito al Gigli , gli si dà per compagno Riccardus Friapanis ( comunicazione ricevuta dal ch . prof . Gius . GATTI che sta elaborando la serie dei senatori in occasione della sua pubblica- zione in corso degli statuti dei mercanti ) ( 1 ) .

 ( 1 ) Studi e documenti di storia e diritto , anno 1 ° e 2 ° . Egli mi ha cortesemente dichiarato che di quanti brani conosce finora degli statuti de ' mercanti di panni e di quelli della lana , compreso l'estratto della Chigiana , nessuno contiene il nome del conte Francesco d'Anguillara , d'altronde registrato nei citati manoscritti Capitolini . La moneta del FIORAVANTE attribuita a questo Francesco medesimo , gli è negata , e giustamente , dal Vitale ( op . cit . , pag . 572 ) .

 23°. 1327 - Il conte Pandolfo dell'Anguillara , insieme con Annibale degli Annibaldesi , regius in urbe vicarius è posto , nelle citate Memorie capitoline , a quest'anno . Le fonti di questa notizia sono le lettere mutue fra il pont . Giovanni XXII e i due vicari medesimi , pubblicate dal RAINALDI ( ad an . 1327 , n . 4 e 5 , cf. VENDETTINI del Sen. Romano , pag . 280 , 281 ) .
 24°. 1336 - Orso conte dell'Anguillara , e signore di Capranica ( presso Sutri ) alberga in questo castello Francesco Petrarca . ( PETRARCA , ep . fam . , II , 12 ) .
 25°. anno sudd . — Nel Regesto di Benedetto XII ( anno II , - ep . 2 “ ) si trovano indette treugas per archiepiscopum Ebredunensem inter Ursinos et Columnenses ; e tra i fautori di casa Orsina é nominato Iohannes comes Anguillaria ..... de domo genere et parentela Ursinorum ( THEINER , op . cit . , vol . II , pag . 11 ) .
 26°. 1337 - Nella sopra citata fonte , un altro documento ( anno III , ep . 303 ) contiene la prorogazione della tregua medesima , e nomina di nuovo il conte Giovanni fra i parenti e fautori degli Orsini ; nomina poi Ursus comes Anguillariae quale fautore dei Colonnesi ( THEINER , op . cit . , II , pag . 22 ) .
 27°. anno sudd . - Petrassus Anguillariae comes e Annibale degli Annibaldi sono collocati all'anno 1337 dalle nominate Memorie Capitoline come regi vicari ; e tali appariscono nelle opere del Crescimbeni , del Vitale e del Vendettini . Questi accenna ad un istromento da lui veduto nell'Archivio di s . Maria in via Lata , che conferma questo collocamento ( 1 ) .

 ( 1 ) È inconciliabile con questa la data del 1237 che lo stesso Vendettini assegna al vicariato di Petrassus e di Annibaldo , tanto nella sua Serie cronologica , quanto nel Senato romano ( pag . 242 ) . Come potevano essere gli stessi nomi di vicari un secolo prima ? E poi qual'era il re che teneva vicari a Roma sotto il pontificato di Gregorio IX ? Evidentemente gli è un errore ripetuto dal Vendettini per negligenza.

 Senatori romani , in quest'anno medesimo , erano Orso conte d'Anguillara e Stefano Colonna , secondo un documento dell'archivio di Sancta Sanctorum ( CRESCIMBENI , op . cit . , pag . 401 , VITALE , pag . 247 ) . Tuttavia , secondo il ripetuto manoscritto Capitolino , costoro appariscono senatori nell'anno seguente , quando Petrarca venne in Roma , non però ad incoronarsi . Noto finalmente che le due più avvenenti donzelle Colonnesi , Agnese e Giovanna , erano in quel tempo maritate in casa gli Anguillara .
 28°. 1341 - Anno celebre nei fasti Capitolini per la incoronazione del Petrarca . Erano senatori Orso dell'Anguillara e Giordano degli Orsini . Il primo dei due pose il serto sul capo del poeta . I nomi dei detti senatori si trovano in un atto dello Statuto dei mercanti pubblicato dal prof . GATTI ( Studi e documenti di storia è diritto , Statuto , pag . 74 , linee 13 , 14 ) . A questo anno appartiene la lettera di Benedetto XII , colla quale då facoltà al popolo romano , finito il senatorato dei suddetti Orso e Giordano , di eleggere , per quella sola volta , i nuovi senatori pel semestre successivo . ( THEINER op . cit . , II , pag . 103 ) .
 29°. 1344 - Nel Regesto di Clemente VI ( anno 2 ° , ep . 983 ) v'è una lettera diretta : iudicibus ut Ursum comitem Anguillariae et eius nepotem inter se dissentientes ad pacem reducant . Nel testo si legge che il nipote in quistione è un Iohannes natus quondam Francisci comitis Anguillariae . ( THEINER , op . cit . , vol . II , pag . 140 ) .
 30°. 1345 - Ursus et Iohannes vengono citati di nuovo in altro documento del medesimo Regesto ( anno IV , ep . 241 ) edito da Theiner , op . cit . , II , pag . 152 .
 31°. anno sudd . - Bertoldo Orsini e Orso conte di Anguillara senatori , confermano gli statuti dei mercanti di panni , il 30 aprile di quest'anno ( GATTI G. , Statuti dei mercanti , pag . 79 , linea 14 ) . La lettera di Clemente VI , che autorizza la loro elezione per sei mesi ( Regesto ad an . III , ep . 508 ) è pubblicata da Theiner , op . cit . , II , pag . 143 .
 32°. 1346 - Istromento , in pergamena , di vendita fra gli eredi Normanni dei beni di Cere , Civitella , Loterno , ecc . Tra i confini di Civitella vi è indicato il castrum Anguillariae ( Archivio seg . Capitolino , cred . XIV , tomo 63 , perg . n . 18 ) .
 33°. 1347 - Giovanni ed Orso dell'Anguillara vengono da Clemente VI eccitati contro Cola di Rienzo , ed in favore del legato pontificio ( dal Regesto di Clem . VI , anno vi , ep . 489-563 ; GREGOROVIUS , op . cit . , libr . XI , cap.VI , S 4 ) .
 34°. 1354 - Giovanni conte di Anguillara compera il castello di Barbarano ( Archivio seg . Capitolino , cred . XIV , t . 63 , perg . n . 21 ) .

 Archivio della Società romana di Storia patria . Vol . V. 7

 35°. 1363 - Istromento in favore , dei pupilli e vedova Francesca di Giovanni dell'Anguillara . Vi sono nominate le terre ed i castelli di Capranica , Stabia , Calcata , Vicarello , Civitella , ecc . ( Archivio cit . , ivi , perg . n . 22 ) .
 36°. 1368 - Pietro e Francesco , conti di Anguillara ricevono da Urbano V intimazione di una tregua col prefetto Francesco di Vico . ( Regesto di Urbano VI , anno VI , f . 172 ; THEINER , op . cit . , II , pag . 459 ) .
 37°. 1370 - Conferma della suddetta tregua , e notificazione della medesima a Luca Savelli . ( Regesto suddetto , anno viri , f . 141 ; THEINER , ivi , pag . 477 ) .
 38°. 1401 - Compromesso di Francesco conte di Anguillara con gli Orsini , in una lite pel castello di Castiglione . Vi apparisce padre di Giovanni , e questi padre di Felice ( prescindo dalle donne ) . L'atto è rogato in rocca castri Capralice ( Archivio seg . Capitolino , cred . XIV , t . 64 , perg . n . 4 ) .
 39°. anno sudd . – Compromesso di Nicola dell'Anguillara per sè e pel figlio Giacomo : actum in castro Ceris ( ivi , perg . n . 5 ) .
 40°. 1406-1408 - Morte di Francesco e di Nicola dell'Anguillara , come si rileva dall'epitaffio del loro sepolcro bisomo , ch'è nel coro della chiesa di s . Francesco in Capranica . ( MAGALOTTI , manoscritto Chigiano , vol . IIII , f . 535 ; Marocco , op . cit . , vol . XIV , pag . 159 ) .
 41°. 1414 - Angela , contessa dell'Anguillara , moglie di Gentile Orsini esibisce ad Alberto Ricci arcivescovo di Firenze la bolla di Giovanni XXIII sull'investitura del castello di Campagnano ( Archivio Orsini , perg . n . 1283 ; COPPI , Atti cit . , vol . XV , pag . 301 ) .
 42°. 1419 – Nel catasto dell'ospedale SS . Sanctorum , sotto quest'anno ( pag . 105 ) è notato doversi fare l'anniversario pel magnifico domino comite Everso Anguillariae sepulto in ecclesia S. Marie Maioris .... e vi apparisce come benefattore dello spedale ( ADINOLFI , Laterano e via Maggiore , pag . 87 e seg . )
 43°. 1423 - Mandato di procura di Bertoldo Orsini al fratello Giovanni per esigere somme pecuniarie da Nicola e Giacomo dell'Anguillar ( Archivio seg . Capitolino , ivi , t . 64 , perg . n . 6 ) .
 44°. anno sudd . - Quitanza di eredità ricevuta , fatta da donna Aurelia figlia di Giacomo de ' Venturini e di donna Milla degli Anguillara ( Arch . seg . Capitol . , ivi , perg . n . 7 ) .
 45°. 1425 – Elena figlia di Nicola degli Anguillara dona sei mila fiorini al fratello Giacomo ( Arch . seg . Capit . , ivi , perg . n . 8 ) .
 46°. anno sudd . - Elena , come sopra , rinunzia al fratello ogni diritto , per avere ricevuto la dote , rimanendo pel residuo ipotecato in favore del marito , conte Dulcio , il castello di Cesano ( Arch . seg . Capitolino , ivi , perg . n . 9 ) .
 47°. anno sudd . - Elena , come sopra , rinunzia in favore del proprio fratello l'eredità della madre Costanza ( Arch . seg . Capit . , ivi , perg . n . 10 ) .
 48°. 1426 - Enfiteusi a terza generazione maschile concessa a Pandolfo e a Giacomo degli Anguillara , del castel di Guido , dal monistero di s . Gregorio di Roma ( Arch . seg . Capit . , ivi , perg . n . 11 )
 49°. 1427 - Compromesso nella divisione di beni tra Giovanni , Pandolfo , Giacomo e Felice degli Anguillara , innanzi agli arbitri Antonio Colonna , Alto de'Conti e Antonello Savelli : actum Romae apud SS . Apostolos ( Arch . seg . Capitol . , ivi , perg . n . 12 ) .
 50°. 1428 - Istromento solutionis censuum super castro Guidonis di Pandolfo conte dell'Anguillara ( Arch . seg . Capit . , ivi , perg . n . 13 ) .
 51°. anno sudd . — Pagamento di un residuo , in fiorini soo , pagato da Pandolfo a Giacomo pel castello di Sipiciano da lui comperato ( Arch . seg . , Capit . ivi , perg . n . 14 ) .
 52°. anno sudd . - Pandolfo dell'Anguillara rifiuta la somma di mille fiorini in favore di Giacomo ( Arch . seg . Capit . , ivi , perg . n . 15 ) .
 53°. 1429 - Convenzione fra Giovanni e Giacomo dell'Anguillara sulla divisione di alcuni beni ( Arch . seg . Capit . , tomo 65 , perg . n . 13 ) .
 54°. anno sudd . - Istromento di divisione dei beni di - Capranica , Stabia , Magliano e Cesano tra Giovanni , Francesco e Pandolfo dell ' Anguillara ( Arch . seg . Capit . , perg . n . 7 ) .
 55°. anno sudd . - Istromento di convenzione tra il conte Everso e il conte Giacomo dell'Anguillara intorno ad un mulino presso Capranica ( Arch . seg . Capit . , ivi , perg . n . 1 ) .
 56°. 1430 – Dulcio conte dell'Anguillara obbliga in favoré di Elena , sua futura sposa , i castelli di Anguillara , Rouciglione ed altri ( Arch . seg . Capit . , ivi , perg . n . 12 ) .

 ( 1 ) Il principe ( loc . cit . ) riconobbe le tracce del portico citato in quest'atto , nel palazzo degli Anguillara in Trastevere.

 57 ° . 1432 Istromento di permuta tra Pandolfo conte dell'Anguillara e Pensoso signore di Monterano , ri- guardante i castelli di Calcata , Tolfa e Monterano : actum Romae in regime transtiberim et in porticali do- mus habitationis supradicti Pandulphi , ecc . ( Arch . seg . Capit . , ivi , perg . n . 10 ; MASSIMO , Sulla torre degli An- guillara , pag . 9 ) ( 1 ) .
 58 ° . 1439 Notizie riguardanti case nell'interno del castello degli Anguillara , in quest'anno ( dall'Archivio di s . Lorenzo in Panisperna . Cod . Vat . , 7946 , f . 158 ) .
 59 ° . 1440 - Testamento di donna Battista Orsina , che istituisce eredi Everso , Dulcio , Elena degli Anguillara e il bastardo Vannola ( Arch . seg . Capit . , cred . XIV , t . 65 , perg . n . 4 ) .
 60 ° . anno sudd . - - Bolla di Eugenio IV confermante al conte Everso di Anguillara il possesso di Castel di Vico e Caprarola ( Arch . seg .

第7巻

  ( 1 ) Giovan Battista figlio del conte Panalfo e Signore di Stabbia ; cnf . sopra nota 1 a pag .

 25 ° Nell'anno 1451 il conte Orso dell'Anguillara diede un'ipoteca sul castello di Fiano in favore di sua moglie Elisabetta ( 2 ) ;
 26 ° L'anno 1464 Pio II, nella sua famosa partenza per la Crociata , passò la seconda nottata del suo viaggio pel Tevere presso il porto di Fiano , e prese terra presso il Soratte nella badia di s . Andrea . Ecco le parole dell'AMMANNATI in proposito : Postridie ante ortum solis inde ( Castel Giubileo ) abeuntes Phianum accessimus primis iam intendentibus tenebris longam subvectionem emensi passuum amplius miliarum sexaginta . Coenatum quoque est et pernoctatum in flumine . Poi soggiunge la disgrazia di un marinaio di 20 anni affogato , con gran dolore del Papa e di tutti gli astanti ( 3 ) ;
 27 ° Nell'anno 1473-74 era professore nella Università di Roma messer Nucio da Fiano grammatico ( 4 ) ;
 28 ° Nell'anno 1478 Paola Orsini , sorella germana di Orsino ...Orsino degli Orsini duca d'Ascoli , governava Fiano ( 5 ) ;
 29 ° Nell'anno 1479 Elisabetta dell'Anguillara fu redintegrata nei beni di Fiano ( 6 ) ;
 30 ° Nella guerra di Alfonso d'Aragona con Roberto di Sanseverino , sotto Innocenzo VIII , Alfonso invase la Teverina . Ci rimane la memoria dei suoi movimenti strategici in Ponzano , Leprignano , Fiano , ecc . , nell'istoria dell'Albino ( 7 ) ;

第10巻

XXXIII . – 1401 , maggio 26 . CERI .

 Nicola cavaliere e conte dell'Anguillara , anche a nome di Giacomo Bianco figlio di lui e della fu Tanza de Albertheschis , figlia ed erede , insieme con Ludovica e Maria sue sorelle , Magnifici Viri Joannis Stephani de Albertheschis , nomina a suo arbitro Nicola de Bondiis , dottore in legge del rione Trastevere , per risolvere tutte le questioni insorte fra lui e Cola , Giovanni e Bertoldo Orsini , figli del cavalier Troilo , pel possesso di Castiglione e di altri castelli e beni , provenienti dalle famiglie de Normandis e de Albertheschis .
 Graziano di ser Ludovico di Amelia , notaro e giudice ordinario .

XXXIV . 1401 , maggio 28 . CAPRANICA .

 Francesco conte dell'Anguillara , a nome anche di Giovanni suo figlio , e di Felice figlio a questo ed alla fu Ludovica , figlia ed erede del q . Giovanni di Stefano de Albertheschis ; Maria de Albertheschis moglie ad Angelo , detto Cocco , figlio del detto conte Francesco , e figlia ed erede ( insieme con la detta Ludovica e Tanza sue sorelle ) di Giovanni di Stefano suddetto , eleggono a loro arbitro Nicola de Bondiis di Trastevere , dottore in legge , per comporre tutte le questioni vertenti fra essi e Cola , Giovanni e Bertoldo figli di Troilo Orsini , per il castello di Castiglione e per altri loro possedimenti .
 Graziano del q . maestro Pietro , giudice e notaro .

XXXV . 1423 , aprile 26 . MagliANO IN SABINA .

 Bertoldo di Troilo Orsini , come erede di Cola e cessionario di Giovanni suoi fratelli , fa suoi procuratori il detto Giovanni e Sante Antonii Andreutii di Gavignano , notaro , a ricevere dagli eredi dei conti dell'Anguillara e degli Alberteschi quanto gli spetta sul castello di Castiglione e sugli altri beni , secondo l'arbitraggio pronunciato dal cardinale Giovanni , vescovo di Albano , e da Poncello Orsini zio di esso cardinale , ed a ricevere generale quietanza anche a favore delle comunità di Foglia , Pompegio e Gavignano .
 Bartolomeo di ser Pietro di Magliano in Sabina , notaro e giudice ordinario .

XXXVI . - 1423 , settembre 22 . CERVETRI .

 Aurelia , figlia del fu Giacomo de Venturinis e di Milla dell'Anguillara , fa generale rinuncia dei diritti a lei spet- tanti sulla eredità paterna e materna in favore della sua madre Milla e dei fratelli Bucio e Nicola , avendo ricevuti dalla prima ducati cinquecento di oro , e dai secondi ducati duemila , in occasione del suo matrimonio con Paolo Pietro dei Monaldeschi ( 1 ) .

 ( 1 ) Copia in data 3 gennaio 1429 , autenticata da Angelo Cicchi Georgii , notaro di Tivoli , da Luchino di Genova , giudice palatino collaterale della curia di Campidoglio e luogotenente di Ugolino de Farneto , dottore in legge , cavaliere perugino e senatore di Roma , e da Pietro Paolo Palutii magistri Nicolai e Paolo Johannis Antonii Nicolai capudmagistri , notari correttori ed officiali dei notari di Roma .

 Cecco Georgii , notaro di Tivoli .

XXXVII . 1425 , gennaio 10 .

 Elena , figlia del fu conte Nicola dell'Anguillara , rinuncia al suo fratello Giacomo conte dell'Anguillara tutti i suoi diritti sulla eredità paterira per la sua dote di fiorini 6000 , essendosi obbligato il detto suo fratello di dare al futuro sposo di lei Dolce conte dell'Anguillara mille fiorini e , per gli altri 5000 , l'ipoteca sul castello di Cesano , appartenente ad esso ed a Giovanni , figlio del fu conte Francesco e a Pandolfo del q . Angelo , conti dell'Anguillara .
 Giovanni di Bertoldo di Narni , notaro .

XXXVIII . 1425 , luglio 9 . ROMA .

 Elena , figlia del fu conte Nicola dell'Anguillara chiede al giudice di Campidoglio e collaterale di Ugolino conte di Planano , senatore di Roma , l ' insinuazione e la registra- zione della rinuncia e donazione di tutti i suoi diritti sulla eredità della sua madre Costanza , prima moglie del suo genitore conte Nicola , fatta in favore del suo fratello Giacomo conte dell'Anguillara sotto questa stessa data .
 Simone Johannis Pauli de Romaulis , notaro palatino e dei collaterali della curia di Campidoglio .

XXXIX . -1425 , luglio 13 . ROMA .

 Elena , figlia del fu Nicola conte dell'Anguillara , per mezzo del suo procuratore Simone de Romaulis , dimanda . al giudice di Campidoglio che sia insinuata e registrata la donazione di 4000 fiorini che le furono promessi in dote ed ipotecati sopra il castello di Cesano dal suo fratello Giacomo dell'Anguillara , da avere effetto in favore di questo , qualora essa donatrice muoia senza figliuoli prima del suo futuro sposo Dolce conte dell'Anguillara .
 Alberto di Cecco de Romanlis , notaro palatino e dei collaterali della curia di Campidoglio .

XL . 1426 , gennaio 15 . ROMA .

 I monaci dei Ss . Andrea e Gregorio in Clivo Scauri concedono in enfiteusi a terza generazione mascolina a Pandolfo , Giovanni e Giacomo conti dell'Anguillara e signori di Capranica il castello diruto denominato Castel di Guido con tutto il suo territorio per l'annua corrisposta di 15 paia . di palombi , un cinghiale almeno di un anno e quattro rubbia di grano , o dieci fiorini invece del grano ( 1 ) .

 ( 1 ) Copia di Gorio magistri Nicolai , notaro , priva di data .

 Francesco Joannis Pauli de Romaulis , Nardo Venettini , notari .

XLI . - 1427 , settembre 15 . ROMA .

 Il conte Giovanni di Capranica , figlio del fu conte Francesco dell'Anguillara , per sè e per Felice suo figlio , insieme con Pandolfo del fu Angelo e Giacomo del fu Nicola , ambedue di Capranica e conti dell'Anguillara , eleggono a loro arbitri nelle questioni insorte per la divisione dei loro beni ereditari Antonio Colonna , Alto del Conte ed Antonello Savelli .
 Angelo Cole magistri Tutii ; Leonardo di Nicola de Buccamatiis ; Antonio del fu Bartolomeo de Cambiis ; Antonio di Nicola de Rusticellis , notari .

XLII . 1427 , settembre 28 . ROMA .

 Il conte Felice di Capranica , figlio di Giovanni conte dell'Anguillara , conferma l'anzidetta elezione di arbitri ( 1 ) .

 ( 1 ) Al senso incompleto per la rottura della pergamena si è supplito col contenuto dell'atto precedente .

 Angelo Cole magistri Tutii ; Leonardo di Nicola de Buccamatiis ; Antonio di Nicola de Rusticellis , notari .

XLIII . 1428 , agosto 16 . CAPRANICA .

 Pandolfo conte dell'Anguillara , figlio del fu Angelo , dichiara di ritenere in deposito cinquecento fiorini di Giacomo conte dell'Anguillara figlio del fu Nicola , quale resto del prezzo della metà di Sipicciano vendutagli dal conte Gia- como per 1500 fiorini , al quale si obbliga di renderli entro il futuro mese di maggio .
 Giovanni Bertoldi di Narni , notaro e giudice ordinario .

XLIV . 1428 , agosto 16 . CAPRANICA .

 Pandolfo del q . Angelo conte dell'Anguillara fa quietanza per mille fiorini che gli dovea il conte Giacomo dell'Anguillara e che furono conteggiati nel prezzo della metà di Sipicciano venduta dal detto conte Giacomo al detto Pandolfo .
 Giacomo Bertoldi di Narni , notaro e giudice ordinario .

XLV . - 1428-29-30-31-32-35-36-37-38-42-47 .

 Quietanza di diversi vicari di Sagace Conti , vescovo di Carpentrasso e commendatore del monastero dei Ss . Andrea e Gregorio in Clivo Scauri , in favore di Pandolfo conte dell'Anguillara , per l'eseguito pagamento del censo consistente in quattro rubbia di grano , un cinghiale di un anno e 15 paia di palombi , o di fiorini dieci invece del grano , e fiorini tre invece del cinghiale e dei palombi , dovuto al detto monastero per l'enfiteusi di Castel di Guido .

XLVI . - 1429 , gennaio 15 . ROMA .

 Giovanni di Capranica , col consenso ed intervento di Felice suo figlio e Giacomo di Capranica , tutti conti dell'Anguillara , si obbligano reciprocamente di tenere uniti per cinque anni i beni paterni e materni che loro toccheranno nella divisione che avrà luogo fra essi e il conte Pandolfo dell'Anguillara colla mediazione di B. cardinal di Piacenza deputato dal papa e promettono di non aderire a siffatta divisione senza il consenso di tutti essi .

XLVII . 1429 , gennaio 16 . ROMA .

 Divisione dei beni paterni e materni e specialmente dei castelli di Capranica , Stabia , Magliano Pecorareccio , Cesano , Bassano e Ceri coi loro territorî , vassalli , ecc . , seguita fra Giovanni del fu Francesco e Felice suo figlio , Giacomo del q . Nicola e Pandolfo del q . Angelo , conti dell ' Anguillara , coll ' intervento del cardinal di Piacenza deputato dal papa e di Antonio Colonna e Antonello Savelli , eletti arbitri dai predetti signori come loro consanguinei ed amici .
 Antonio de Rusticellis e Leonardo de Bucchamatiis , notari .

XLVIII . 1430 , marzo 4 . ROMA .

 Dolce del q . Dolce conte dell ' Anguillara dichiara di aver ricevuto da sua moglie , Elena di Capranica , sorella di Giacomo conte dell'Anguillara , la dote di seimila fiorini , obbligando per la medesima la metà dei castelli di Anguillara , Ronciglione , Mazzano , Viano e Giove .
 Angelo Cole magistri Tutii e Antonio De Rusticellis , notari .

XLIX . - 1432 , marzo 20 . ROMA .

 Convenzione risguardante la permuta e la riconsegna della terza parte dei castelli di Monterano , Tolfavetere e dell'intera Calcata , conchiusa fra Pandolfo del fu Angelo , Giacomo del fu Nicola a nome anche di Giovanni , tutti conti dell'Anguillara , e Pensoso dei signori di Monterano .
 Paolo Lelli Petronii , notaro .

L. 1437 , settembre 15 . TODI .

 Todino del fu ser Polino dichiara di aver ricevuto da Andrea Matteii Federici la dote assegnata a Franceschina . moglie di esso Todino in fiorini 125 di oro e varie case e terreni posti in Todi .
 Giacomo Mallii , notaro e giudice ordinario .

LI . - 1438 , marzo 25 . CAPRANICA .

 Giacomo dei conti dell'Anguillara signore di Capranica , anche a nome degli abitanti del detto castello , promette di accettare l'arbitrato di Giovanni Gattilo di Viterbo , scelto dal popolo di Barbarano per definire la questione vertente fra esso popolo e il detto Giacomo per la tenuta detta Lo piano o Lo campo di San Secondo .
 Giacomo Nicolay Guerci , notaro e giudice ordinario .

LII . 1439 , ottobre 23 . CAPRANICA .

 Pandolfo del q . Angelo conte dell'Anguillara approva la procura fatta anche a suo nome da Giacomo del q . conte Nicola , nelle persone dei notari ser Giacomo Johannis Ni- colassi de Faianis di Viterbo , ser Raimondo ser Angeli , ser Bartolomeo Tomassi , ser Valentino ser Fredi di Viterbo e ser Antonio ser Jacobi di Viterbo , a rappresentarli nelle cause da muoversi insieme con Giovanni del q . conte Francesco dell'Anguillara contro gli eredi del fu Guglielmino Johannis de Vetulis di Viterbo .
 Francesco Betini , notaro e giudice ordinario .

 Archivio della R. Società romana di storia patria . Vol . X. 17 .

LIII . - 1440 , luglio 21 . FIRENZE .

 Il papa Eugenio IV conferma la vendita dei castelli di Vico e di Caprarola , fatta per fiorini 7375 d'oro a favore di Everso conte dell'Anguillara quando militava agli stipendî della Chiesa , dal fu Giovanni cardinale di San Lorenzo in Lucina , per assoldar genti per la Santa Sede , colla detrazione di fiorini 3875 d'oro , gravanti i detti castelli a vantaggio della fu Maria del q .Orso , vedova del fu Pietro de Vico , della quale è erede il predetto conte Everso . Comincia : Hiis que pro .
 Dat . Florentie anno ab in . 1440 Pont . nostri anno decimo .

LIV . 1440 , agosto 2 . ANGUILLARA .

 Testamento di Battista Orsini contessa di Nola con la istituzione degli eredi universali nelle persone dei conti Everso e Dolce , Elena prefettessa e Vannola figli della testatrice .
 È unito al medesimo un codicillo della contessa suddetta , in data 30 ottobre 1444 , in cui , fra le altre disposizioni , si trova che , qualora abbiasi a vendere il castello di Supino lasciato al conte Dolce , vengano preferiti gli eredi di Vannola sua figlia ( 1 ) .

 ( 1 ) Copia pubblicata da Agostino domini Martini , correttore ed ufficiale del vener . Collegio dei notari di Roma , in data 20 dicembre 1446 , e approvata dal giudice palatino Agnelotto De Agnelottis , reatino collaterale e luogotenente di Giovanni de Maxeis di Narni , senatore di Roma , e da due altri notari ufficiali e correttori del Collegio suddetto , cioè Grifonetto de Grifonibus e Domenico Petri Pauli de Bonis .

 Giovanni del q . Maternino , notaro dell'Anguillara .

LV . 1446 , settembre 13 . VIANO .

 Nicola figlio di Giacomo de Venturinis , signore di Cervetri , dona ad Everso figlio del conte Dolce e a Felice figlio di Giovanni , conti dell'Anguillara suoi consanguinei , tutti i suoi beni , riservandosene l'usufrutto durante la vita sua e quella della sua moglie Caradonna , e facendo varie riserve in favore della sua sorella Aurelia moglie di Pauli Petri dei Monaldeschi ed a vantaggio della sua figlia Margherita moglie del N. U. Bucio Nigri di Bracciano ed annullando qualunque altra disposizione fatta , specialmente a favore di Bucio suo fratello , dal quale era stato sempre trattato come capitale nemico .
 Matteo del q . Ambrogio di Barbarano , notaro e giudice ordinario in solidum con Michelangelo del q . Arcangelo , notaro di Spoleto , e ser Antonio q . presbiteri Leonardi di Ronciglione , notaro .

LVI . 1446 , ottobre 19 . ROMA .

 Il nobil uomo Antonio de Rusticellis , procuratore di Nicola del q . Giacomo de Venturinis , signore di Cervetri , di Everso figlio del fu Dolce e di Felice figlio del q . Giovanni conti dell'Anguillara , avanti al nobile e sapiente uomo Mariano dell'Aquila , dottore in legge , giudice palatino e collaterale della curia di Campidoglio , ed al magnifico uomo Perrino Dentato , cavaliere napolitano e senatore di Roma , chiede la insinuazione e conferma della donazione di tutti i beni fatta da Nicola de Venturinis a favore di Everso e Felice , conti dell'Anguillara suddetti , sorpassando essa la somma di cinquecento fiorini .
 Matteo del q . Ambrogio , notaro e giudice ordinario ; Michele Angeli q . Arcangeli di Spoleto , notaro .

LVII . 1449 , gennaio 5 . RONCIGLIONE .

 Vendita di una mola da grano posta nel territorio di Capranica in vocabolo La Valle , pel prezzo di 500 fiorini , fatta da Everso conte dell'Anguillara a Giacomo conte dell'Anguillara .
 Amadeo q . Johannis Colutie de Odeschis , notaro e giudice ordinario .

LVIII . 1451 , maggio 26 . ROMA .

LXXX . — 1486 , settembre 25 . ROMA .

 Giovanni Lup , decano della chiesa di Segovia , deputato dal papa a giudicare le cause sospese per l'assenza del vescovo di Caiazzo , fa precetto , sotto pena di scomunica , a tutte le autorità e persone ecclesiastiche e a tutti i notari e tabellioni e particolarmente al Capitolo della basilica di S. Pietro ed a quelli delle altre chiese di Roma , di citare dovunque e anche pubblicamente entro sei giorni il chierico Roberto Savelli ad assistere fino alla fine al giudizio , a cui fu chiamato da Francesco dell'Anguillara di Ceri , canonico della detta basilica , per rispondere delle minaccie e millantazioni fatte e delle molestie arrecate al medesimo , pel possesso dell'anzidetto canonicato . Gentile Cagnoni , notaro .

LXXXI . 1487 , agosto 24. In Castro Insulae ( 1 ) .

 ( 1 ) In castro Insulae extra urbem in partibus transtiberinis ( Isola Farnese ) .

 Bartolomeo dei conti dell'Anguillara , anche a nome del suo fratello Ludovico , vende a Francesco dei conti suddetti per sè e suo fratello Giovanni la terza parte del castello di Ceri e del suo territorio per 6500 ducati . Ludovico Johannis Antonii di Bassano di Sutri .

LXXXII . 1488 , agosto 10 , settembre 8 . ROMA .

 Il nobil uomo Onofrio q . Laurentii Palini De Cicchis della Renella vende ad Elisabetta dell'Anguillara duchessa di Ascoli ( in Capitanata ) del rione di S. Eustachio una casa nel rione di Trastevere in loco qui dicitur Ripa Romea per 600 ducati di oro papali di 75 bolognini ognuno , liberi da ogni gabella . La detta Elisabetta agli 8 di settembre dello stesso anno prende possesso della suddetta casa . Massimo magistri Antonii de Thebaldis , notaro .

LXXXIII . 1489 , aprile 4 . ANGUILLARA .

 Estratto dal testamento di Domenico del fu Dolce conte dell'Anguillara , contenente soltanto la istituzione dell'erede universale nella persona di Elisabetta dell'Anguillara duchessa di Ascoli sorella del testatore , e la nomina degli esecutori testamentari nelle persone dei cardinali Giorgio di Lisbona ed Ascanio Sforza Visconti . Ippolito Petri di Sutri , notaro e giudice ordinario .

LXXXIV. - 1489 aprile 4 ANGUILLARA.

 Domenico del fu Dolce conte dell'Anguillara fa il suo testamento , nel quale istituisce erede universale Elisabetta dell'Anguillara duchessa di Ascoli sua sorella ed eredi sostituiti e legatari la sua moglie Francesca sorella di Napoleone Orsini , Rosa sua figlia naturale sposata a M. Francesco de Cordanellis , Bernardino figlio del q . Orso suo fratello , Giacomo , Rainaldo ed Ascanio figli di Diofebo conte dell'Anguillara , Giuliano dei detti conti signore di Stabia , Giovanni signore di Ceri , Ludovico del fu Giacomo , Dolce , ecc . , ed esecutori testamentari nelle persone dei cardinali Giorgio di Lisbona ed Ascanio Sforza Visconti.
 Ippolito Petri di Sutri , notaro e giudice ordinario.

XCIII . 1505 , febbraio 14 . Roma .

 Il nobil uomo Giulio q . Antonii Petri Mathei de Albertonibus del rione di Campitelli , procuratore di Antimo Savelli di Albano , nomina arbitri i nobili uomini Girolamo de Pichis , Antonio q . Angeli Palutii de Albertonibus , Benedetto de Saxis , canonico della basilica di S. Pietro , e Gaspare de Sanguineis , per decidere ogni questione vertente tra il suddetto Antimo Savelli e Giovanni dell'Anguillara di Ceri Orsini , per la terza parte del castello di Bassano .
 Pacifico di Nardo de Pacificis , notaro .

XCIV . 1505 , febbraio 15 .

 Giulio Orsini di Monterotondo , come procuratore di Giovanni di Ceri Orsini , accetta in qualità di arbitri nelle questioni insorte tra il suo rappresentato ed Antimo Savelli di Albano , per la terza parte di Bassano , i nobili uomini Girolamo de Pichis , Antonio q . Angeli Palutii de Albertonibus , Benedetto de Saxis , canonico della basilica di S. Pietro , e Gaspare de Sanguineis .
 Pacifico di Nardo de Pacificis e Prospero de Cell . di Acquasparta , notari .

XCV . 1505 , febbraio 15 . Roma .

 Sentenza emessa dagli arbitri eletti da Giovanni di Ceri dell'Anguillara ed Antimo Savelli , colla quale si condanna il detto Giovanni a pagare ad Antimo suddetto ducati 2500 per la cessione della terza parte del castello e territorio di Bassano .
 Nella medesima data :
 Giulio Orsini a nome di Giovanni dell'Anguillara di Ceri accetta la sentenza arbitrale sopra indicata e si obbliga di pagare entro due anni ad Antimo Savelli la somma di ducati 2500 come correspettivo della terza parte di Bassano da questo cedutagli , dando come mallevadori i N. U. Giambattista del q . Miccinello , Antonio del q . Battista de Mattheis e Stefano ed Onofrio q . Velli , tutti del rione di Trastevere .
 Pacifico di Nardo de Pacificis e Prospero de Cell . di Acquasparta , notari .
 Nella stessa data :
 Il N. U. Giulio Petri Matthei de Albertonibus , procuratore di Antimo Savelli , approva la sentenza summenzionata .
 Pacifico di Nardo de Pacificis , notaro .

XCVI . 1507 , aprile 12 . ROMA .

 Antimo Savelli si dichiara soddisfatto della somma di ducati 2500 pagatagli , in più volte , da Giovanni di Ceri Orsini , per la terza parte di Bassano a questo ceduta in forza dell'arbitrato di sopra riferito .
 Pacifico di Nardo de Pacificis e Prospero de Cell . di Acquasparta , notari .

XCVII . – 1507 , giugno 7 . GAETA .

 Ferdinando re di Aragona , Sicilia , ecc . approva l'obbligazione dei beni allodiali e feudali fatta da D. Antonio de Cardona marchese di Padula e barone usufruttuario delle terre e castelli della Castelluccia , di Trentenario , Bonabitacolo e Casalnuovo , per garanzia di ducati 12,000 , dote della propria moglie Francesca figlia di Giovan Giordano Orsini .
 Michele Perez Dalmacan ( de mandato ) .

XCVIII . 1507 , 2 luglio . Roma .

 Pompeo Colonna , protonotaro apostolico , fa quietanza di quanto gli dovea Bernardino dell'Anguillara suo cognato , e specialmente della dote della defunta Faustina Colonna moglie di questo .
 Antonio de Orlandis di Genazzano , notaro .

第29巻

 Nel 1321 il conte Pandolfo , già sposo fin dal 1317 di Orsina di Francesco Orsini ( 1 ) ,

 ( 1 ) Cf. p . 421 .

prese parte insieme con Poncello Orsini alle imprese dei guelfi del Patrimonio , che cercavano di ristabilire il proprio partito nelle varie città , e nel secondo semestre 1321 e nel primo dell'anno seguente fu nominato podestà di Orvieto ( 2 ) .

 ( 2 ) Annales Urbevetani , ed . FUMI in loc . cit . p . 182 e nota 7 ; Pardi , op . e loc . cit . p . 385. Il MANENTE ( op . cit . p . 207 ) , confondendo gli uffici , afferma che il conte Pandolfo sostitui lo zio Poncello nell'ufficio di capitano ( cf. Annales cit . ) e aggiunge che « il suddetto « conte entro nella città con dugento cavalli i quali furono pagati per « sei mesi da Orvetani » .

 Ad esso e ai suoi fratelli si rivolgeva nel 1322 il lontano pontefice perchè dessero al rettore del Patrimonio un notevole contingente di forze , per il ricupero delle terre perdute o contrastategli ( 3 ) .

 ( 3 ) Arch . Vatic . Reg . Iohannis XXII , t . III , ep . n . 1386 .

 Il conte Francesco ( 4 )

 ( 4 ) A questo conte fu concessa nel 1322 , 1 ° aprile , dal pontefice Giovanni XXII la dispensa per contrarre nozze con Tommasa del fu Giovanni Normanni ( MOLLAT , Lettres communes cit . n . 15245 ) .

presto , forse più degli altri suoi fratelli , aiuti al pontefice : egli , infatti , con altri nobili guelfi ( 5 ) ,

 ( 5 ) ANTONELLI , La dominazione pontificia nel Patrimonio cit . XXVI , 252 .

validamente contribui alla lunga e difficile impresa del ricupero di Miranda , e per tale ragione Giovanni XXII lo ringraziava , prodigandogli lodi a piene mani , il 29 decembre 1326 ( 6 ) ,

 ( 6 ) Il De Cupis ( Regesto cit . 1904 , p . 192 ) attribuisce a questo documento la data del 2 gennaio 1326 senza pensare che in quel mese il conte Francesco non era vicario regio : mentre il documento è chiaramente datato « .1111 . kalendas ianuarii anno undecimo ) .

quando cioè il suddetto conte era vicario regio in Roma di Roberto d'Angiò , carica che tennə dal luglio al decembre di quell'anno ( 7 ) .

 ( 7 ) A. VENDETTINI , Serie cronologica dei senatori di Roma , 1788 p . 27 ; F. A. VITALE , Storia diplomatica de ' senatori di Roma , Roma , 1791 , 1 , 234 ; L. POMPILJ OLIVIERI , Il Senato romano , Roma , 1840 , p . 237 . Secondo questi autori citati , Francesco dell'Anguillara si sottoscrive nella conferma degli statuti de ' Mercanti e di quelli dell'Arte della lana , ma il Gatti , studioso di tali statuti , come ci riporta il TOMASSETTI ( op . cit . p . 94 ) , non ha mai incontrato il nome del conte Francesco nei numerosi brani di statuti che egli conosce ( cf. per le altre fonti della notizia TOMASSETTI , op . cit . ) . A quest'ufficio di Francesco si riconnette , secondo il FIORAVANTE , citato dal VENDETTINI ( ivi ) , una medaglia senatoria nel cui lembo inferiore sono due anguille ; il VITALE ( op . cit . p . 572 ) nega l'affermazione del Fioravante .

 Segui nell'ufficio di vicario regio , per il primo semestre 1327 , il conte Pandolfo , fratello di Francesco , insieme con Annibaldo degli Annibaldi ( 1 ) .

 ( 1 ) VENDETTINI , Del Senato romano , Roma , 1782 , p . 281 ; VITALE , op . cit . p . 234 ; POMPILJ OLIVIERI , op . cit . p . 237 .

Questi due nobili furono vicari in Roma in tempi non facili , quando cioè i Romani , irrequieti e insofferenti della lontananza del pontefice , tumultuavano frequentemente .
 I malcontenti ed i timori si accrebbero alla notizia della venuta di Ludovico il Bavaro , si che assai difficile fu per i vicari di mantenere la calma : essi invano si rivolsero al pontefice che non indugiasse a prendere qualche provvedimento ; questi rispose loro l'8 giugno da Avignone senza fare alcuna promessa , con parole vaghe e indeterminate , piene solo di lodi e di esortazioni ( 2 ) .

 ( 2 ) RAYNALDI , Annales ecclesiastici , a . 1327 , n . 5 ; e De Cupis ( op . e loc . cit . p . 193 ) il quale assegna erroneamente alla lettera del pontefice la data 8 giugno 1326 .

 Alla fine di questo mese il conte Pandolfo scadeva dal suo ufficio , e forse stanco delle lotte , si ritirò come altri nobili in qualche suo castello in provincia ( 3 ) ;

 ( 3 ) GREGOROVIUS , Geschichte cit . VI , 135 .

e ivi si trovava il 20 luglio 1327 quando il pontefice da Avignone raccomandavagli il cardinal Giovanni Orsini , suo legato in Tuscia , che si recava a Roma per operare a favore della Santa Sede ( 4 ).

 ( 4 ) RAYNALDI , op . cit . a . 1327 , n . 14 .

 La notizia del tradimento si sparse in un baleno , facendo grandissima impressione su tutti , perchè , secondo ci ricorda il Villani , nelle lotte di fazione tra Orsini e Colonna , non erano mai corsi fatti di sangue cosi indegni . Il cardinale Giovanni Orsini , legato pontificio in Tuscia , zio paterno di Bertoldo Orsini , e materno di Francesco dell'Anguillara , decise di fare vendetta del tradimento . Assedio Castel di Giove ( 1 ) ,

 ( 1 ) RAYNALDI , Annales cit . a . 1333 , n . XXV .

appartenente ai Colonna , e forse sarebbe andato anche più innanzi , se non fosse stato ammonito dal pontefice ( 2 ) ,

 ( 2 ) Ibid .

il quale , a sua volta , si dolse profondamente con lui dell'avvenuto ( 3 ) ,

 ( 3 ) De Cupis , op . cit . 1904 , p . 271 .

come già avevano fatto alcune città del Patrimonio ( 4 ) .

 ( 4 ) Gli Orvietani , appena avuta notizia del fatto , nominarono due ambasciatori , che si recassero a Narni , per presentare al cardinale legato , Giovanni Orsini , le condoglianze della città ( Savio , Le tre famiglie Orsini di Monterotondo , di Marino e di Manoppello in Bollettino della Società Umbra di stor . patr . II , 89 ) .

 Senza dubbio l'avvenimento rincrudi le inimicizie e gli odii tra le case rivali , si che Roma divenne un vero campo di battaglia dove le ire di fazione si sfogavano ogni giorno e ad ogni occasione ( 5 ) .

 ( 5 ) GREGOROVIUS , Geschichte cit . VI , 183 .

 Il pontefice Giovanni XXII intervenne per la pace , invocando l'aiuto del popolo romano , e deputando mediatore di essa Bertrando di S. Genesio , che , il 24 giugno 1334 , aveva indetto una tregua tra i nemici ( 6 ) ;

 ( 6 ) DE Cupis , op . cit . 1904 , p . 274 .

e Benedetto XII, anch'egli da Avignone , il 18 marzo 1336 , riformava e confermava i capitoli della pace tra i Colonna , gli Orsini , e Giovanni conte dell'Anguillara ( 1 ) , figlio dell'ucciso Francesco .
 Gli odii però covavano sempre , e benchè nel convento di Aracoeli il 13 gennaio 1336 quei fieri avversari si fossero stesa la destra e avessero giurata una pace di due anni ( 2 ) , il pontefice , prima che questa spirasse ( ; agosto 1337 ) , rinnovo la tregua per altri tre anni ancora ( 3 ) , raccomandando con calde lettere da Avignone , ai vicari del Senato e ai consoli delle arti , che la facessero osservare ( 1 ) ea Giovanni Orsini , arcivescovo di Napoli , che riconciliasse gli animi ( 5 ) .
 Ma a questo punto noi dobbiamo arrestarci , perchè nella tregua del 1337 indetta dal pontefice , troviamo apertamente nominato fra gli Orsini il conte Giovanni dell'Anguillara figlio dell'ucciso Francesco , e tra i Colonnesi , il conte Orso dell'Anguillara , zio di lui . La constatazione ci fa meraviglia , ma la spiegazione non ci riuscirà difficile , se pensiamo alla parentela , che univa Orso alla casa Colonna , anzi prendendo occasione da ciò , noi ci fermeremo a parlare alquanto di questo conte che abbiamo già conosciuto solo di nome .
 Diremo subito quale parentela univa il conte Orso con la casa Colonna : questi aveva in moglie una figlia di Stefano Colonna , Agnese , che il Petrarca , ospitato dal conte d'Anguillara nel 1336 nel suo castello di Capranica , trova accanto a lui come degna compagna .
 Al matrimonio di Orso d'Anguillara e di Agnese Colonna si riannodano alcuni fatti notevoli .

第30巻

Battista contessa di Nola ancora vivente alla fine del 1444 ( 1 ) , fratello di Elena prefettessa , di Vannola ( 2 ) e di Dolce II , nato dopo la morte del padre ( 3 ) , erede della metà di Anguillara , Ronciglione , Mazzano , Viano e Giove lasciatigli dal padre ( 4 ) , e di ottocento fiorini lasciatigli dalla madre ( 5 ) , sposo già nel 1419 di Francesca Orsini ( 6 ) , il conte Everso O e « primis voluit , disposuit et mandavit quod quedam statua argentea « facta in formam pueri , quam olim bone memorie domina Helena de « Sabellis cometissa Anguillarie mater eius fieri fecerat in ipsius Dulcis « filii sui effigiem , destinanda ecclesie S. Nicolai ... » . ( 1 ) Arch . Capit . cred . XIV , to . 65 , perg . 5 ; COLETTI , Regesto delle pergamene della famiglia dei conti di Anguillara in Archivio della R. Soc . rom . di storia patria , X , n .
 54 , testamento di Battista Orsini del 2 agosto 1440 con un codicillo del 30 ottobre 1444 .
( 6 ) Francesca Orsini , il 31 decembre 1419 , nominava suo procuratore il marito Everso , per ricevere l'eredità di sua madre Margherita di Sanseverino e della sorella Ciancia , e ciò che Raimondo conte di si presenta nel primo ventennio del xv ...

5 ; COLETTI , Regesto delle pergamene della famiglia dei conti di Anguillara in Archivio della R. Soc . rom . di ...
( 3 ) Nell ' estratto del testamento è nominato dei figli maschi solo Everso , ma vi si parla di figli nascituri ...
per ricevere l'eredità di sua madre Margherita di Sanseverino e della sorella Ciancia , e ciò che Raimondo conte di si presenta nel ...

... cinquanta fiorini spesi per la cera dei funerali e per altre compere fatte a Viterbo dalla contessa nonna dei pupilli di Giovanni ( Tommasa de ' Normanni ) , oltre trecento fiorini , resto di una compera fatta dal conte , e cento ...

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Cenni storici sulla Torre Anguillara in Trastevere

 Dopo la morte di questo grand'uomo riferita dall ' Infessura con le seguenti parole nel suo diario riportato dal Muratori ( Rer . ital . scrip . t . III . p . II . f . 1140. ) a dì 3 » di Settembre dell'anno 1464 , morse lo conte Everso et » fù sepelito a S. Maria Maggiore dinanzi alla nostra Don» na » i di lui figli Francesco e Diofebo seguitando le vestigia del loro padre furono perseguitati a morte , e spogliati delle loro castella da Paolo II , il quale non avendo potuto avere nelle mani Diofebo prese il di lui figlio , e lo rinchiuse nel castel S. Angelo , ove miseramente finì i suoi giorni ; come anche vi stettero prigioni per cinque anni , Francesco col suo figlio , liberati poi per la creazione di Sisto IV , sotto il cui pontificato morì il suddetto Francesco conte dell'Anguillara l'anno 1473 e fù sepolto nella tomba de'suoi avi in S. Francesco a Ripa , nella cui sagrestia vedesi affissa al muro dietro un armario la sua effigie sepolcrale scolpita a bassorilievo in completa armatura da guerriero con la cotta di maglia , il berettone in testa , la spada da un lato , ed il pugnale dall ' altro , le armi della casa dell ' Anguillara sul cuscino , e l'iscrizione postagli sotto ai piedi , da Lucrezia Farnese sua moglie , che fù zia di Paolo III . sommo pontefice .
 A Sisto IV . poi succedette Innocenzo VIII , che tolse a quella famiglia l'Anguillara , come narra il Sansovino ( pag : 155 , ) ed in tal guisa finì il ramo primogenito dei signori dell ' Anguillara , rimanendovi quello di Stabio , nel quale passarono quei pochi beni rimasti dall'eredità del conte Everso , e frà questi le di lui case in Trastevere , che poco a poco vennero o abbandonate , per cui andavano ogni giorno maggiormente a deperire , ovvero alienate in vari modi da quei signori , parte per avere trasferita la loro residenza fuori di Roma , parte per sovvenire alle neeessità , a cui trovavasi ridotta quella famiglia una volta sì potente .
 Di fatti nell ' Archivio Segreto Capitolino ( Tom . LXVII . pergam . 14. ) troviamo un istromento rogato li 24. Decembre 1509 , dal notaio Stefano Barchine di Stabio nel palazzo di Calcata , in cui Giuliano dell ' Anguillara signore di Stabio e di Calcata , col consenso di Giovanni suo figlio , volendo compensare vari servigi prestatigli da Lorenzo da Cere domicello Romano , ( celebre sotto il nome di Renzo da Ceri , che pure era di un altro ramo di casa dell'Anguillara ) gli cede i suoi diritti sopra una casa posta in Trastevere presso la piazza di Buccio Romano ( oggi piazza Romana ) , già venduta al nobile signor Antonio Mattei cittadino Romano , e confinante da un lato coi beni della chiesa di S. Venosa ( ossia S. Bonosa ) , dall'altro con Tristano corso , e dagli altri con le pubbliche strade : oltre la qual casa , che dice pervenutagli con l'eredità del conte Everso , gliene dona con lo stesso istrumento un'altra situata nel medesimo rione di Trastevere presso la piazza di s . Maria , confinante da un lato coi beni di Giacomo e fratelli Miccinelli , dall ' altro con Vello dello Scannato e fratelli , dall'altro con Bernardino e fratelli de Sorica e Paolo Jori , e d'avanti con la strada pubblica .
 Tutte queste case , che formavano una dipendenza del palazzo principale , mostrano quanto fosse potente la famiglia dell'Anguillara in Trastevere .
 La vendita poi di questo palazzo , la cui Torre ha dato luogo al presente ragionamento , e che per mancanza di restauri cominciava a cadere in rovina , seguì nell ' anno 1538. , dopo la morte del suddetto Gio. Batt. dell'Anguillara , la cui vedova Lucrezia Orsini , madre , tutrice e curatrice di Flaminio e di Everso loro figli , avendo bisogno di denaro per sborzare la dote di Elena altra sua figlia , che stava per sposare Silvio Savelli celebre capitano di quei tempi , e considerando il poco e niun reddito , che i detti suoi figli ritraevano da quel loro palazzo in Trastevere allora diruto , e confinante con le case di Andrea de Grana , di Alessandro Miccinelli , e con la strada pubblica , lo vendette , comprese le stalle , sale , tinelli ec . per soli quattrocento scudi da X paoli a scudo ad Alessandro Picciolotti da Carbognano , scrittore de ' brevi apostolici , domiciliato nel rione di Ponte , come il tutto risulta dall'Istromento a tale effetto stipolato li 8 Novembre 1538. indiz : XII . per gli atti di Evangelista Ceccarelli oggi Tassi not . Capit . presso S. Chiara , ed esistente nel protoc . di detto anno , pag . 345 .
 Mirabile esempio delle umane vicende fu questo nel vedersi una famiglia già sì distinta per l'antica sua grandezza e potenza costretta dalla necessità a vendere ad uno de ' suoi stessi vassalli , qual era il suddetto Alessandro da Carbognano , già feudo di quei tanti posseduti dal conte Everso , il palazzo di propria abitazione e quella Torre , che come oggetto divenuto inutile neppure viene nominata nell ' Istromento , ma che poco più di mezzo secolo prima serviva di domicilio e di riparo a quel formidabile guerriero , le di cui imprese , per quanta celebrità potessero avere acquistata non valsero però ad impedire , che la sua posterità venisse svelta dalla terra quasi colpita dall ' ira di Dio in castigo de ' suoi misfatti forse non bastantemente compensati dalle opere pie , colle quali si studio di redimerli !
 E quì potrebbero aggiungersi molte altre notizie di una si illustre ...

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Liber notarum, ab anno MCCCCLXXXIII usque ad annum MDVI

 1 Se ne trova già ricordo in bolle di Giovanni XIX e Benedetto IX come facente parte del territorio nepesino . Nel secolo XIV era posseduto dagli Anguillara ed infatti lo si trova compreso nel novero dei fondi spettanti e questa gente in un atto pupillare dell'anno 1363 ( Arch . Capit . , Cred . XIV , tomo LXIII , p . 22 ) . Si chiamò fino a questi ultimi tempi Stabia : poi ottenne di assumere ufficialmente un nome a cui non ha alcun diritto , quello di Faleria . L'antica Faleria era a Civita Castellana .
 2 Di Pier Luigi e Giovanna Caetani , vedova di Puccio di Antonio Pucci nobile fiorentino , morto oratore della republica a Roma il 31 agosto 1494 , sposata poi da Giuliano conte dell'Anguillara . “ Fidantia inter “ r . d . Alexander tit . S. Cosmae et Damiani diaconum “ cardinalem de Farnesio germanum fratrem magnifice “ domine eiusdem r . d . cardinalis germanae sororis domine Hieronymae ex una , et ill.m virum d . Julianum “ Anguillariae comitem ex altera , die 15 februarii 1495 » ( HIERONYMUS BRACHINIS , notarius ) .
 3 Giuliano conte d'Anguillara e Giovanni Battista suo figlio .
 4 Dal Cod . Vat . Reg . 770 , c . 25 v sembra che costui avesse avuto per moglie “ Magdalena Livianae in- 25 " comparabili pudicitiae decori „ . Li troviamo uniti in un atto del 24 dicembre 1509 col quale cedono tutti li loro diritti sopra alcune case in Trastevere “ Giu“ liano di Stabia domicello romano , coll'assenso del suo figlio Giovanni Battista cede a Lorenzo da Cere “ domicello romano L'atto è rogato da Serafino Barchini di Stabia notaro e giudice ordinario .
 5 È il celebre condottiero di armate Lorenzo conte dell'Anguillara . Ebbe per moglie Lucrezia Orsini , dalla quale ebbe Giampaolo , condottiero anch'esso , e Girolama , che fu poi suor Chiara . Dopo la morte di Lucrezia che seguì nel 1508 , si sposò a Francesca Orsini di Aragona marchesana di Padula , dalla quale ebbe Lelio . Morì nel febbraio dell'anno 1531 .

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Gazette Archéologique, vol XIII


1 FOURREAU DE L'EPÉE DE CESAR BORGIA (MUSÉE DE SOUTH KENSINGTON A LONDRES)
2. 3.DEUX AUTRES FOURREAUX DU MEME MAITRE HERCULE (MUSÉE D'ARTILLERIE A PARIS)

A. EPEE DU MAITRE COLLECTION DE M. RESSMAN PARIS
B. CINQUEDEA DU MAITRE HERCULE ARSENAL DE LA TOUR DE LONDRES

MAITRE HERCULE DE PESARO
ORFÈVRE ET GRAVEUR GRAVEUR D'ÉPÉES D'ÉPÉES AU XVe siècLE
( PLANCHES 14 ET 15. )
I.

 L'étude spéciale d'une œuvre d'art qui est en même temps un document d'histoire très important, l'épée de César Borgia , actuellement aux mains du chef de la famille romaine des Gaetani , le duc Onorato de Sermoneta , après nous avoir donné l'occasion d'une première publication limitée à l'arme elle- même,

  1. Les leltres et les arts , 1886 .

nous a entraîné à rechercher dans la plupart des dépôts d'armes , collections privées, musées et arsenaux de l'Europe, les euvres qu'on pourrait attribuer avec certitude à l'artiste jusqu'alors anonyme, auquel on doit la « Reine des épées, » comme on l'appelle dans le monde des amateurs . Nous avons la certitude d'avoir restitué l'ouvre à celui qui , jugeant que le travail parlait assez haut par son caractère pour dénoncer sa personnalité, ne nous avait pas révélé son nom : nous prétendons aller plus loin dans les pages qu'on va lire, et nous produirons assez de spécimens nouveaux du même maitre pour déterminer sa physionomie , son type , et lui rendre enfin son état civil . Ces recherches intéressent à la fois l'histoire, l'archéo logie, et l’art, considéré à deux points de vue, la représentation par la gravure , et celle par le modelage en relief. Il sera peut- être curieux de voir comment un artiste qui semble enfermé dans cette spécialité des Arts mineurs prend part au mouvement des idées de son temps, côtoie les humanistes, grave pour ainsi dire sous leur dictée, interroge les monuments antiques , retourne aux grandes sources , parle le langage des ancêtres et celui des poètes latins de son temps, évoque constamment les idées générales les plus hautes , ne choisit que des sujets épiques et excelle à les rendre à l'aide du poinçon, de la sanguine et de la cire , s'échappant hors du cercle dans lequel on veut l'enfermer. Sous le nom d'Aurifex , si en honneur au xve siècle, et qui fut la qualification des plus beaux génies de la grande époque de la Proto- Renaissance, Hercule de Pesaro a dù tenir Bottega, devenir le fournisseur habituel des pontifes, des princes du nord et du sud de l'Italie , celui auquel on avait recours lorsqu'il s'agissait de faire un riche présent à quelque souverain étranger . C'est ainsi que , dans toutes les parties de l'Europe, nous retrouvons quelqu'une de ses euvres toujours marquée du même cachet, frappée au même coin, empreinte d'un caractère si défini dans toutes ses variétés et ses manifestations, que sa personnalité devient criante , manifeste, et que, ne fussions-nous pas certain d'avoir levé le masque, l'identité de l'artiste , quel qu'il soit, serait constatée désormais par la série des travaux que nous mettons sous les yeux du lecteur.


L'épée de César Borgia Appartenant au duc de Sermoneta.

 En montrant l'æuvre qui fait de cet Hercule un homme à part dans sa spécialité, nous en dirons rapidement l'histoire et, après avoir fait ressortir les tendances et la hauteur des vues de l'habile orfèvre, nous montrerons le milieu dans lequel il évolue.

ORIGINES DU MONUMENT. DESCRIPTION .
 Cancelieri, dans un ouvrage intitulé « Spade Celebri » , est le premier qui, en 1754, ait fait allusion à l'épée de César Borgia ; elle était alors à Naples, et le célèbre abbé Galiani, l'ami de Diderot et de Grimm , archéologue passionné, qui la convoitait, l'acheta en 1773. Il en cacha l'origine , mais dès qu'il l'eut en mains , il fit beaucoup de bruit autour de cette pièce de sa collection . Galiani était surtout numismate, sa collection est entrée au Museo Borbonico ; il résolut bientôt d'interpréter les emblèmes et les compositions gravés sur la lame de son épée, entama à ce sujet une correspondance avec Diderot et Mme d'Epinay, et se trouva arrêté dès les premières lignes de la monographie qu'il prétendait écrire , parce qu'il ne savait pas la date de la naissance de Borgia. L'abbé eut alors recours à ses doctes amis de France, qui, à leur tour, en appelèrent au sieur Caperonier, helléniste, membre de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Galiani mourut enfin en octobre 1787, sans avoir commencé la rédaction de la dissertation qu'il méditait , mais laissant , cependant, au milieu de vingt caisses de manuscrits, une correspondance du plus haut intérêt et un dossier sur lequel on lit : « L'épée de César Borgia .
 Du vivant de Galiani , un Monsignor de cette illustre famille des Gaetani, qui a donné à l'Eglise le pape Boniface VIII , avait ambitionné la possession de l'arme pour la remettre aux inains du duc de Sermoneta, chef des Gaetani, ruinés par les Borgia ,, et dont Alexandre VI avait usurpé le titre et proscrit la famille, donnant même à l'enfant de sa fille Lucrèce Borgia et d'Alphonse de Bisceglie d'Aragon, le duché de Sermoneta avec la Rocca du même nom. Galiani, qui ne s'était jamais décidé à se défaire de l'arme précieuse, par son testament retrouvé aux archives de Naples par M. Ademollo, l'auteur de « La Famiglia et l'Eredita dell abbate Galiani » , prescrivit de l'offrir aux Gaetani pour la somme de 300 ducats napolitains (un peu plus de douze mille francs d'aujour d'hui) ; et, en cas de refus, à S. M. la Grande Catherine, dont il avait été l'assidu correspon dant, et reçu une pension qu'il toucha jusqu'à la fin de sa vie . Le duc de Sermoneta réclama le droit de préemption et , malgré les efforts de la Grande Catherine , qui, enflammée à l'idée de brandir l'épée du Fléau de l'Italie , avait à plusieurs reprises poussé son ambassadeur à doubler la somme, ce droit fut reconnu. L'épée est encore aujourd'hui dans les mêmes mains; le dessin que nous reproduisons ici nous évite de la décrire ; c'est le Stocco italien , l'épée de parement, arme d'apparat et de juridiction . Si l'on regarde attentivement les fresques du Pinturicchio à Rome et à Sienne , on constatera dans les compositions la présence d'un porte-épée , bel éphébe à longs cheveux, à la jaquette courte, au maillot mi- partie rayé de vives couleurs, qui porte en avant du chef ce Stocco symboliquc.
 La poignée est en argent doré, décorée d'émaux sertis par un filigrane formant cloison d'or en relief : d'un côté, à la fusée, on lit : CES. BORG. CAR. VALEN . César Borgia, cardinal de Valence ; l'autre porte l'écusson des Borgia , à leurs couleurs, avec le bæuf rouge et les trois bandes obscures sur un champ d'émail bleu. La mention du nom de César avec la qualification de « cardinal » équivaut à une date qui ne peut pas remonter plus haut que 1493, ni descendre plus bas que 1498, époque de la renonciation du fils d'Alexandre à la dignité cardinalice. Ce n'est point assez du nom de Borgia pour bien préciser la possession de l'arme aux mains du héros du Crime; l'artiste , sur la lame et sur le fourreau, a gravé à trois reprises le monogramme et criblé la gaine de ses imprese. Poignée , lame , fourreau constituent un ensemble d'un haut intérêt au point de vue de l'art , mais l'effort principal de l'artiste s'est naturellement porté sur la lame, dorée sur un tiers de sa longueur, divisée sur les deux faces en quatre compar timents offrant huit compositions gravées en creux au poinçon sur fond d'or, avec des inscriptions caractérisant chacune des pensées exprimées. Le tout est signé : OPVS. HERC... au talon de la lame.
 Nous publions ici les compositions les plus caractéristiques , on en saisira l'esprit et la forme, et, comme elles sont exécutées dans leurs dimensions réelles ; il deviendra facile de reconnaître désormais la manière du Maître dans les autres cuvres qu'on présentera au lecteur.


Sacrifice au beuf Borgia .

 L'inscription CVM. NVMINE. CESARIS. OMEN, au dessous d'un sacrifice à l'antique , au beuf Borgia, divinisé par les poètes du Vatican dont Hieronimus Portius (le Porcari ) conduit le chœur , est pour ainsi dire la préface de l'épée. César, encore cardinal , invoque le nom du conquérant qui est aussi le sien , comme présage de sa grandeur future . Le passage du Rubicon avec la devise ALEA. JACTA. EST, le triomphe du César romain avec la légende BENEMERENTI ; enfin le Tribunal de la Justice : FIDES. PREVALET. ARMIS, et la Paix romaine ; tout concourt à faire de l'épée un document que les historiens de César ont invoqué comme une preuve des hautes ambitions qui bouillonnaient dans son cerveau alors qu'il appartenait encore à l'Eglise.

  1. Voir F. Grégorovius, dans sa Lucrèce Borgia .


Le Passage du Rubicon .

 Nous rapprocherons de l'épée même son fourreau ( de cuir repoussé, coupé et bouilli) qui, par malheur, est séparé de sa lame depuis plus d'un siècle . Des lettres de l'abbé Galiani , qui nous sont conservées, prouvent que chaque fois qu'il vint à Rome muni de son arme, dont il ne se séparait qu'à regret, il la tirait d'une simple gaine de chagrin noir, et tandis que Monseigneur Gaetani , qui convoite l'arme et l'aura un jour, s'extasie sur elle , il ne nous parle nullement du chef-d'oeuvre qui lui sert de gaine . Ce fourreau figure aujourd'hui au Musée de Kensington où il est venu échouer ; il a été acheté à Florence par l'intermédiaire de M. Spence ; et il n'y a plus de chance aujourd'hui pour que l'un des deux propriétaires, celui de la lame ou celui du fourreau , cède à l'autre sa proie. Une circonstance curieuse, dont le lecteur peut juger par le simple croquis du cuir, explique que la lame et le fourreau ne soient pas aux mains du même possesseur. Il n'a jamais été terminé; il aura été commencé après la lame et n'aura pas été livré. Le lecteur jugera de la beauté de la plaquette qui décore la partie supérieure de l'une des faces et du goût élevé qui préside aux motifs de l'ornementation du champ; l'aigle symbolique de la victoire , les cornes d'abondance, les trophées ingénieusement disposés sur le champ, font de ce morceau de cuir l'un des plus beaux spécimens de ce genre d'ouvrages ; aussi l'artiste qui, tout à l'heure , citait Suétone au passage du Rubicon , cite cette fois Ovide, en ses Métamorphoses (livre II . 5) , et , se permettant une variante ; écrit ces mots : MATERIAM . SVPERAVIT. OPVS. dans la frise supérieure.


Le Triomphe de César.

 Le catalogue du South -Kensington attribue le fourreau au grand orfèvre, sculpteur des tombeaux de Sixte IV et d'Innocent VIII, Antonio del Pollajuolo ; l'attribution est -elle exacte? Pour qu'il en fùt ainsi , il faudrait admettre que deux artistes se sont partagé le travail , l'anonyme qui signe HERC... aurait gravé l'épée, et l'autre, Antonio, l'orfèvre- sculpteur, se serait réservé la matrice du cuir . Ayant tiré des rapprochements des formes anatomiques, des silhouettes des personnages nus, des partis pris d'architecture, de la similitude des sujets traités, à la fois sur la lame et sur le fourreau , notre conclusion est que celui qui a gravé doit aussi avoir sculpté , et qu'il n'y a là qu'un seul et même artiste . Mais pour qu'on accepte notre assertion , il faut la prouver . Nous avons donc dù chercher des preuves, autour de nous d'abord , puis dans les collections étrangères, jusqu'à ce que d'autres spécimens, marqués indiscutablement du même cachet, nous aient livré le nom de l'inconnu . Cette preuve va éclater, si l'on rapproche du fourreau de l'épée de César un autre fourreau de cuir repoussé figurant aujourd'hui au Musée de Tzarskoé-Célo (ancienne collection Basilewski) , et deux autres qui, contenant une lame du même maitre , figurent dans les vitrines du Musée d'artillerie aux Invalides . Nous mentionnons, entre autres, un fourreau en cuir repoussé, ouvre du même artiste , moins grandiose d'allure , mais plus fine peut-être et plus délicate , dont on admire d'abord la face, et qui , lorsqu'on la retourne pour en admirer le revers , nous montre la signature du maitre déjà plus complète : OPVS. HERCVLIS. Or, comme cette fois c'est la gaine et non plus la lame qui est signée de ce nom ; il n'y a plus à douter que nous ayons affaire à un personnage qui grave à la pointe et manie en même temps l'ébauchoir. Quelle est la provenance de ce beau morceau de cuir qui nous révèle si sûrement le nom de l'artiste que nous voulons identifier ? Il date des guerres du premier Empire ; un simple soldat, l'ayant trouvé lors de son entrée dans quelque ville du nord de l'Italie, en avait fait son fourreau de baïonnette ; un chef éclairé, en face de cet exquis trophée, trouvé aux mains du barbare, le confisqua et l'envoya au Musée d'artillerie.

HERCULE DE PESARO .
 Où chercher l'habile ouvrier qui signe Hercule , dans une région et à une époque où ce nom était devenu banal ? Dans les alentours de César, sans doute , c'est- à- dire dans le Vatican ; or, M. Muntz, dont on connait les beaux et utiles travaux, « Les Arts à la cour des Papes, » a trouvé aux registres des dépenses sous Jules II , en 1506, la mention suivante : « Ducati, decem auri larjhos d'Hercule de Pinsaur... aurifici pro manu factura unius collane donate per S. D. N. Baptiste capitano Stradiottorum . » Le capitaine des Stradiots ( garde vaticane ) reçoit donc, comme présent de Sa Sainteté , un collier sorti des ateliers d'Hercule de Pesaro qui , conjointement avec Angelico di Dominico de Sutri, était, aux premières années du xviº siècle, le fournisseur habituel du Vatican .
 Nous suivrons cet Hercule Aurifex dans sa carrière , nous le trouverons à Mantoue chez les Gonzague, à Ferrare chez les Este , au temps de son homonyme le marquis de Ferrare, et c'est aux mêmes traits , aux mêmes gestes , aux mêmes intentions, que nous le reconnaitrons. Au Vatican , au temps d'Alexandre VI , Hercule a dù vivre à côté du Pinturicchio et dans le milieu des humanistes et des poètes qui ont divinisé Alexandre VI . Il a certainement pénétré dans les chambres de Borgia (ades Borgiæ), décorées pour le Pontife par son peintre favori, et ornées d'emblèmes que nous retrouvons sur sa lame. Les citations des poètes latins qu'il a gravées sur le métal , les hautes aspirations qu'elles révèlent, dépassent de beaucoup la portée d'un armurier ou d'un forgeron d'épées , et il n'y a rien de téméraire à croire qu'il n'a été qu'un reflet des maîtres qui l'entouraient . C'était la mode alors chez les princes et les amateurs de donner à l'artiste « l'Inven zione » ; celui - ci prenait le thème, le sujet , et lui donnait la forme plastique. Toutes les cours d'Italie , dans toutes les régions , en ont agi ainsi ; surtout depuis le milieu du xv° siècle jusqu'au milieu du xviº . Les Médicis, les Gonzague, les Este, ont à coté d'eux des Politien, des Bembo, des Pario de Ceresara, des Castiglione, des Strozzi et des Porcari , qui composent, qui in ventent : et les artistes traduisent. Nous verrons Isabelle d’Este donner successivement aux six peintres chargés d'orner son Studio , les six Inven tions qu'elle leur décrit jusque dans le dernier détail. Quant à César Borgia , tout en jouant aux dés, il donne à ses familiers , Hieronymus Portius et Uberti, des énigmes à résoudre et des thèmes à développer ; les sujets de la lame qu'il a fait graver doivent ètre son œuvre au point de vue de l'Invenzione, l'arme lui est trop personnelle pour qu'il en soit autrement, et c'est ainsi que, revêtu de la pourpre, mais décidé à la rejeter, il a laissé échapper son secret dans le passage du Rubicon , dans le triomphe du César, romain et dans cette invocation : Cum Numine Cesaris Omen . C'est là ce qui fait de l'arme un monument, un commentaire éloquent du Principe de Machiavel. Nous ne croirons jamais que ce soit Hercule de Pesaro ( un grand artiste sans doute , mais que la série de ses euvres, que nous allons produire ici , ne dénonce pas comme un vrai lettré ) qui ait pu citer de lui-même la Pharsale et les Métamorphoses, et, nous le répétons : nous croyons qu'il y a eu une Invenzione d'abord , puis un carton dessiné pour ainsi dire sous la dictée du héros par un peintre des alentours de Borgia ; Hercule enfin, le dernier venu, a traduit la pensée sur le métal à l'aide du poinçon . Cela est si vrai que, dans la série de ses euvres postérieures, le graveur gardera le souvenir de la haute collaboration à laquelle il a pris part une fois dans sa vie. Fussent- ils hors de situation , il reviendra aux mèmes symboles, aux mêmes allusions; ce ne sera que triomphes, sacrifices à l'antique, allégories guerrières où les lecteurs portent les hastes et les chlamydes, les aigles et les enseignes au monogramme S. P. Q. R .; partout reparaitra le bæuf Borgia , et partout et toujours, qu'il grave pour un prince souverain ou un simple amateur, il évoquera le monde de l'antiquité et citera les poètes latins. En un mot , on sentira palpiter dans l'æuvre du graveur l'âme d'un humaniste.

LA MANIÈRE DU MAITRE . — SON ESPRIT .
 Le caractère dominant des euvres qu'on peut attribuer à ce maitre Hercule , qu'on doit regarder désormais comme l'artiste de l'épée de César Borgia et de son fourreau , étant désormais défini dans l'esprit et le genre de l'invention , définissons aussi la manière et la forme.
 Qu'il se manifeste par le crayon , le poinçon ou l'ébauchoir, prêt à graver sur le métal ou à sculpter le modèle d'une boite ou d'un fourreau , Hercule , épris de l'an tique , représente tous ses personnages nus ou vêtus de draperies légères. Son geste est excessif , ses divinités , ses nymphes , ses Vestales , ses Renommées sont d'une anatomie particulière ; il exagère la longueur des membres , les brise aux attaches , leur donne des poses étranges et contournées , enfin , singulière circonstance, dans le siècle classique par excellence , il fait penser aux Décadents, aux Primaticio , aux Rosso , à Niccolo del Abbate et à l'école de Fontainebleau . Nous savons à quelle école il s'est formé; artiste d'un art inférieur, il a subi l'influence du Pinturicchio, à l'ombre duquel il a dû travailler un moment, et il a exagéré sa gracilité charmante. Hercule aime les fonds d'architecture, les horizons de ville, et détache souvent ses personnages sur des perspectives de monuments. S'il fait un ciel , les nuages , qu'il amoncelle par petits groupes, sont comme déchiquetés, et de forme bizarre , ses terrains sont indiqués comme des pavements de voies antiques et il coupe ses horizons de larges tailles ou hachures , tracées d'un poinçon libre et rapide . Son goût des devises latines ( qu'il prend Dieu sait où, car il les tronque et les défigure ) pourrait déjà le dénoncer ; mais il a des traits plus particuliers encore , des habitudes d'esprit et des habitudes de main , et tout un monde d'accessoires qui lui sont farniliers . Ses vases de sacrifice , par exemple , qu'il dépose sur le sol, toujours de même forme, sont copiés sur des bas -reliefs antiques, comme ses encensoirs , ses cuves , ses lacrymatoires ; il multiplie les Gorgones , les trophées antiques ; il affectionne la pyramide de Cestius qui fait partie de l'iconographie de Saint- Pierre, et on la retrouve si souvent dans ses cuvres qu'elle est pour ainsi dire la signature à laquelle on le reconnait . Il a emprunté aux grands artistes qui l'ont précédé, aux peintres des triomphes de Pétrarque, leurs allusions et leurs symboles; la licorne reparait souvent dans ses compositions et l'arc d'argent de Diane brille souvent dans ses ciels . Son architecture aussi le dénonce ; il fait grand, il a vu la Rome antique ; il a dû traverser Pise à une époque où la tour penchée avait reçu un appen dice en forme de dôme, à moins que , n'ayant jamais connu la vieille cité pisane , ni vu de représentation exacte du monument qu'il reproduit si souvent dans ses com positions , il ait créé par l'imagination une tour penchée à son usage. Hercule, dont le nombre d'euvres doit être considérable , puisqu'il a rempli l'Italie de ses travaux , a dù tenir Bottega et faire de nombreux élèves ; il n'a pas apporté une grande variété dans son œuvre : il se répète plutôt dans ses compositions et, à moins qu'il ne travaille pour un grand prince , il cache son exécution , se copie lui- même et il lui arrive d'entasser une foule de figures sur un fond sans en définir la fonction ni trahir le but . Mais en tout ceci , comme il s'agit de travail d'art industriel, il faut considérer le prix qu'on met à la marchandise, et il va sans dire que chacun est servi suivant sa générosité et son goût. Hercule affectionne encore certaines silhouettes qui pourraient bien ne pas lui appar tenir et qu'il a dû copier dans les admirables plafonds du Pinturicchio aux appartements Borgia. A cent lieues de distance , nous voyons passer les mêmes femmes nues portant sur la tête le vase où fume l'encens du sacrifice, figures charmantes, empruntées peut être aussi aux bas-reliefs antiques , mais dont il brise les attaches à sa façon et que nous retrouverons dans des dessins à la sanguine du Musée de Berlin , dessins que nous regardons comme ses cartons et modèles pour des gravures de lames.


Le Beuf Borgia . - Le Caducée.

 Voici pour le peintre et le sculpteur, facilement reconnaissable à tant de traits caracté . ristiques ; l'ornemaniste est plus simple , plus vraiment classique , et on le reconnaitra facilement encore alors même qu'il bannira la figure humaine de sa composition , car ses éléments sont peu variés ; la feuille d'acanthe , le lierre antique , la ciguë , l'ache et le persil monumentisés , ramenés à la forme sculpturale concrète , sont ses éléments préférés. Les consoles , les cartouches , les écus et les médaillons imités de l'antique , jouent un grand rôle dans ses dispositions avec les guirlandes , les aigles , le phénix , la corne d'abondance , les flambeaux, image de la vie , empruntés au poème de Lucrèce , et les trophées pris aux parois des arcs antiques ; il ne manquera même jamais de décorer de ces emblèmes l'extrémité d'une gaîne dont le champ va en se rétrécissant suivant la longueur de la lame. Un point capital est à noter : il a dû vivre aussi près des grands typographes vénitiens et on sera frappé si l'on compare telle ou telle planche de ses æuvres à la première page de l'Hérodote de 1494, imprimé à Venise par Jean et Gregorio de Gregoriis .
 Tous les traits que nous signalons , propres à tout un ensemble d'auvres éparses cà et là dans les Musées et les collections d'Europe , serviront au lecteur à reconnaître le maitre , à grouper ses œuvres , à lui constituer son individualité, comme ils ont été un guide infaillible pour nous- mêmes. Il n'y a plus lieu de continuer l'enquête à ce sujet; elle est loin d'être complète, elle est cependant concluante; le lecteur, dans le milieu où il évolue , peut la poursuivre dans la mesure de l'intérêt qu'il attache à un tel sujet . Il nous suffit d'avoir groupé une trentaine de lames et quelques fourreaux , offrant plus de cent compositions dues à coup sûr au même artiste . Nous croyons qu'en présentant ici les plus importantes d'entre elles et en nous appuyant sur ces reproductions pour la démonstration de leur identité réciproque , aucun doute ne subsistera plus sur leur attribution au même maitre . Nous réserverons le catalogue raisonné pour le travail définitif et nous nous bornerons à signaler le nombre des armes dont nous avons constaté l'existence en les comparant à l'épée type de César Borgia.
 Désormais, en quelque point du monde que parvienne cette démonstration qui aura sa destinée , comme tout ce qui est écrit , le lecteur pourra à son tour fixer une attribu tion aux autres auvres du maître Hercule restées anonymes , et compléter ainsi le catalogue du maître .

II. CATALOGUE DE L'OEUVRE. - POINTS DE CONTACT ENTRE LES OEUVRES QUI PROUVENT LEUR IDENTITÉ.

 Dans cette seconde partie de notre étude , nous présenterons aux lecteurs les euvres les plus importantes du maitre Hercule , lui signalant celles qui ont entre elles les points d'analogie les plus immédiats . Il résultera de là une sécurité complète dans les attributions, en même temps que se définira mieux encore la personnalité de l'artiste .
 L'idée qui a présidé à notre enquête , poursuivie bientôt dans la plupart des Musées , arsenaux et collections d'Etat , et un assez grand nombre de collections privées , dans toute l'Europe , a été celle qui guide tous ceux qui cherchent à établir l'identité d'un maître : réunir un certain nombre d'oeuvres qui se dénoncent par les mêmes caractères, jusqu'à ce que se présente l'une d'entre elles qui laisse échapper le secret du nom de l'artiste .
 C'est à Bologne , au Museo Civico , que , pour la première fois, nous avons rencontré des lames analogues à celle de l'épée de César, lames anonymes encore , mais qui ont constitué les premières pièces du dossier . La lecture du catalogue complet serait fasti dieuse pour ceux qui ne sont point des spécialistes ou des collectionneurs . Nous nous bornerons à résumer rapidement le résultat de nos recherches.
 Les amateurs comprendront qu'une fois l'attention fixée sur l'épée de César, prise pour type, étudiée dans son esprit et dans sa forme jusque dans les plus minimes détails où se trahit parfois l'individualité de l'auteur ; tous les spécimens qui, en outre du caractère général de l'époque ( fin du xve siècle et les vingt premières années du xviº) , révélaient les mêmes tendances et accusaient les mêmes habitudes d'esprit et de la main ; devaient vite attirer les regards et dénoncer le maitre .
 Jusqu'à nouvel ordre, Paris compte sûrement dans ses collections publiques et privées quatre armes du maître Hercule : - deux épées d'abord, l'une capitale, chez M. Ressman, ministre plénipotentiaire d'Italie;

  1. Voir l'épée sur notre planche hors texte .

l'autre, superbe aussi , qui est venue au Musée de Cluny par suite du legs de M. Edouard de Beaumont, le peintre et le connaisseur émérite , dont le nom faisait autorité en Europe , dans les arsenaux et Musées d'armes. – Le Musée d'artillerie des Invalides, dans la même vitrine, à côté l'un de l'autre , montre une cinque- dea,

  2. Le vrai nom de l'épée courte à large lame , à la vénitienne, est « Cinque- dea » ; cependant l'habitude a prévalu en raison de la forme de la lame, de nommer ces armes « Langues de bæuf » . Les spécialistes protestent avec raison contre ceux qui appliquent ce dernier nom aux cinque dea, car l'arme dite langue de beuf, arme d'hast, existe au xvie siecle et diffère de forme de la cinque-dea. Les vieux dictionnaires français, Duez, Roquefort et Rabelais traduisent « Sangdedez » , et les glossaires italiens, chroniques manuscrites et livres antérieurs au dix - huitième siècle , disent tous Cinque- dea ou Cinquedila pour dési gner l'épée courte, large de cinq doigts ; M. Edouard de Beaumont, dans ses beaux catalogues illustrés par le graveur Jacquemart, n'emploie pas d'autre expression et proteste énergiquement contre la dénomination a Langue de bæuf ». Nous sommes obligé de nous conformer à l'ancien usage, suivi d'ailleurs par les directeurs d'arsenaux, musées et collections.

à lame gravée sur fond d'or, de premier ordre, avec son beau fourreau de cuir repoussé , sculpté aussi par le maitre Hercule , et , à côté , un fourreau sans lame , chef-d'ouvre du même maître , le premier qui nous ait révélé son nom tout entier par l'inscription OPVS . HERCVLIS. qui complète la signature OPVS. HERC. de la lame de César . — Enfin , dans les Collections de M. Spitzer, on voit une cinque-dea de grande dimension, à figures gravées sur fond d'or. Les autres armes du même maître, qui nous auraient échappé dans la même ville , sortiront peut- être à notre appel.
 LONDRES. – La tour de Londres figurera dans le catalogue pour une seule pièce, mais la plus belle peut- être de celles de second ordre, une cinque -dea criblée de figures du maitre , avec de riches architectures et des inscriptions ; assez intéressante pour que nous la reproduisions, et dans son ensemble , et dans le détail . A Londres aussi, chez Sir Richard Wallace, dans ses riches collections, à la série « Armes de la Renais sance » , nous trouvons cinq lames de même nature, dont plusieurs proviennent de la collection du comte de Nieuwerkerke, choisie avec un goût si supérieur; les autres viennent de la collection Meyrik .
 VIENNE, - à l'Arsenal et à Ambras, possède deux spécimens. Le catalogue de l'arsenal nous a signalé une épée, la quatrième que nous connaissions en Europe et la dernière . Ambras montre une cinque-dea bien conservée , d'une composition assez caractéristi que pour que nous la gravions ici . A Vienne encore , le directeur du Musée de Berlin nous a indiqué dans une collection privée d'objets d'art tous d'un beau choix, chez M'le Prizbram , une cinque -dea du maitre .
 En HONGRIE , M. Pulsky a publié, dans l'Indicateur archéologique ( vol . II, 1882, p. 240-242), deux dessins de lames qui figurent au Musée de Pest, cuvres un peu lâchées de compositions , mais dont l'une a l'avantage de nous montrer la même figure , si caractéristique du maître , qui , dans le sacrifice au beuf Borgia de la lame de César , porte sur la tête le vase des sacrifices .
 Berlin est riche, mais sa richesse date d'hier ; le Musée national d'armes a reçu en héritage du prince Frédéric Charles trois cinque- dea du type que nous recherchons, et , ce qui est une bonne fortune pour nous , sur l'une d'elles , l'artiste répète cette tour penchée de Pise, qui équivaut pour nous à une signature . Un détail important caractérise deux de ces lames , elles portent des inscriptions allemandes et montrent que le grand armurier italien travaillait pour la cour de l'empereur au temps de Maximilien .


Musée des Armures de Berlin . La cinque -dea . La Tour de Pise .

 En Italie , Rome possède l'arme type , l'épée de César Borgia ( palais Gaetani ) , dont on sait l'histoire , et Bologne, dans le Museo Civico , garde trois cinque- dea gravées sur fond d'or, toutes les trois aux armes de la famille Bentivoglio , c'est- à- dire avec la scie gravée sur la poignée . La célèbre Armeria de Turin a trois lames courtes du maître , dont une ornée de nielles aux armes d'Alphonse , duc de Ferrare , le mari de Lucrèce Borgia.
 En Russie , le Musée Impérial de Tsarskoé -Célo, par suite de l'achat de la collection Basilewski, s'est enrichi récemment d'un spécimen de l'æuvre du maitre, une lame dépourvue de sa poignée, très effacée , mais qui devait être fort riche de composition ; sa gaine, en cuir repoussé , est un charmant travail à mettre à côté des deux fourreaux dus au maitre de Pesaro dans notre Musée d'artillerie de Paris . Une autre cinque-dea , offerte par M. Narischkine à l'empereur Alexandre II , a été gravée dans le grand ouvrage de Kemmerer « Le Musée Impérial de Tsarskoé- Célo » . Si nous voulions être complet, il nous faudrait signaler encore une lame qui a passé en vente à Rome en 1886 (5 avril) , à la vente Alberici, une autre qui est en ce moment encore chez M. Stefano Bardini , à Florence, et une dernière enfin à Venise, au palais Balbi , chez M. Guggenheim. Ces dernières ont été signalées à notre attention par l'honorable conservateur du Musée de Berlin , M. W. Bode.
 Hors l'Espagne , la Hollande , la Suède et la Norwège, où nous ne doutons point qu'il ne se cache en quelque collection discrète , des spécimens qu'on pourrait joindre à ceux dont nous avons signalé l'existence , on voit qu'un certain nombre de grandes villes d'Europe possèdent des œuvres du maitre Hercule . On s'étonnera de voir que l'Armeria de Madrid, si riche par ailleurs, manque au catalogue ; mais on sait que, lors d'un soulèvement populaire , un grand nombre d'armes de main ont disparu. Bruxelles et les Flandres auraient dù nous donner des résultats ; Dresde, Erbach , Munich , Brunswick , Nuremberg, Meiningen , Sigmaringen nous ménagaient aussi des déceptions , et com bien de bourgs, de châteaux, de manoirs au fond des provinces lointaines , malgré nos investigations répétées, doivent encore garder leur secret! Mais il faut reconnaître que les auvres antérieures au xviº siècle , quand elles ont un caractère précieux par le travail ou la matière , sont rares , même dans les arsenaux et collections d'Etat. (A suivre). CHARLES YRIARTE.

MAITRE HERCULE DE PESARO ORFÈVRE ET GRAVEUR D'ÉPÉES AU Xve SIECLE ( PLANCHES 19 ET 20. ) ( Suite et fin ' ) .

 Quoique nous ne donnions point pour complet le catalogue des oeuvres de maitre Hercule , les trente à trente-cinq pièces qui composent notre dossier suffisent à le bien caractériser . Il gravait des lames d'épées , presque toujours sur fond d'or , et sculptait les gaines en cuir repoussé ; par conséquent, il joignait à sa qualité de graveur le talent d'un habile modeleur ; enfin , il montait lui -même ou faisait monter dans son atelier les lames qu'il fournissait à ses clients ; parfois même, il les enrichissait de nielles, telle l'arme au blason de Ferrare , faite pour le duc d'Este , qui figure à l'Armeria de Turin . Ces lames étaient la plupart du temps marquées d'une tour, c'est la marque des épées offertes par le pape Alexandre VI aux divers souverains de son temps et celle du stocco de Bogislaw qui figure au Musée Hohenzollern à Monbijou de Berlin . Parfois, cependant, Hercule enrichissait de ses compositions des épées marquées d'un autre signe ; ce qui nous prouve qu'il n'était point spécialement ce qu'on appelait alors un forgeron d'épées ( s'il en eût été ainsi , il serait resté fidèle à sa marque), mais qu'on lui confiait des armes de toutes provenances et qu'il exerçait sa verve sur le métal du premier armurier venu. Le maitre était « Aurifex » ; on sait que sous cette dénomination sont désignés les plus fins génies de la Proto- Renaissance ; il a fait de tout : des bijoux proprement dits , des poignées d'épée , de la sculpture ; et nous montrerons de lui des dessins qui sont d'un maitre. L'enquête a prouvé qu'il s'était fait une specialité de l'arme appelée cinque-dea et que sa renommée avait rayonné au delà des limites de l'Italie , puisque nous l'avons vu travailler pour l'empereur d'Allemagne. Quatre épées seulement , nous l'avons dit , figurent dans son auvre à côté de trente - uine lames courtes. C'est pourtant dans le Stocco italien , l'épée d'apparat, du type de l'épée de César Borgia, qu'il s'est pleinement révélé ; aussi l'a -t - il signée avec jactance, en lettres monumentales. Cette cuvre , nous l'avons dit, n'est pas antérieure à 1493 , et ne peut pas être datée plus tard que 1499 ; l'inscription qu'elle porte : CES. BORG . CARD: VAL... nous dit en effet le nom de celui qui l'avait fait faire , et César Borgia , qui prend la pourpre en 1493, l'a déjà rejetée en 1499.

  1. Voir plus haut, Gazette archéologique, p . 65 .

 Dans tout cet ensemble , où sont les ouvres antérieures à l'épée de César , son chef d'ouvre , et quelles sont celles qui lui sont postérieures ? J'incline à croire qu'il a dû débuter par son chef-d'ouvre, car, dès 1505, il est à Ferrare au service du duc Alphonse, mari de Lucrèce Borgia. Comme il reproduit bien souvent sur ses euvres les emblèmes, les triomphes, les monunents, les dispositions générales de l'épée faite pour César Borgia, nous sommes bien forcés de croire qu'il se souvient du jour où il a eu l'honneur de tra vailler pour le fils du Pape, circonstance mémorable dans sa vie. Les compositions que nous avons mises sous les yeux des lecteurs, le Sacrifice au beuf Borgia, le Triomphe de César, etc. , étant larges , bien équilibrées, claires dans leurs dispositions, et , au contraire, la plupart de celles que nous leur opposons restant désordonnées et confuses : nous sommes amenés à penser que le graveur, le jour où il s'affirmait avec sûreté et maestria dans l'épée de César, avait quelqu'un derrière lui qui lui servait de guide et dont il était simplement le traducteur . Pourquoi, s'il en était autrement, alors qu'il ne s'agissait plus ni du Vatican ( où le bæuf des Borgia se transformait en beuf Apis sous le pinceau du Pinturrichio ,,) ni de la tour de Pise, – (allusion à l'Université où l'on était venu apporter à César la nouvelle de l'exaltation de son père,) – Hercule aurait- il repro duit ces divers symboles sans discernement, sans cause , sans mesure et sans nulle application aux circonstances de la vie du personnage pour lequel il travaillait ? L'épée du Borgia est donc évidemment son coup de maitre, le maximum de sa fortune; il s'en est souvenu toute sa vie et même beaucoup trop pour sa gloire. Nous avions donc raison , à l'époque où nous ignorions encore le nom de l'artiste , de le désigner sous le nom « Le graveur de l'épée de Borgia » .
 Parmi les nombreuses compositions dont il a orné les lames que nous attribuons au maitre Hercule , nous avons choisi pour les reproduire celles qui nous semblent les plus caractéristiques de sa manière et celles dont les allusions, la forme et les éléments décoratifs se confirment mutuellement leur autenthicité. Dans la planche hors texte , nous avons rassemblé l'une des faces de chacune des quatre cuvres suivantes : la belle épée vénitienne, de la collection Ressman , la cinque-dea du Musée d'armes de Berlin , provenant de la collection du prince Frédéric -Charles, celle de la Tour de Londres et l'une des cinq cinquedea du maître que compte la collection d'Hertford- house de Londres ( à sir Richard Wallace ).
 Il est singulier que quelques -uns des plus grands collectionneurs de ce temps-ci , les mieux informés au sujet des grands spécimens des dépôts de l'Europe, ayant tenu dans la main l'épée de Borgia, n'aient jamais établi de comparaison entre cette dernière et le caractère de l'ornementation de la lame de l'épée vénitienne de M. Ressman. L'attribu tion date d'hier, elle nous est personnelle ; ceux- là mêmes qui ont possédé l'arme et le collectionneur qui la possède aujourd'hui, ont pu regarder notre affirmation comme gratuite ou aventurée; mais tout doute va s'effacer en face de la confrontation qu'il nous est permis d'établir. Outre que les sujets allégoriques, les architectures, la for allongée des figures, les détails et éléments de l'ornementation sont identiques en bien des points avec ceux des compositions de l'épée de César ; on verra se dresser au milieu du champ sur lequel l'artiste a gravé « Venus et Vulcain » , cette sorte de Tempietto, guérite bizarre surmontée d'un dôme, qui revient cinq fois dans les compositions dont sont ornées les lames qui figurent au catalogue. A droite de ce monument, nouvelle preuve , s'élève la pyramide allongée surmontée d'une boule , qui semble être l'une des signatures du maitre, tant elle revient fréquemment dans ses cuvres. ( Voir l'épée de César. -– Voir la lame de la Tour de Londres. – Voir celle de l'Arsenal de Vienne, et celle du Musée de Berlin .) Les nuages étranges , en forme de dents de scie , particuliers à Hercule, se découpent sur les hachures qui forment le fond du ciel, et la frise qui ferme le champ est butée aux deux tranchants de la lame par deux consoles en saillie tout à fait caractéristiques du maître . Sur l'autre face, la licorne, les étendards, l'architecture, la façon d'indiquer les terrains et le ciel : tout nous révèle encore la manière du graveur, l'identité est complète.
 La cinquedea du prince Frédéric -Charles, signée déjà par la tour de Pise, nous montre encore la pyramide de Cestius , les motifs d'architecture familiers au maitre, sa façon de A FI détacher les lettres d'une inscription MO DE qu'il emprunte aux stéles et aux autels R LI antiques , et enfin , les dispositions habituelles de son médaillon central porté par des petits génies, autour duquel s'enroulent des feuillages .
 La lame de la tour de Londres , elle , se signe par ses architectures, ses longues femmes nues au visage effaré portant des cornes d'abondance, la disposition de ses trois arcs suspendus dans le vide, reliés les uns aux autres par des chapiteaux et par cette éter nelle pyramide de Cestius qui , sous le poinçon du maitre, devient un élément, dont il abuse mais qui nous sert à affirmer son identité. Les preuves abondent encore dans les huit compositions réparties sur les quatre divisions de ces deux faces ; il n'y en a pas une qui ne porte un ou plusieurs des éléments essentiels caractéristiques; ils s'entassent, se superposent, et crient le nom du maitre, sans parler encore d'un triomphe analogue à celui d'un des fourreaux du Musée d'artillerie de Paris, et d'un signe particulier dont ET la signification m'échappe encore : les trois lettres Q que je retrouve cinq fois dans cinq lames différentes disposées de la même façon, et qui ont longtemps exercé sans succès la patience de l'abbé Galiani.
 Parmi les nombreuses lames de cinque -dea qui figurent dans les collections de sir Richard Wallace , celle que nous reproduisons a un prix particulier pour nous, car elle nous montre encore (hors de propos d'ailleurs) le sacrifice au beufBorgia de la lame de César, et c'est tout dire.
 Nous n'insisterons pas davantage, étant donné le public expérimenté auquel nous nous adressons ; toutes ces compositions émanent du même cerveau , toutes ces lames sont de la même main ; ce sont les mêmes éléments, le même esprit, les mêmes défauts et les mêmes qualités, les mêmes manies et les mêmes tics ; cela se passe dans le même monde, dans la même région, dans le même milieu et dans le même temps.


Londres . — Collection de Sir Richard Wallace . – Cinque- dea. Le Boeuf Borgia.

DEUXIÈME ARTICLE .
I. – LES DESSINS DE MAITRE HERCULE .

 Les considérations qui vont suivre et les nouvelles confrontations que nous allons faire sont certainement plus hypothétiques que celles qui ont précédé ; mais, si la démonstration entraînait la conviction du lecteur, le bagage du maître Hercule deviendrait plus considérable ; et , au lieu d'un habile ouvrier et d'un artiste voué aux Arts industriels, comme on dit aujourd'hui, et aux Arts mineurs, comme on disait autrefois, nous aurions devant nous un de ces tempéraments doués de facultés mul tiples caractéristiques du temps de la Renaissance, qui ont cumulé les talents et excellé dans chacune des branches de l'art.
 A l'époque où, préoccupé de découvrir à quel artiste on pouvait attribuer l'arme de Borgia, nous visitions les musées et collections d'Europe qui pouvaient nous présenter des armes similaires , M. Louis Courajod, conservateur adjoint du musée de la Renais sance au Louvre , auquel on doit tant d'ingénieux travaux de restitutions basées sur des observations d'une rare acuité et sur un diagnostic très sûr, nous signala au Cabinet des estampes de Berlin un album où , au milieu d'un grand nombre de dessins attribués au Bambaja, le célèbre artiste du tombeau de Gaston de Foix, figuraient quelques autres dont la forme, le caractère et la nature des compositions rappelaient, selon lui , les gravures des lames du maitre Hercule dont il connaissait le dossier. La comparaison de nos photographies, envoyées à l'honorable Dr Wilhelm Bode, vice directeur du musée de Berlin , avec les dessins signalés, leur a été favorable; plus tard , nous avons jugé nous-même de l'identité, en découvrant dans ces mêmes dessins quelques- uns des traits spéciaux au maitre, traits qui auraient pu passer inaperçus pour ceux qui n'en ont point fait comme nous une étude spéciale. La conviction une fois faite dans notre esprit, nous avons obtenu, grâce à l'impératrice d'Allemagne, alors prin cesse impériale, dont on connaît la passion pour les arts du quinzième siècle italien , la collection complète des dessins du maitre, et nous pouvons en détacher ceux qui nous semblent devoir être attribués à Hercule, afin de les comparer aux pièces de notre dossier .
 Les dessins que le hasard a fait échouer au musée de Berlin sont au nombre de dix ou douze. Le premier d'entre eux nous montre, sur un autel où brule la flamme du sacrifice, Vénus et l'Amour, debout sur le couronnement du petit monument; derrière eux croit un palmier. A droite du monument, deux personnages entièrement nus, Mars et Mercure, bien caractérisés l'un par le casque et la hache en forme de hallebarde, l'autre par le caducée et les ailes au talon et au chef , prennent part au sacrifice . De l'autre côté, deux femmes debout, nues aussi ; la première porte une haste, elle n'a pas d'attribut spécial qui permette de la reconnaître, elle active le feu sacré ; la seconde est Minerve sans doute , puisqu'elle porte le bouclier. Le parallélisme est complet dans la composition ; l'autel forme l'axe , et les deux parties symétriques s'équilibrent jusque dans les accessoires que portent les personnages . C'est la composition telle que l'entendaient les artistes du xv® siècle, peintres ou sculpteurs, et on dirait qu'il y a là une réminiscence de l'antiquité, rajeunie par le goût personnel aux artistes de la Renaissance. Si l'on considère le groupe de Vénus, la forme de la draperie qui fait berceau au dessus de sa tête, la longueur des personnages nus, leur pose, les coiffures hérissées et désordonnées à la façon des Gorgones, la forme bizarre des accessoires, caducée, hallebarde, hastes en forme de vase d'où s'échappent des fleurs, pour les comparer aux dessins figurés sur les lames gravées par Hercule ; il nous semblera bien difficile de ne pas voir là une cuvre du même maître .
 La composition qui fait pendant à celle-ci dénonce la même main et révèle le même esprit. Le palmier s'élève encore au centre de la composition symétrique ; en haut du tronc, l'artiste a suspendu une panoplie formée d'une targe antique surmontée d'un masque, et deux hallebardes croisées , auxquelles pend un voile en guirlande. A la base de l'arbre sont amoncelés des cuirasses, des boucliers, des casques, des haches, des chlamydes foulés par un aigle dont les ailes se déploient sur un large bouclier. De chaque côté du trophée, deux grandes figures allégoriques, Muses robustes, assises sur des cuirasses antiques et des cnémides, semblent rendre hommage à la Victoire . La première, portant à la main gauche la palme des triomphes, couronne le trophée ; la seconde écrit sur la tablette de l'histoire la devise romaine chère au maitre Hercule : S. P. Q. R. Il est singulier d'observer que, sur le pectoral de l'aigle , à la hauteur de l'aile , l'artiste a dessiné une marque de forgeron d'épées, très visible , quoique d'une forme indécise.
 D'autres séries de compositions divisées en bandes étroites semblent autant d'études pour la gravure au poinçon sur le métal , ou pour des frises . Les sujets sont toujours empruntés à l'antiquité : ici, les Vestales entretiennent le feu sacré ; là , les prêtres vont procéder au sacrifice et trainent à l'autel les béliers ou le porc immonde. On remarquera, dans l'un de ces sujets, le beuf conduit au sacrifice, qui présente encore des analogies avec le bæuf Borgia, si souvent représenté dans les euvres du maitre. Partout les analogies abondent, les vases destinés au sacrifice sont de même forme ici et là , et la figure de Vénus, dont le voile flottant affecte toujours la même silhouette, semble échappée d'une des lames du maitre Hercule, à moins que celui-ci, au con traire, ne l'ait empruntée aux études qui figurent aujourd'hui au musée de Berlin , ce qui n'est pas une hypothèse inadmissible .
 Enfin , nous mettons sous les yeux du lecteur deux médaillons tirés de la même collection de dessins, qui sont très caractéristiques, en ce sens qu'on les retrouve presque identiques sur deux lames . Dans le premier dessin à la plume, l'artiste a représenté un char trainé par deux licornes, sur lequel se dresse une figure drapée portant à la main la palme de la paix ; derrière elle , un personnage courbé semble prendre les rênes . Dans le second médaillon , une femme drapée tenant d'une main une fleur, de l'autre, un arc ( ?) , s'efforce de porter secours à un cerf au repos, le corps percé d'une flèche. Deux devises latines, difficiles à déchiffrer, mais qui toutes deux sont une allusion à chacune de ces compositions, sont écrites au dessous de chacune d'elles et devaient, dans l'exécution définitive, être gravées en exergue ou sur la banderole . La feuille sur laquelle le dessinateur a cherché ses compositions contient douze tondi ou circonfé rences destinées à enfermer le sujet cherché. Sept d'entre elles sont restées vides ; dans la cinquième, qui n'est qu'ébauchée, l'artiste a représenté, voguant sur les flots, une barque à voile qui porte un passager, et, en exergue, il a écrit cette devise : « Non vuol sapere a chi fortuna e contra, » variante en langue vulgaire peu correcte du « Quos vult perdere » , qui est tout à fait dans le goût des devises de maître Hercule . Nous sommes ennemis des affirmations hautaines, mais les procédés de reproduction qui sont à notre disposition nous permettant d'opposer aux gravures du maitre Hercule les dessins originaux que nous venons de décrire, et que nous croyons pouvoir lui attribuer ; le lecteur sera juge de la vraisemblance de notre hypothèse. Ces dernières études de médaillons surtout présentent de telles analogies qu'elles laissent peu de place au doute ; de telles études ne sont pas faites pour la peinture; elles n'ont pas non plus le relief propre à la sculpture, et les inscriptions écrites en légende sont singulièrement affirmatives. Si l'on se refusait à adopter nos conclusions, il faudrait admettre qu'il y a, entre 1500 et 1524 ( car cette date se trouve au bas des dessins), un artiste qui cherchait les inventions pour le maitre, et celui-ci , qui ne faisait que les traduire le poinçon à la main, se les serait appropriées . En effet, il faut remarquer que l'artiste signait ses armes OPVS. HERCVLIS. , confondant ensemble le graveur, l'inven teur, le forgeron d'épées et le sculpteur des beaux fourreaux en cuir repoussé , si fière ment revendiqués par une belle signature monumentale ( sur la gaine du musée d'artillerie de Paris).


Études pour des lames.
Dessins originaux de Maître Hercule – Cabinet des Estampes de Berlin .

II. HERCULE ORFÈVRE DU DUC DE FERRARE , ALPHONSE D’ESTE.

 Continuous nos recherches en passant des musées aux archives et voyons si , pour donner plus de réalité encore à celui dont nous avons rassemblé les ouvres, nous pourrions faire sortir de la poussière quelques documents encore ignorés.
 A Rome, où Hercule semble avoir travaillé dans les cinq dernières années du xve siècle, M. Muntz n'a rencontré qu'une fois son nom dans les registres des dépenses du Vatican ; là, il était qualifié « Aurifex » et la somme qu'il recevait s'appliquait à un travail d'orfèvrerie, à un collier d'or donné par le pape au capitaine de sa garde . A son nom s'ajoutait celui de son pays « Pesaurensis » (c'est- à -dire qu'il était de Pesaro ). Les archives de cette dernière ville , dans la célèbre bibliothèque Oliveriana, ne nous ont rien révélé à son sujet ; et jamais les doctes archivistes et bibliothécaires de la ville , le marquis Antaldi et M.Rossi , n'ont rencontré ce nom . Le hasard seul peut nous niettre en présence d'un artiste, qui est relativement obscur, si l'on considère qu'il a vécu au temps des Mantegna, des Léonard , des Sanzio , des Michel -Ange , des Bramante , des grands génies de la Renaissance enfin , et que son oeuvre est d'une portée inférieure, quoique le goût suprême qui y a présidé nous la recommande aujour d'hui. Or, en feuilletant le Carteggio encore inédit d'Isabelle d'Este , qui comprend sa correspondance avec les artistes de son temps, au « Copie de lettres » et dans les dossiers des lettres elles -mêmes conservées en originaux à l'Archivio Gonzaga de Mantoue, qui forment une correspondance énorme ( plus de six mille lettres, d'un singulier intérêt pour l'histoire de l'art ), nous en rencontrons quatre relatives à un certain Maestro llercule. Parmi ces quatre lettres , une est de la main du maitre lui-même, elle est adressée à la marquise Isabelle Gonzague, femme de Francesco Gonzague, seigneur de Mantoue, datée « Ferrare, 4 octobre 1501 » , et signée «« Servus Hercules Aurifex Illmi Di Ducis Ferrarie » .
 Voilà donc un Aurifex du nom de maitre Hercule, à la solde du duc de Ferrare, qui vit au même temps que le graveur de Borgia. Avançons avec prudence et voyons si c'est bien le nôtre. Isabelle, fille d'Hercule d'Este, commele duc Alphonse d'Este, et qui a épousé son voisin de Mantoue, a commandé à l'artiste des travaux (qu'on ne définit point assez pour que nous soyons sûrs de voir en lui le même personnage). L'ouvre traine, Hercule ne la livre point, car il est excédé de commandes, et il s'excuse :

 « Votre Excellence , dans ces derniers temps, m'a commandé des travaux que j'ai commencés immédiatement et auxquels j'ai donné tous mes soins, désirant grandement satisfaire votre Excellence et lui faire une belle chose qui lui plaise. je n'ai pas d'autres soucis à l'esprit que ces travaux, mais j'ai été si occupé d'autres choses urgentes, que je n'ai pu arriver à les livrer, et M. Hieronymo Zilliolo et Barone savent bien et vous peuvent dire qu'il n'y a pas là de ma faute ; la vraie raison de ce retard c'est que j'ai dù satisfaire à qui a le droit de me commander. Quand une fois j'aurai l'occasion de voir Votre Excellence, je lui ferai comprendre de vive voix comment cela s'est passé, elle saura que si je n'ai pu faire davantage, c'est que je n'ai que deux mains et mon fils deux autres ! ... Que Votre Excellence soit sûre que ni jour ni nuit je n'abandonne la chose et elle sera servie ..... Sur le conseil de Votre Seigneurie, j'ai mis mon fils Ferrante à l'æuvre et je crois qu'il suivra mes traces et que je n'aurai pas à rougir de lui. » .....

 Le lendemain 15 octobre, Hieronymo Magnanini, qui est chargé par la princesse de Mantoue de surveiller le travail, écrit de son côté à Isabelle et il encarte dans sa lettre celle que nous venons de citer :

 Hier, je me suis rendu chez maître Hercule pour voir les bracelets de Votre Seigneurie ; j'arrivai à l'improviste et je trouvai au travail non seulement le maître, mais encore ses fils ; dléjà l'ouvre commence à prendre figure, le contour est fini , des deux côtés le travail de filigrane est soudé et les huit tableaux (quadri)

  1. Quadri doit , je crois , s'entendre dans le sens de médaillon, peut- être de nielles sertis dans des filigranes. étaient là , terminés, devant maître Hercule et devant ses fils , qui tous travaillaient, Selon moi, Votre Seigneurie peut vraiment s'attendre à avoir là une chose beaucoup supérieure à celle qu'elle espérait. J'ai vu le dessin d'ensemble et entre l'exé cution et lui, il y a la meme différence qu'entre un portrait et l'homme vivant. J'aurai garde de ne pas les quitter de l'ail ; hier soir j'ai fait porter le travail à notre seigneur due pour qu'il vit à quel point il en est ..... Maitre Hercule écrit à Votre Seigneurie par la lettre incluse , il écrira sans doute encore pour informer de la marche du travail. « Ferrare , le 15 octobre 1504. »

 Le 11 août 1505 seulement, Hercule a livré la commande ; elle est parvenue aux mains d'Isabelle par l'entrernise de Hieronymo Zilliolo, un de ses correspondants de l'errare, et, par les moyens qu'Isabelle a employés pour les obtenir; on verra avec quelle impatience elle attendait ses bijoux : il faut dire aussi que maitre Hercule, non seulement avait été lent à la satisfaire , mais, chargé d'une commande quelques années auparavant, ne la lui avait jamais livrée .

 « A Hieronymo Zeliolo , notre apprécié et très cher ami. -- Nous avons reçu votre lettre en même temps que les bracelets ; ils sont tellement beaux et d'un travail si supérieur, que nous oublions les retards de l'orfèvre ; nous louons beaucoup maitre Hercule et ses fils de l'ouvre si élégante sortie de leurs mains, et nous vous louons vous-même de toute la diligence dont vous avez fait preuve . Quant à notre illustrissime frère , vous lui rendrez des grâces infinies , nous reconnaissons que c'est à lui que nous devons ces bijoux ; sans lui, en effet, sans son autorité et le parti qu'il avait pris de mettre l'artiste en prison dans le Castello , je crois que de sa vie il n'aurait livré son oeuvre.

  2. Ces façons d'agir sont tout à fait dans le goût du temps ; dans une autre lettre à un artiste , Isabelle le menace de le faire enfermer dans le Balli - Ponte du Castello de Mantoue s'il persiste à ne pas livrer le travail commandé. Quant au prix du travail qu'il demande, véritablement il ne mérite pas un bolognin de moins que les vingt-cinq ducats.

  1. Il s'agit ici de la monnaie de Bologne qui a cours dans toute cette région . Mais comme, il y a des années déjà ; nous lui avons donné d'avance vingt- cinq ducats pour nous faire des boutons d'or qu'il n'a jamais exécutés ; vous pourrez lui dire que l'un compensera l'autre . Cependant, afin qu'il reconnaisse à quel prix nous estimons son travail et son talent , vous lui donnerez en sus dix ducats , plus deux autres pour le prix de l'or qu'il prétend lui être redů, ce qui fera 12 ducats ; enfin , vous retiendrez les cinq ducats que vous avez déboursés, et , à cet effet, nous vous envoyons par le courrier Polidore dix - sept ducats dans une sacoche pour le dit paiement . Quand vous aurez l'occasion de voir le seigneur duc, vous me recommanderez à son Excellence . Bene valete . « Mantoue, 21 août 1505 . Isabelle . »

 Ces lettres lues, examinons dans quel milieu évoluent les personnages : nous sommes à Mantoue, d'où Isabelle écrit, puis à Ferrare , d'où celui qui signe maitre Hercule Aurifex Nimi Ducis Ferrarie » , date sa lettre à la marquise. Or, on n'a pas oublié que notre dossier contient une arme de choix faite pour Hercule d'Este , seigneur de Ferrare, ou pour Alphonse d'Este , son fils (puisqu'elle porte les armes de la maison de Ferrare) ; et, cette cinque -dea, dont la poignée est enrichie de nielle, étant certainement l'æuvre du graveur de Borgia, comment pourrions- nous admettre qu'au même temps où il y avait à la cour de Ferrare un orfèvre titulaire , attaché au service du duc, qui signait « maitre Hercule » , il y ait eu à côté de lui un autre Aurifex , aussi du même nom, qui aurait fait des bijoux, gravé des épées et monté des lames pour le même prince ? Les points de contact sont d'ailleurs nombreux ; Alphonse de Ferrare, en 1501, a épousé Lucrèce, la seur de César ; et cet Alphonse est le propre frère d'Isabelle d'Este, devenue Gonzague par son alliance. Les deux cours voisinent, et Isabelle emploie tous les artistes de Ferrare ( Lorenzo Costa, Dosso Dossi , Cristofano Romano .... et tant d'autres) . Mais, me dira - t -on , le maitre Hercule Aurifex , titulaire du duc, ne parle ici que de bijoux et celui que nous voyons exécuter l'épée de César est un artiste apte à la sculpture et à la gravure, presque un humaniste par l'ordre d'idées qu'il évoque et le milieu dans lequel il évolue ; et c'est le ravaler que de le restreindre au rôle d'un orfèvre . L'objection n'a pas de prise ; cet humaniste, en effet, figure sur les registres du Vatican comme Aurifex dans la stricte acception du mot, puisqu'on lui paie le prix d'un collier pour le capitaine des Stradiots du Vatican, ce qui est une auvre vulgaire ; c'est lui aussi qui a exécuté ou fait exécuter dans son atelier la poignée ornée d'émaux cloisonnés de filigranes de l'épée de César (dont, du reste , le genre de travail correspond assez bien à la description de celui qu'il fait ici pour Isabelle d'Este) . Il y a donc là un atelier ( une bottega, comme on disait alors) et l'on voit nette ment le maitre à son étau avec ses deux fils qui, dit - il, suivront ses traces et dont il n'aura pas à rougir. L'auvre d'Hercule et de ses enfants, ses élèves, sera plus tard confondu dans le sien ; de là quelques hésitations, quelques variétés dans l'expression et dans la touche, constatées dans les diverses cuvres que nous avons réunies, euvres inégales souvent, et parfois presque de pacotille ; de là aussi le nombre considérable de travaux plus ou moins soignés sortis de cet atelier qui semble avoir fabriqué les cinque - dea à lames gravées sur fond d'or pour toutes les régions de l'Italie, depuis 1496, au moins, jusqu'en 1525, à peu près.
 Il faut retenir un autre point qui n'est pas sans importance ; l'Hercule, orfèvre du duc de Ferrare , est un dessinateur habile , car, exécutant les commandes pour Isabelle d'Este, il a devant lui un projet dessiné sur lequel le correspondant insiste ; enfin, il semble bien que les quadri dont parle Hieronymus Magnanini

  4. Ce Hieronimus Magnanini est le conseiller intime du duc, son secrétaire et homme de confiance, c'est lui qui est chargé d'apprendre à Lucrèce Borgia la mort de son frère César ; un grand nombre de dépêches lui sont adressées ou sont signées de sa main .

soient des nielles ou des émaux, et, si l'on veut juger de la nature du travail exécuté, par un échantillon du temps, qui est peut- être de lui ; on pourra jeter les yeux sur le portrait de la marquise de Mantoue gravé par van Dalen, où elle porte un splendide collier , vrai chef- d'ouvre d'orfèvrerie , d'une forme rare et d'une grande richesse .
 Le hasard qui nous a fait rencontrer à Mantoue ces quelques lettres relatives au maitre dont nous cherchons à préciser les traits , s'il nous avait mieux servi encore , aurait pu nous livrer la correspondance du maitre avec Alphonse, duc de Ferrare, ou avec François Gonzague, et , cette fois, il est bien probable qu'au lieu de descriptions de bijoux, colliers , boutons ou bracelets ; celui qu'on appelait en Italie le vainqueur du Taro, ou bien son beau- frère le duc de Ferrare, ingénieur militaire, fondeur de canons, « bom bardier , » comme il se plaisait à signer, nous aurait parlé des épées de parement ou des épées courtes que tous deux commandaient au maitre Hercule. Alors, au lieu de fortes présomptions; nous aurions la certitude absolue de l'identité de l'Hercule des Borgia avec le maître Hercule de la maison d'Este , identité dont, nous le répétons, le lecteur sera bon juge, ayant en mains tous les éléments de comparaison .

CONCLUSION .
 Concluons rapidement et résumons les faits : l'arme de César Borgia, qui est un monument d'art en même temps qu'un document historique, est l'ouvre d'un artiste qui gravait des lames d'épée, composait et modelait des gaines exécutées le plus souvent en cuir repoussé et quelquefois décorées de compositions à figures. Cet artiste, qui signait l'épée OPVS HERC, a exécuté un fourreau qui figure au musée d'artillerie de Paris, signé Opus Herculis ; ainsi se trouve fixé le nom de l'auteur, dont M. Muntz a décou vert la trace dans les registres du Vatican où l'on a ajouté à son nom le lieu de son ori gine Pesaurensis ( Pesaro) . Une enquête faite dans un grand nombre de villes d'Europe a permis de réunir trente à trente -cinq armes qui peuvent lui être attribuées , parmi celles ci on compte quatre épées et toutes les autres sont des lames courtes dites « cinque-dea » . On a défini au cours de cette étude le caractère de ce genre d'ouvres, la manière et les tendances de l'homme qui, probablement, a été le traducteur des inventions d'artistes supérieurs, dont il a gardé l'empreinte. Hercule évoquait de grands souvenirs et des idées hautes ; il était tout imprégné de l'idée antique et , s'étant frotté aux humanistes; il se dégageait de ses wuvres un parfum littéraire ; aussi, au milieu de productions de pacotille destinées au commerce, a- t - il laissé quelques compositions si relevées, d'un goût si élevé, et des fourreaux d'épées d'une architecture si noble, qu'ils sont dignes de figurer à côté des auvres des grands maitres de la Renaissance. L'orfèvre avait le goût des inscriptions, il les demandait aux poètes et aux historiens de l'antiquité, et souvent aussi aux dictons en langue vulgaire. Parfois il les estropiait, soit qu'elles fussent abandonnées à de grossiers ouvriers qui ne les comprenaient pas, soit que le patron de la Bottega n'en connut lui -même pas le sens. Ce maitre Hercule a dû finir sa vie à la solde du duc de Ferrare, travailler pour Alphonse d’Este , pour Lucrèce Borgia et Isabelle d'Este, et évoluer dans le nord de l'Italie où nous retrouvons des armes de lui à Venise, à Bologne, à Parme aux armes des Sanvitali ). Il représente bien par ses facultés multiples un temperament de second ordre du temps de la Renaissance ; quand il se met à la disposition du passant, il fabrique sans passion et met en euvre, sans ordre et sans discernement, les éléments qu'il a empruntés à l'antiquité. Ondoyant et divers, il est Aurifex , et , tenant boutique dans une spaderia de Ferrare , il travaille pour qui le paie. Quelquefois aussi il lui est arrivé de prendre l'argent sans livrer la marchandise (c'est le cas d'un grand nombre d'artistes slu temps); mais quand il a l'honneur d'être appelé par un grand personnage ou un de ces princes souverains qui ont laissé dans l'histoire un sillon sanglant ou lumineux, comme César Borgia, Francois Gonzague ou Este , Hercule se redresse, et il parle haut ; alors on s'étonne de voir que tout est dans tout et qu'une simple lame d'épée sortie de ses mains ou un fourreau modelé par lui, comme les belles pièces du musée d'artillerie de Paris, celle des Gaetani et celle du South Kensington , deviennent des euvres de la plus haute allure, de vrais monuments d'art qui font songer aux bas reliefs antiques. N'eût- il gravé que l'épée de Borgia, la lame de la cinque -dea de la tour de Londres, celle du prince Frédéric -Charles, et quelques autres, le nom d'Hercule méritait d'être sauvé de l'oubli ; son bagage ne peut plus que s'augmenter et sa répu tation ne peut plus que croitre . On peut désormais écrire son nom à côté de celui des Piccinino, des Andrea de Ferrare, des Lazzarino Caminazzi , des Colombo , et de Serafino de Brescia son contemporain , qui fut armé chevalier par François ſer auquel il pré senta une riche armure sortie de ses mains. CHARLES YRIARTE .

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Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti

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Il 22 settembre 1507 Isabella gli commetteva certi ferretti veduti in dosso a Lucrezia Borgia . Così ella ne scrive Girolamo Ziliolo : « Vedessimo altre volte alla Illusa Siga Duchessa certi ferretti d'oro facti in torto da maestro Hercule aurifice . Desideraressimo haverne quaranta de simili ; però vi mandiamo una verzelletta d'oro quale pesa once due quarti uno » . Ma ignoto del tutto è il fatto che prima della conversione Salomone da Sesso dimorò stabilmente in Mantova . Isabella lo condusse seco quando andò a marito , tanto è vero che la madre Leonora , in una bellissima lettera del 12 marzo ...

Storia della marina italiana: dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia de Lepanto 3

著者
Camillo Manfroni
出版
1897年
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 Nel successivo anno 1502 il Papa , forse temendo che Venezia , come gà correva voce , facesse pace coi Turchi , promise di inviare alla Repubblica una grossa squadra ed armò infatti venti galee , chiamandone al comando il vescovo di Pafo , Giacomo Pesaro , cittadino veneziano e fratello del capitano generale .
 Questa volta erano i Veneziani che mostravano di non aver fretta di condurre innanzi la spedizione , perchè già era giunto nella loro città un messo del Turco , apportatore di proposte di pace , e d'altra parte essi sospettavano della buona fede dei Francesi e temevano qualche grossa novità in Italia , sicchè non volevano privarsi dell ' aiuto dell ' armata inviandola in Levante . 5
 Anche Massimiliano , re dei Romani , quantunque in discordia con Venezia per la questione del Tirolo , aveva detto in gran segreto all'oratore Capello , che non doveva Venezia fidarsi troppo dei Francesi e che doveva tener gli occhi aperti , 1

 1 Doc . citato dal ROMANIN , op . cit . , V , 130 .

onde il Senato vigilava e avrebbe voluto affrettare la conclusione della pace coi Turchi per rivolgere tutta la sua attenzione alle cose d'Italia.
 Tuttavia , stimolato da papa Alessandro , che voleva farsi perdonare l ' inazione dell'anno precedente , il Senato ordinò al capitano generale di recarsi in Levante per congiungersi coi Cavalieri di Rodi e coll ' armata pontificia .
 Prima però che il legato papale giungesse , i Veneziani , i quali avevano trentaquattro galee , oltre alle quattro galee dell ' Ordine ed a quattro altre , condotte dal famoso Prégent , tentarono e condussero a fine alcuni sbarchi nel golfo di Salonicco , 2

 2 Lettera del capitano generale 29 e 30 luglio 1502 , in SANUTO , op . cit . , vol . IV , col . 307 .

abbruciando le messi , depredando i casali , menando in ischiavitù gli abitanti , incrociando nelle acque dell ' Egeo , catturando fuste e brigantini turchi e recando altri danni .
 Quando poi giunse l'armata pontificia , dopo qualche discussione fu stabilito di ritentare l'impresa lasciata in disparte l'anno precedente , cioè di assalire Santa Maura . E infatti , dopo aver fatto una correria verso Monte Santo ( Athos ) , a Tasos e lungo le coste esterne dell'isola di Negroponte , tutta l'armata prese a bombardare Santa Maura , di cui era sangiacco , o governatore , il famoso pirata Camali . 3

 3 GUGLIELMOTTI , op . e loc . cit . e SANUTO , op . cit . , vol . IV , col . 313. Osservo che , secondo il solito , il Guglielmotti esagera l'importanza di questa operazione di guerra e celebra oltre ai limiti del giusto il valore dei Pontifici . Anche il Pastor , prestando fede al Guglielmotti , ha creduto alle straordinarie imprese del vescovo Pesaro e non s'è ricordato di ciò che egli stesso nel volume precedente aveva scritto .

 Per difendere l'isola venne da Avlona un corpo di Turchi , che assali il campo dei federati ; ma , respinto da tutte le parti dovette ritirarsi con gravi perdite e forse sarebbe stato intieramente distrutto , se gli alleati fossero stati più vigilanti .
 Finalmente Santa Maura si arrese ( 30 agosto 1502 ) e fu messa a sacco ; il castello venne presidiato dai Veneziani . In questa impresa il Prégent , secondo la relazione del capitano generale , si condusse con grande valore e meritò somma lode ; non però quanto glie ne attribuisce il signor Spont , che , interpretando male un passo del Sanuto , afferma doversi a lui solo la presa del castello e della città di Santa Maura .

 4 Egli cita : « El magnifico Prejan in tutta questa impresa ha fato quello che se li fusse sta in suo beneficio ... » ( op . cit . , p . 400 , nota 3 ) . La frase non ha senso . SANUTO ( op . cit . , vol . IV , col . 313 ) , dice invece : « El qual in tutta questa impresa ha fato quello che , se li fusse sta in suo beneficio , non avria potuto far di più e merita laude » . La cosa muta : del resto non è infrequente il caso che il signor Spont fraintenda il Sanuto e gli faccia dire precisamente l'opposto di quello che egli ha detto . Vedi la citata mia recensione nella quale ho enumerato molte inesattezze in cui l'egregio autore è caduto .

Catálogo de la Real Armería

出版
1849年
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 1622. Montante, sin guarnicion remitido á Enrique IV por el papa Calisto III en 1458, segun una nota del Cronicon de Valladolid. En cada lado de la hoja hay un círculo con un toro, y por encima llaves y tiara; despues la inscripcion ACCIPE. S. C. M. GLADIVM MVNVS. A. DEO. I. QUO DEI CIES. ADVERSARIOS P. P. LI. MEI. XPIANI; y por último otras llaves y tiara. En medio de dicha inscripcion se ve en un círculo una barca, y dentro una figura con una cruz: - todo está sobredorado.

Catálogo histórico-descriptivo de la Real Armería de Madrid

著者
Real Armería de Madrid; Valencia de don Juan, Juan Bautista Crooke y Navarrot, 1829-1904
出版
1898年
引用サイト
Internet Archive

 G. 5. Hoja de un estoque pontificio, enviado al rey D. Enrique IV de Castilla por el papa Calixto III en 1458.

  3. Este pontífice español, fué elegido en 1455, y falleció en 1458.

 Es de cuatro mesas, con falsaguarda

  4. Así llaman, en un Inventario de armas del siglo xvi, las dos pequeñas aletas colocadas en las hojas de los montantes, á una tercia de la guarnición, con objeto de parar los tajos ceñidos á la hoja.

y recazo largo escotado por ambos cantos; dorada y grabada en sus dos tercios. Largo, 1,180; ancho 0,039.
 La procedencia de este arma induce á suponer que su punzón (Figura 107) es de espadero italiano, para nosotros desconocido.
 En cada lado de la hoja lleva un escudo circular con un toro en campo de róeles, encimado por la tiara y las llaves, que son las armas de este Pontífice, y á continuación esta leyenda: ACCIPE • S • C • M • GLADIVM MVNVS • A • DEO • I • QVO • DEI • CIES 1 • ADVERSARIOS • P • P • LI • MEI • XPIANI.

  1 Debe ser error del grabador. Léase DEJICIES.

 Según nota del Cronicón de Valladolid, este estoque fué remitido á Enrique IV de Castilla por Calixto III, español de origen (de Játiva), para alentarle á combatir sin descanso contra los moros.

  2 Véase Fernández Duro. Tradiciones inflindadas. Pág. 574.

La guarnición no existe; pero juzgúese de la riqueza é interés artístico que tendría, por la reseña que de ella se hace en el Inventario de los alcázares de Segovia antes citado: dice así: « un estoque, está todo dorado, casi hasta el postrer tercio, con unas letras grandes de cada parte, e tiene por marca siete puntos metidos en un escudete; tiene el pomo, el puño c cruz todo de plata dorada acucharado, e enmedio del pomo que dice Calistus Papa Tercio; tiene la vaina de plata dorada abierta de lima de unas hojas de carrasco con sus bellotas, e tiene cuatro esmaltes redondos, en la pieza de enmedio; en el uno está San Pedro con una cruz en la mano, metido en una nao, e en los otros dos hay en cada uno una cruz colorada e cuatro chicas, e el brocal es esmaltado con unas armas del Papa e con un escudo con un buey de cada parte e unas letras azules », etc. Esta obra de arte fué hecha por el artífice zaragozano Antonio Pérez de las Celias, establecido en Roma, quien trabajó casi exclusivamente para Calixto III durante su breve pontificado.

  3 Muntz. Les arts h la cour des Papes.

Spanish Arms and Armour

編者
Albert F. Calvert
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Academy of European Medieval Martial Arts

 G5. Blade of a Pontifical sword, sent to Henry IV. of Castile by Pope Calixtus III. in 1458. (This Spanish pontiff, Alfonso Borgia, of Valencia, was elected in 1455, and died in 1458.)
 It has four surfaces, with false guard and long ricasso, sloped on both edges ; gilded and engraved on both sections. Length, 1.180 ; width, 0.039.
 The history of this weapon leads us to suppose that the mark is that of an unknown Italian sword maker. On each side of the blade is a circular shield with the arms of the Pontiff (a bull on a ground composed of bezants, surmounted by the tiara and keys), and this inscription : ACCIPE S C M GLADIVM MVNVS A DEO I QVO DEI CIES (sic) ADVERSARIOS P P LI MEI XPIANI.
 According to the note in the Cronicon of Valladolid, this sword was sent to Enrique IV. of Castile by Calixtus III., to encourage him to fight unre- mittingly against the Moors. The ornamentation has gone ; but we may judge of its richness and artistic value by the sketch of it in the Inventory of the alcazars of Segovia : it says ". ... A sword, all gilded, nearly to the last third section, with large letters in each portion, and the mark consists of seven spots on a small shield ; the pommel, the hilt, and cross are all of gilded acucharado silver, and in the middle of the pommel are the words Calistus Papa Tercio ; the sheath of gilded silver, engraved with evergreen oak leaves and acorns, has four round enamels on the middle portion ; on one is St. Peter with a cross in his hand, in a ship, and on each of the other two (sic) is a coloured cross and four small ones ; the rim is enamelled with coats of arms of the Pope, and a shield with an ox in each quarter and some blue letters . . . ., &c. This work of art was by the artificer of Zaragoza, Antonio Perez de las Cellas, established in Rome, who worked almost exclusively for Calixtus III. during his brief pontificate." (Muntz, Les arts a la cour des Papes.)
 The name falsaguarda, or dummy guard, was given, in an Inventory of arms of the sixteenth century, to the two small pieces or wings on the blades of broadswords, a third of the way from the guard, where the grooving on the blade ends.
 These, of course, were presentation swords. The blade (024), which is traditionally ascribed to the Conde de Haro, of Juan II. 's reign, is gilded and engraved at the upper end, the design representing on one side the Annunciation, on the other, St. John in the Desert. It has a groove down its entire length, and is diamond-pointed.

Caietanorum genealogia: indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origine all'anno MDCCCLXXXII

著者
Gelasio Caetani
出版
1920年
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55 GUGLIELMO di Onorato III.
n. prob. 1462 post. † 1519.XII Sep. in S. Maria di Sermoneta.
Fid. 1487.XII . 18 m. 1490.1.10
FRANCESCA CONTI
n. 1467 post. † 1550
di Bruno Conti († 1487 ant. ) e Vannola Conti dell'Anguillara ? dei Conti di Segni ; Si firma Contessa di Sermonela ».
FIGLI :
IERONIMO (N 60) , Primog. trucidato dai Borgia ? † 1499 ?
CAMILLO (N 59), Capostipite.
ERSILIA (N 61), m. Giovanni- Francesco Orsini.
ONORATO, n. 1498 œ ; † prob. giovane.
Figlia, m. Gaddi? (Arc. Caet. , N. 170879) .

CENNI STORICI.
1487 Dec. 18 - Si stendono i capitoli matrimoniali ( Arc. Caet. , Prg. 2078, N. 186899, 191189, 155314).
1494 Luglio 29 - Dopo la morte del fratello Nicola gli succede come condottiero ai servigi di Alessandro VI (Arc. Caet. , Prg. 308, 320).
1494 Ottobre princ. - Alessandro VI gli ordina di mettersi con la sua gente d'arme a disposizione di Re Alfonso (Arc. Caet. , Prg. 221 , 305) .
1499 Sett. (20 c. ) - Il Papa dichiara ribelli i Caetani e ne confisca i beni. G. vive ESILIATO A MANTOVA presso Francesco II Gonzaga (Arc. Caet. , Misc. 94, p. 106).
1499 Nov. 18 - Alessandro VI ordina di ampliare e fortificare la rocca di Sermoneta ( Arc. Vat. , Arm. XXXIV, T.º 13, f. 340). I lavori vengono completati in 15 mesi.
1500 Febbr. 12 - Vendita di Sermoneta, Bassiano, Ninfa, Norma, Tivera, Cisterna, S. Felice e S. Donato fatta dalla Camera Apostolica a favore di Lucrezia Borgia per 85000 ducati (Arc. Caet. , N. 148709 ; Burkh. , III, 15) .
1501 Luglio 31 - Alessandro VI visita Sermoneta (Burkh. , III , 153 ; Sanuto, IV, 77).
1501 Ag. 20 - Alessandro VI sanziona la confisca dei beni di Casa Caetani con la bolla « Dudum iniquitatis filii ».
1501 Sett. 17 - Alessandro VI dona a Roderigo Borgia Sermoneta e le altre terre dei Caetani, elevandola a ducato con la bolla « Coelestis altitudinis » (Arc. Vat. , 871 , f. 66, Alex. VI, p. VI, etc.) .
1503 Ag. 31 - Morto Alessandro VI, Francesca Conti accompagnata dal fratello Federico, rientra a Sermoneta acclamata dal popolo (Car. L. O., 197 ; Arc. Caet. , N. 190558, 190534, 169401 ).
1504 Genn. 24 - Giulio II reintegra la famiglia Caetani in tutti i suoi beni (Arc. Caet. , Prg. 3060).
1503-1519 ? - Consacra [e forse costruì] il convento di S. Francesco presso Sermoneta (Fra Gonzaga : Cron. Orig. Relig. Seraph. , I , 2, p. [ 182 ?] , cit. Arc. Caet. , N. 145555 [ C-339- LVII] ) .
1503-1519 - Dà un nuovo statuto al popolo di Sermoneta (Arc. Caet. , Misc. 34).
1506 - Riconduce alla diruta San Felice alcuni degli antichi abitanti e cerca di far riedificare il paese (Arc. Caet. , Prg. 1092, 384, 1287).
1510 - In lite con Sezze per i confini della tenuta « le Mesagne » .
1516 c. - Viene alle armi con i Caetani di Maenza per una peschiera presso Fogliano (Arc. Caet. , Misc. 616, p. 187) .
1516 Genn. 21 - Detta il suo testamento in Sermoneta (Arc. Caet. , Prg. 2745) .
1519 Novembre - I Caetani di Maenza congiurano per impossessarsi della rocca di Sermoneta (Arc. Caet. , N. 131563, 41511 , Misc. 94, p. 114, etc.).

The Connoisseur v.18

出版
1907年
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Notes and Queries

 [The Editor invites the assistance of readers of The Connoisseur who may be able to impart the information required by Correspondents .]

The Signet Ring of Cesare Borgia.

 To the Editor of The Connoisseur.
 Sir, —With regard to your question in The Connoisseur for February respecting the signet ring of Cesare Borgia, I may say that my father, the late Rev. Charles Henry Hartshorne, bought it at the sale of the collection of Thomas Turton, Bishop of Ely, in 1864. I remember that there was a date, I think 1515, engraved on the lid of the box, which was supposed to have contained poison. This date had the appearance of being modern. It was of this kind— 1515 —and I should have expected the figures of that date to have been more after this form—1515. I believe the ring is now in the possession of my brother. This I can ascertain for you if you let me know. With the ring was a circular filagree box, with a red stone set in the centre of the lid.
 It is more than thirty years since I saw these objects, but I remember that the ring was very heavy and massive, and the inscription in small black letters inside the hoop was evidently genuine—fais ce que dois advienne que pourra.
Yours faithfully,
Albert Hartshorne.

Storie di Locri e Gerace messe in ordine ed in rapporto con le vicende della Magna Grecia, di Roma, e del regno delle due Sicilie

著者
Pasquale Scaglione
出版
1856年
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APPENDICE

 Per notizie da poco riunite , possiamo dare quasi intera , se non del tutto , la serie de' Dinasti , che dominarono nella nostra Gerace.
 1. Nell'anno di Cristo 1345 , Errico Caracciolo , primo di questo nome , sposato alla nobile donna Fredina del Tufo , primo Conte , e tenne il Feudo per anni dodici.
 2. Nell'anno 1360 , Nicolò Acciajoli , Fiorentino , sposato a Margherita Malaspina di Firenze, secondo Conte per anni tre.
 3. Nell'anno 1363 , Autonio Caracciolo , primo di questo nome , sposato a Maria Ruffo de' Conti di Sinopoli , terzo Conte per anni ventidue.
 4. Nell' anno 1385 , Alberico Ballicano di Faenza , sposato ad una Brancaccio di Napoli , quarto Conte , per anni quattro.
 5. Antonio Caracciolo , secondo di questo nome, sposato a Maria Ruffo , quinto Conte per anni tre.
 6. Nell'anno 1392 , Giovanni Caracciolo , sposato a Caterina Concublet , figlia di Giordano , Conte di Arena Mileto , sesto Conte per anni 42.
 7. Nell'anno 1432 , Battista Caracciolo , primo di questo nome , sposato con Giovanna , e poi con Elisabetta Ruffo , settimo Conte per anni 13,
 8. Nell' anno 1443 , Giorgio Caracciolo , ottavo Conte, per anni tre.
 9. Nell'anno 1446 , Tommaso Caracciolo nono Conte , e primo Marchese di Gerace , per anni dodici , e poi privato per reato di Maestà , e nell' intervallo successo di anni dodici , venne Gerace amministrata per conto Regio , prima da Marino Correale e poi dal suo fratello Raimondo.
 10. Nell'anno 1470 , Errico di Aragona , secondo di questo nome , decimo Conte , e secondo Marchese , per anni dieci , sposato a Polissena Centeglia.
 11. Nell'anno 1480 , Lodovico di Avazone, undecimo Conte , e terzo Marchese , per anni quindici , sposato a Perretta Ususmari.
 12. Nell'anno 1495 , Eberardo Stuart d' Obizzi , undecimo Conte , e quarto Marchese , per circa anni due.
 13. Nell' anno 1497 , Lodovico d' Aragona secondo di questo nome , tredicesimo Conte , e quinto Marchese per anni due.
 Nell'anno 1502 , Consalvo Ferdinando da Cordova, detto il Gran Capitano , sposato a Maria Manrica , ed ebbe unica figlia a nome Elvira, sposata in prime nozze a Berardino Velasco ed in seconde a Lodovico Ferdinando da Cordova , terzo di questo nome , figlio di Diego , decimoquarto Conte, e settimo Marchese per anni tredici .
 15. Prima di Consalvo , e nell' anno 1495 , Carlo d' Aragona decimoquarto Conte , e sesto Marchese per anni tre circa .
 16. Nell'anno 1515 , Lodovico Ferdinando da Cordova terzo di questo nome , decimosettimo Conte , ed ottavo Marchese , sposato ad Elvira , figlia del Gran Capitano .
 17. Nell'anno 1530 , Consalvo Ferdinando da Cordova , secondo di questo nome, decimottavo Conte , e nono Marchese, per anni 34.
 18. Nell'anno 1564 Tommaso Marino da Genova , secondo di questo nome , sposato a Bettina Auria , decimonono Conte , ex Marchese per anni dieci .
 19. Nell' anno 1574 , Battista Grimaldi , da Genova , undecimo Marchese , e ventesimo Conte , per anni sette , sposato a Maria Spinola.
 20. Nell' anno 1582 , Giovan Francesco Grimaldi da Genova, figlio di Battista, undecimosecondo Marchese, e ventunesimo Conte, sposato a Lelia Spinola, figlia di Filippo Marchese di Venafro.
 21. Girolamo Grimaldi da Genova, primogenito di Gian Francesco decimoterzo Marchese , e ventesimosecondo Conte , sposato a Benedetta Pinelli da Genova.
 22. Giovan Francesco Grimaldi da Genova , primo Principe di Gerace, decimoquarto Marchese, e ventesimoterzo Conte , sposato a Maria Lelia Grimaldi. Costui si recò in Gerace , e si trattenne per due anni , e ne' vicini feudi .
 23. Girolamo Grimaldi , figlio di Gian Francesco , sposato a Teresa Mari , secondo Principe , decimoquinto Marchese " e ventiquattresimo Conte.
 24. Stefano Grimaldi , figlio di Girolamo , terzo Principe , decimosesto Marchese , e venticinquesimo Conte , si ebbe tre mogli ; la prima è stata Faustina Gambacorta , la seconda Eleonora Piccolomini , la terza Eleonora Pappacoda. Dall'ultima si ebbe due figli , che morirono in età infantile.
 25. Gian Francesco Grimaldi , figlio secondogenito di Girolamo , quarto Principe , decimosettimo Marchese , e ventesimosesto Conte , sposato ad una Dama della famiglia Brignole di Genova.

Giornale araldico-genealogico-diplomatico italiano 11

出版
1874年
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I BORGIA DI VELLETRI

 Fin dal secolo duodecimo troviamo esistere questa famiglia in Velletri, nella persona di Riccardo Borgia, il quale in un contratto di affitto esistente nell' archivio capitolare tra il Vicedominio della cattedrale veliterna e i figli di Tolomeo Signori di Gabiniano (ai quali il Borgia fa da curatore) viene appellato Dominus. Ora è opinione costante di tutti gli storici patrii e nazionali che cotesto Riccardo fosse uno dei discendenti di Pietro Borgia, che discacciato co' suoi figli nel secolo X dalla Spagna, vennero essi in Italia, dove si stabilirono, e specialmente in Roma. La qual discendenza viene confermata dallo avere i Borgia di Velletri usato sempre lo stemma dei Borgia Spagnoli; e meglio nel riprodur che fanno in sè stessi , sino ai viventi dei nostri giorni, il tipo più marcato degli antenati loro nobilissimi, che furono un Calisto III, un Alessandro VI, un Valentino. Ciò ammesso come è di ragione, a voler dire di quanta nobiltà vada altera cotesta veliterna famiglia, basta solo il rammentare come abbia avuto essa, con due celebri Papi, dieci Cardinali, e Vescovi, e Arcivescovi assai ; e poi duchi , marchesi, cavalieri e conti senza numero; alcuni dei quali imparentati a famiglie sovrane; sommi scienziati, valorosi guerrieri, con alla fine un santo, che fu Francesco, duca di Gandia e terzo nel novero dei Generali della Compagnia di Gesù.
 Questo ramo Borgia veliterno oltre all'essere ascritto tra le più antiche famiglie del patriziato di Velletri, trovasi annoverato nelle consolari di Fermo, di Benevento, di Anagni, e di Roma. I soggetti che produsse raguardevoli per virtù cittadine e religiose sono di vasto novero, e noi li restringeremo ai seguenti.
 Dopo Riccardo surricordato, nel secolo XIII si ha un Romano Borgia, monaco vallombrosano, e vescovo quindi di Venafro. Fa elogio di lui il Simei nel suo Catalogo degli uomini santi ed illustri. Cola nel 1300 fu uno de' Nove Buoni Uomini, magistrato che unito al Podestà resse per trecento anni il Comune veliterno, come da pergamene dell'archivio segreto di Velletri .
 Gorio e il suo figlio Pietro furono militari, lancie spezzate, e aiutanti di campo del Duca Valentino, che per loro mezzo potè fuggirsi da Velletri, quando vel tenne quasi ostaggio Carlo VIII, nell'andata che fece alla presa di Napoli. Vedi « Ricchi » Teatro degli uomini illustri dei Volsci ; Teoli e Borgia « Storia di Velletri . »
 Giovanni nel 1500 fu abbreviatore apostolico. De Parco Majori, e parla di lui il Ciampini.
 Nel 1540 si ha Domenico che fa le veci del Podestà, e va ambasciatore al Papa e con lui i nobili Veliterni Minicio e Pietro , che prodi guerrieri respinsero le angherie e gli assalti dei Colonnesi contro Velletri , e suo territorio.
 Al 1575 visse un Ettore, famoso giurista negli annali dell'Università Romana, ove sembra fu familiare e stretto ai Signori Savelli di Albano.
 Appresso a lui e nel medesimo secolo crebbero in fama un'Orazio Borgia, valoroso militare che diè la vita in battaglia contro i Turchi, in Ungheria; e Filomena matrona nobilissima piissima, che eresse la Chiesa di S. Maria in Via Lata in Velletri.
 Dopo costoro, al 1600 vengono un canonico Alessandro, chiaro per molti incarichi ecclesiastici ; ed un Erminio di Camillo, chiaro per l'esercizio di molte magistrature, e per aver riunito nella sua famiglia i diritti feudali del castello di Sgurgola, ricaduti nei Borgia per le nozze contratte con Costanza Gallinella, nobile Veliterna, figlia di Olimpia Caetani, nobile romana.
 Camillo di Clemente fu Priore e alla morte dei Cardinali Gallo, Barberini , e Caraffa, Rettore e Giudice della città. Nella Biblioteca comunale di Velletri esiste di lui una Cronaca manoscritta, tratta dai libri dei Consigli.
 Pietro Antonio Teocrito scrisse nel 1714 la vita di Mons. Arcivescovo di Mirra, Bonaventura Teoli , primo istorico di Velletri ; e Gianpaolo che fu uditore della nunziatura in Spagna, rinunziò più volte il vescovato, e scrisse la vita del Vescovo di Ferentino Giancarlo Antonelli, nobile veliterno.
 Assai più chiaro surse dietro a loro Alessandro, il quale dopo essere stato canonico e vicario in patria, fu scelto prelato nella corte pontificia e mandato Nunzio in Colonia. Nel 1722 fu esaltato al vescovato di Nocera dal Pontefice Innocenzo XI; e Benedetto XIII mosso dalla grande erudizione, prudenza, e zelo , che possedea, lo nominò Arcivescovo e Principe di Fermo, cui resse per venti anni, e ove morì, lasciando presso quel popolo la sua memoria in benedizione. Fu dottissimo, scrisse varie opere latine e italiane assai pregevoli, e alle quali tutte va innanzi, a nostro parere, la eruditissima Storia di Velletri. Fu precursore e maestro al suo nipote Stefano Cardinale nell'amore e nello studio delle cose critiche; e avvantaggiò di belli e interessanti monumenti il celebre museo di famiglia in patria.
 Fratello di lui fu Fabrizio il quale da canonico ch'era nella sua patria fu chiamato in Roma dal sullodato Pontefice Benedetto XIII pel disbrigo d'importanti affari , pei suoi meriti quindi elevato alla cattedra vescovile di Ferentino. Fu consacrato nella nostra Cattedrale dallo stesso suo fratello Arcivescovo Alessandro; e vive ancora la fama delle sue virtù presso quel gregge. Diede alle stampe alcune opere, tra le quali la traslazione del corpo del nostro protettore S. Geraldo, vescovo cardinale di Velletri.
 Angiola Caterina figlia di Clemente Erminio abbracciò lo stato religioso in S. Lucia in Selce a Roma; visse santamente e morì nel 1745 con tale odore di santità, che per autorità apostolica le fu incominciato il processo di beatificazione, ed ebbe il titolo di VENERABILE.
 Nel 1734, visse Cesare Francesco, cavaliere di Malta, e quindi Commendatore dello stesso Ordine. Fu pure Colonnello e comandante d'una galera e si distinse per valor militare contro i Turchi.
 Erminio fu personaggio di bella fama scientifica e fondatore della società letteraria volsca in sua patria, ed il fratello di lui prelato in Roma, e canonico di S. Giovanni in Laterano.
 Stefano Cardinale di S. Chiesa fu figlio di Camillo e nacque nel 1731. Cotesto personaggio, il più illustre della famiglia Borgia vliterna, sin dagli anni primi giovanili diè indizii di grande ingegno e profondo studio, in specie trovandosi a Fermo presso l'Arcivescovo suo zio. Entrato nell'Accademia pontificia dei nobili ecclesiastici in Roma nel 1757 fu laureato in utroque ; e da Benedetto XIV creato prelato, e inviato a governare Benevento. Vi fè mostra di saviezza non ordinaria, piacque alla città e provincia; ne illustrò i monumenti antichi, pubbliconne la storia. Tornato a Roma fu decorato dell' Ordine Gerosolimitano e scelto segretario della Congregazione delle Reliquie e Indulgenze. Ma dove risplendè grandemente il suo senno, lo zelo, e la dottrina fu il collegio di Propaganda. Elettone segretario dall' immortale Pio VI, gli diè straordinario incremento con suo denaro, con la scelta d'uomini dotti, e con scritti suoi assai pregevoli, parte editi e parte inediti; in alcuni dei quali difende a tutto uomo i diritti della S. Sede. A premio delle sue molte e nobili fatiche Pio VI nel 1789 lo creò Cardinale e fu preposto a varie Congregazioni. Ai tempi dei suo cardinalato, che corsero tanto burrascosi alla Chiesa, egli fu il braccio destro, può dirsi, dei due Pii; e nei giorni del Conclave a Venezia fu tutto pensiero e opera per le missioni estere dell' Asia, dell' Africa, dell' America. N' ebbe premio dallo stesso conclave coll'essere annoverato tra i dieci, su cui si volea cadesse l'elezione del papa; e posciachè vi uscì eletto Chiaramonti ebbe la sorte di accompagnarlo a Roma. In mezzo alle altissime cure dello Stato e della Chiesa, non interruppe mai i suoi profondi studii e l'amore alla patria , che cercò d'illustrare con quelli , e lasciarle nome imperituro. Rammentiamo solo di essi l'opera De Cruce Veliterna, Commentarius e il Museo Borgiano- Veliterno, una delle prime raccolte di antichità cofte in Italia, e il più illustre museo in tutta Europa, dice il Sistini. Emporio di medaglie d'ogni nazione, di scarabei, pietre incise, antiche pitture, mappe, codici non solo di lingue europee, ma cinesi, giapponesi, indostani ; passata oggi la prima parte agli studi reali di Napoli; la seconda alla Biblioteca di Propaganda in Roma. Finì la vita in Lione di Francia ai 23 Novembre 1804, mentre accompagnava Pio VII, che portavasi a coronare Napoleone I. Il santo Padre ne fu doloratissimo, e non valse a contener le lacrime ed esclamare, che « nihil Stephani morte tunc gravius accidere potuisset ! Tanto lo stimava egli e tanto lo meritava il Borgia, che lasciava fama immortale di dottrina e pietà nell'Asia e nell'Europa e nell'Africa e nell'America. Gli scritti suoi , le amicizie coi più grandi scrittori del tempo suo non ridiciamo qui noi che sarìa cosa lunga e difficile ; e ne sono del resto pieni gli indici delle primarie Biblioteche del mondo. Si ebbe elogio dopo morte dal Cancellieri, dal veliterno archeologo dottissimo Luigi Cardinali e dal suo pronipote Mons. Borgia Costantino pur veliterno.
 Fratello del Cardinale fu Giampaolo ammogliato alla Nobil Donna Alcmena Baglioni di Perugia. Fu personaggio di molta prudenza di cui fè mostra in patria ne' tempi critici in cui s'avvenne. Cavaliere di giustizia dell' ordine di Malta fu pure generale delle armi pontificie, ed in tal qualifica ebbe l'accortezza di sedare una forte sollevazione dei suoi concittadini contro l'esercito repubblicano francese. Quindi, unitamente ai suoi compatrioti Mons. Geraldo Macioti e Paolo de' Conti Toruzzi, andò ambasciatore della città al Generale Mourat, che calava furioso su di essa, dietro il fatto d'arme avvenuto a Castel Gandolfo tra Veliterni e Francesi. Fu pure depositario dell'annona, e sindaco del nostro Municipio.
 Figli di lui furone i seguenti. Camillo, che da giovanetto passò a Malta ; e quando quell'isola si arrese a Napoleone I; ivi acconciossi agli stipendii militari ; e dopo avervi ottenuto gradi ed avanzamenti onorevolissimi finì con quello di Ajutante Generale e Maresciallo di Campo di S. M. Gioacchino Mourat; e tornossi alla quiete delle lettere. Viaggiò in Africa ed avendovi esaminato accuratamente le rovine di molte città, al suo ritorno in Italia prese ad illustrarle; ma non potè compiere per morte l'utile lavoro. Il manoscritto trovasi all' Aja per essere inserito nella grande opera sull' Africa, che la Corte d'Olanda pensa di pubblicare. Cotesto Borgia fu il primo che ottenesse dal Bey di Tunisi il permesso d'intraprendere scavi sulle rovine di Cartagine; e vi scoprì monumenti, che da lui disegnati ed illustrati amava dare alla luce. La raccolta di questi disegni e illustrazioni fu mandata a Bruxelles ai compilatori di certa Enciclopedia perchè vi fosse inserita ; ma si tennero que' bravi i manoscritti , reclamati indarno fino ad oggi dal figlio dell'autore, Conte Ettore ; e parte ne pubblicarono, attribuendola ad altri. Fu cavaliere della Legione d'onore, dell' Ordine delle due Sicilie, e decorato della medaglia d'onore dal re Mourat. Fu regalato pure dal circondario di Frosinone di una sciabola di onore per gli utili servigii resi a quelle popolazioni. Fu incaricato infine di Danimarca in Roma a Consigliere intimo della Legazione di S. M. Danese.
 Clemente, fratello secondegenito di Camillo, e ammogliato a Donna Luisa, ultima dei nobilissimi veliterni Calderoni , fu maggiore della truppa provinciale pontificia e consigliere municipale. Sostenne tra le molte onorifiche deputazioni quella dell'erezione della nostra città a capo della provincia di Marittima , e divenue consultore di essa, poichè fu eretta.
 Cesare fu commendatore dell'Ordine cavalleresco di Malta e Sottoprefetto in Rieti, durante il governo napoleonico. Dedicatosi agli studii di botanica e pubbli catine alcuni, n'ebbe rinomanza. Fece dono al nostro Municipio di una importante collezione di erbe , e pubblicò infine cose riguardanti il Gabinetto Gioieni di Catania. Giovino fu Canonico della Patriarcale di S. Giovanni in Laterano a Roma, e godette la prelatura di giuspatronato della sua borgiana famiglia.
 Alessandro fu Bali nell'insigne Ordine di Malta, e oltre alla Commenda dell'Ordine ritenne pure l'altra di sua famiglia. Quale officiale militò nell' esercito francese; e quindi alla morte del Candida fu per nomina del Pontefice Gregorio XVI luogotenente provvisorio del suo Ordine ; effettivo alla morte del Conte Colloredo, per rescritto sovrano dello immortale Pio IX, che molto lo amava e stimava.
 Francesco, fratello di lui nato a Velletri il 1794 e morto il 1861 a Milano, ove sposossi alla nobile Signora N ...... Fu cavaliere di Malta dell'Ordine reale del Giglio in Francia, di quello delle due Sicilie. Ufficiale militò nell' esercito francese, si trovò in più battaglie e fece la campagna di Russia. Sostenne onorevolissimi incarichi, e nel 1848 quello di Comandante generale della guardia civica in Milano, sua seconda patria, ove unicamente trovasi trapiantato oggi il ramo Borgia di Velletri ; nella quale omai stà per estinguersi nelle due persone che vi restano avanzate di età e celibi.
 Figli avuti in Milano da Francesco sono Cesare che continuerà il ramo Borgia veliterno spagnolo in Italia, e Alcmena. Il primo che è patrizio veliterno , romano, milanese, è pure Cavaliere e Commendatore di Malta. Nacque in Milano nel 1830, e nel 1863 si è sposato alla nobil donna Clementina Tarantola. Alcmena nata parimenti in Milano nel 1825 si maritò al nobile uomo Paolo Litta Modignani nel 1843.
 Ettore celibe, e Alcmena sorella viventi e nati in Velletri il primo nel 1802, la seconda nel 1804 e maritata ai Conti Cumbo di Sicilia sono figli di Camillo . Ettore oltre all ' essere patrizio veliterno romano, è cavaliere di Malta e riporta in sè ed a penuello i lineamenti del Duca Valentino. Al fuoco spagnolo sa congiungere le maniere e i modi del più compito gentil Signore italiano. Per la sua onestà e maniere cavalleresche, ha goduto sempre gran popolarità in patria, e stima in corte, e questa dopo incarichi e deputazioni importanti, onorevoli, eletto Gonfaloniere, ve lo mantenne per un novennio. Fu amministratore provinciale e membro della Commissione Araldica. Dal Pontefice Gregorio XVI fu creato Commendatore dell'insigne Ordine di S. Gregorio Magno, e poi tenente Colonnello della Civica pontificia nella nostra provincia. Fu pure preside di Marittima nei difficili tempi del 1848 e 49 ; e con assai ripugnanza si piegava a far parte del governo intruso al 1867 e 70. Ve lo astrinsero gli onesti di ogni colore, e la moderazione nel comando, e l'accortezza nel provvedere fè ragione alla scelta fattane dai suoi concittadini .
 Figli di Clemente furono Adriano, guardia nobile pontificia, nella quale ebbe tra le altre deputazioni la nobilissima di portare una beretta cardinalizia in Portogallo; da quel Sovrano ne venne decorato della croce cavalleresca dell' Ordine di Cristo.
 Guardia nobile fi pure Tito, fratello di Adriano, e Costantino altro fratello fu collega nostro di studii nel patrio Seminario, e alunno poi nell ' Accademia de' Nobili Ecclesiastici in Roma, dalla quale usci prelato ; e fatto Cameriere segreto partecipante visse alla corte di Gregorio XVI e di Pio IX. Eletto quindi Ponente della Sacra Consulta, vi fu Vice- Presidente ; e per dottrina ed equità tenne posto molto onorato tra'colleghi . Di lui sono alle stampe le << Notizie biografiche del Cardinale Stefano Borgia » suo degnissimo pro- zio.
 Augusto è successo nella prelatura di famiglia, goduta dal defunto Costantino fratello, ed è abate di S. Sebastiano nella Cattedrale. Ha esercitato la carica di Consigliere al Municipio e quella eziandio di anziano ; e ciò con lode. È scrittore di varie opere sensate e utili ai nostri viticultori ; e sono « Glossologia della vite, Giacitura, clima e natura del suolo nel territorio veliterno, Sulla Vite e sui vini, » Articoli inseriti nel Giornale l'Educatore cattolico veliterno; e nell'altro pure veliterno « Meteorologia della provincia di Roma » redatti ambedue dal Ch. Astronomo Prof. D. Ignazio Galli veliterno, e direttore della specola al nostro municipio. L. C. M. ANGELONI.

Enciclopedia storico-nobiliare italiana 2

著者
Marchese Vittorio Spreti
出版
1929年
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BORGIA

 ARMA: Partito : nel 1° di rosso alla capitozza, nudrita su pianura erbosa al naturale e sormontata da una stella d'oro e trapassata in banda da una spada d'argento guernita d'oro con la punta all'ingiù ; nel 20 troncato di sopra d'oro al bue passante di 10sso sulla pianura di verde ; di sotto d'azzurro a 3 sbarre d'oro.
 MOTTO: Aut Caesar aut nihil. (È il motto usato da Cesare Borgia duca del Valentinois) .
 DIMORA; Milano. La famiglia trae origine da Valenza in Ispagna e si vuole di sangue reale.
 Venuta in Italia si divise in numerosi rami che si stabilirono in Siena, in Firenze, in Sicilia, a Napoli, Perugia, ed in Ciociaria .
 È una delle più celebri famiglie di Europa ed ebbe l'onore di aver generato due papi : Callisto III e Alessandro VI.
 Un Francesco, fu generale della Compagnia di Gesù, molti cardinali, fra i quali Cesare, figlio del pontefice Alessandro VI, e moltissimi vescovi. Pier Luigi fu duca di Spoleto, Prefetto di Roma, e castellano di Castel S. Angelo.
 Pietro fu vicerè in Abruzzo ; Pier Luigi, duca di Candia, in Ispagna e poi di Benevento e di Terracina ; Joffrè fu principe di Tricarico e Gaspare vicerè di Napoli . Il ramo di Sicilia fu generato dai duchi di Candia e vi fu piantato da Leone, segretario e consultore di Federico II.
 Del ramo romano, detto anche di Velletri, capostipite è Riccardo nel 1181 ; Nicola nel 1417; fu uno dei reggenti della sua patria ; Clemente, patrizio romano, fu rettore ; Fabrizio, vescovo di Ferentino ; Alessandro, vescovo di Fermo; Stefano, cardinale nel 1785.
 La famiglia è iscritta nell'Elenco ufficiale con i titoli di nobile romano, mf.; nobile di Velletri, mf.; nobile di Ferentino, mf.; in persona di FRANCESCo e del figlio CESARE.

BORGIA

 ARMA: Troncato nel 1º d'azzurro al bue d'oro, passante, sormontato da una stella di sei raggi fra due aquiloni , il tutto dello stesso ; nel 2º di azzurro, a tre bande d'oro.
 DIMORA: Siracusa . Chiamata da principio de Boyra, godette nobiltà in Siracusa sin dal sec. XIV. Un Guglielmo a 29 maggio 1397 ottenne conferma dei feudi Arbiato e Galermo e a 26 magg. 1403 del feudo di Casale ; baronie, che, all'abolizione della feudalità, erano in possesso di Nunzio Ottaviano Borgia e Rau, per investiture del 10 e 20 giugno 1807, come figlio primogenito di Giuseppe Maria che, con privilegio 20 gennaio- 28 aprile 1798, era stato decorato del titolo di marchese (oggi il titolo di marchese del Casale è in casa Di Lorenzo) .
 Un ramo di questa famiglia ebbe la baronia di Cutulia per il matrimonio di Gaudenzia Di Stefano e Scibilia con un Borgia, e a 26 marzo 1786 ne fu investito GIUSEPPE Borgia e Di Stefano.

BORGIA

 ARMA: Di argento al bue passante di rosso, coronato ed unghiato d'oro.
 DIMORA: Napoli e Roma.
 Notizie di Borgia Borgio, o Burgio si hanno in Italia sin dal sec. XII e segnatamente in Calabria ed in alcune città delle Romagne. Pur tuttavia molti autori ritengono che questa famiglia sia una diramazione della storica famiglia omonima passata in Italia nei sec. XIII e XIV. È rappresentata dal nobile (riconosc. 6 aprile 1895) CARLO, di Andrea, di Emanuele, dal fratello LUIGI, Coi figli e nipoti di quest'ultimo, nonchè da ANDREA, di Emanuele, di Andrea, col fratello EUGENIO.

BORGIA MANDOLINI.

 ARMA: Interzato in palo: al 1° di Mandolini che è di rosso allo scaglione rovesciato, doppio. merlato di argento, con in capo una stella d'oro ; al 2º di Borgia che è di azzurro al fonte di 3 archi, merlato di merli alla ghibellina sull'acqua corrente, il tutto d'argento ; al 3º di Meniconi che è d'azzurro a due bande accompagnate da 2 stelle, il tutto d'oro .
 CIMIERO: 2 serpi di verde linguate di rosso, affrontate.
 DIMORA: Perugia.
 La famiglia è un ramo dei Borgia, nobili romani e di Velletri, stabilitasi in Perugia in tempo lontano con Andreuzzo nel 1333. Aggiunse il cognome Mandolini e Meniconi estintisi nei Borgia. È iscritta nel libro d'oro della nobiltà italiana col titolo di conte palatino, m.; patrizio di Perugia, mf.; in persona di CAMILLO con i fratelli Carolina, Giuseppa, Ifigenia, e GIULIO, e le zie Vittoria e Virginia.

BORGIA VERMIGLIOLI.

 ARMA: Interzato in palo : al 1º di Mandolini che è di rosso allo scaglione rovesciato, doppio merlato di argento con in capo una stella d'oro ; al 20 di Borgia che è di azzurro al fonte di 3 archi, merlato di merli alla ghibellina sull'acqua corrente, il tutto di argento ; al 30 di Meniconi che è d'azzurro a due bande accompagnate da 2 stelle , il tutto d'oro .
 DIMORA: Perugia.
 È la famiglia precedente iscritta nel libro d'oro in persona di PIETRO, col titolo di conte palatino e patrizio perugino ( D. P. 24 giugno 1926) .

Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le provincie dell'Emilia, 3, 2

著者
Felice Ceretti
出版
1878年
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IL CONTE ANTONMARIA PICO DELLA MIRANDOLA
MEMORIE E DOGUMENTI RACCOLTI DAL SAC. FELICE CERETTI

 Tra i figliuoli che il conte Gio. Francesco I Pico ebbe da Giulia di Feltrino Bojardo di Scandiano, uno se ne conta di nome ANTONMARIA. Le vicende di lui, nella più parte ignote, sono oggetto di questa monografia compilata sopra documenti diseppelliti recentemente dagli archivi nei quali, da ben quattro secoli, giaceano obbliati. Nè è già mio intendimento tentare qui un brillante lavoro, ma solo raccogliere notizie e date sicure intorno alla vita singolarmente fortunosa di questo infelicissimo Signore, che pure nel suo secolo godette fama di « capitano illustre. » 1 I. Anzitutto è, a dolere che l'epoca della nascita di Antonmaria non si conosca. Sapendosi però che egli era secondogenito, essa sarebbe avvenuta pochi anni dopo quella di Galeotto 1 Loschi, Compendi Histórici. - Bologna, Vaglierino, 1655, pag. 413. 238 SEZIONE DI MODENA suo maggior fratello che vide la luce nell'agosto dell'anno 1442. La Bojardo, da quella saggia genitrice che era, veggendolo di buon'ora d' indole mite e soave e sempre inchinevole ai di lei yoleri, bramò che sotto de' suoi occhi ricevesse quella educazione che s' addiceva al suo grado ed alla sua nascita. Diè quindi opera perchè il marito nel 1462 chiamasse all' uopo alla corte della Mirandola un Filippo da Reggio che godea fama di valente oratore, e che di quei giorni abitava in Verona. ¹ Ed io sono d'avviso sia quello stesso ricordato dal Tiraboschi nella Biblioteca Modenese, e che sul cadere del secolo XIV, forse in giovane età, avea spiegato Dante ed altri autori all'Università di Piacenza, quando colà era stata trasportata quella di Pavia. 2 Compiuta la prima educazione, il Pico, seguendo le avite tradizioni e l'indole del secolo, si diede al mestiere dell' armi, e, giovane ancora, si recò ( com' egli scrive ) nel 1468 assieme al cugino Niccolò Rangoni, al conte Uguccione zio di quest'ultimo, ed al Signore di Carpi, ad assaltare la rocca di Spilamberto, la quale da ben quindici anni era occupata contro ogni debito et rasone » dal conte Ugo Rangoni. Antonmaria in quella impresa si diportò da valoroso, e quel castello nel 13 settembre cadde in potere degli assedianti, 3 essendone cacciati il nominato Ugo ed il conte Venceslao pur de' Rangoni che vi stavano alla difesa. Della qual cosa mostrò dispiacere il Duca di Ferrara Borso d'Este il quale non si tenne di scriverne perciò al Pico. Ma questi gli dichiarava essere stato costretto in un col cugino Niccolò ad occupare per forza quella terra e quella rocca, perchè il conte Ugo aveva rifiutato rimettersi al giudizio del Consiglio ducale ed avea tolta colla violenza anche la parte del conte Niccolò. E siccome il Duca volea che detta rocca fosse consegnata nelle Lettera della Bojardo al marchese di Mantova 1 ° febbrajo 1462. Documento N. I. Dei documenti dell'Archivio Gonzaga di Mantova, sono tenuto alla squisita cortesia del reverendissimo sig. prof. Willelmo Braghirolli canonico di quella Cattedrale. 2 T. IV, pag. 33. 3 Lettera di Antonmaria al marchese Lodovico di Mantova, 16 settem- bre 1468. Documento N. II. ANTONMARIA PICO 239 1 mani del marchese Ercole d'Este, Antonmaria gli facea osservare essere deciso a non farlo se non quando fossero vedute ed intese le ragioni del cugino, dichiarando che intanto l'avrebbe tenuta a nome del Duca. Se non che Ercole recatosi colà, troncava ogni vertenza, scacciandone il conte Niccolò e facendo processare lui e gli altri suoi. Il Pico fece quindi ritorno alla patria, e poc' oltre un mese essendo stato esortato da Borso anzidetto a non dare aiuto ad un magnifico Manfredo contro l'esercito del Duca di Milano giunto a Brescello, promise egli di non muoversi sì per mostrar di obbedire, e si ancora per conoscersi troppo debole per opporsi a tanta forza. Lo assicurava pure essere persuaso avrebbe fatto lo stesso suo fratello Galeotto al quale avea mandata la lettera di lui . L'anno appresso Antonmaria andava al soldo dei Veneziani, e, conforme raccolse il patrio annalista, prese parte alle guerre di quell'epoca. Dovette quindi far parte della sfortunata spedizione decretata ( 1469–70 ) dal Senato Veneto sotto gli ordini del generale Niccolò Canale a sostegno dell'isola di Negroponte; ma non troviamo che di que' giorni avvenisse alcun fatto d'armi nella Dalmazia, siccome afferma l'annalista medesimo, e come io stesso dimostrai all'appoggio delle Storie Venete, prendendo ad esame le parole di lui. * > Intanto fino dal 9 novembre 1467 Antonmaria ed i fratelli Galeotto e Giovanni 'erano succeduti' al padre nel dominio della Mirandola, e Federigo imperatore nel febbraio del 1469 loro accordava l'investitura di tale dominio. Nel 6 del successivo agosto i tre fratelli erano venuti ad amichevole divisione dei beni ; 5 ma siccome restavano pendenti ancora talune vertenze, la loro geLettera di Antonmaria al Duca Borso d'Este del 17 settembre 1468. Documento N. III. Di questo e degli altri documenti dell'Archivio di Stato di Modena mi è stato cortese il ch. sig. cav. C. Foucard al quale rendo le maggiori grazie che posso. 2 Arch. Estense, presso Tiraboschi, Dizionario Topografico, t. II, p. 361 . 3 Lettera di Antonmaria al Duca Borso d' Este del 1 ° novembre 1468. Documento N. IV. — Mi è ignoto chi fosse questo Manfredo che Antonmaria chiama suo congiunto. ¹´Annali Mirandolesi del p. Papotti, t . I, Prefazione, pag. XV. 5 Tiraboschi, Memorie Modenesi, t . IV, p. 193-4. 240 SEZIONE DI MODENA nitrice interessava il Duca di Modena perchè avesse voluto mandare un suo inviato a ' togliere di mezzo fe differenze in discorso, andando certa che Antonmaria ne sarebbe contento, avendolo sempre « ritrovato prompto et obediente alle sue voglie in qualunque cosa. » Questi, e se ne ignora il motivo, fino da quest' epoca avea disposto delle cose sue ; e la madre di lui, nella seconda metà del 1470 avea spedito tale testamentó al marchese di Mantova a patto non fosse poi consegnato che ad essalei. Nè si conosce ancora perchè la Bojardo nel 17 novembre dell' anno indicato richiamasse il testamento medesimo perchè « proficuo et utile ( al figliuolo ) et a la salute sua. » Ed affine di riaverlo ella spediva a Mantova un Cristofano da Pesaro frate Agostiniano << homo morigeratissimo ed a lei confidentissimo. » Sembra però che le sue richieste non sortissero effetto ; perocchè con successiva lettera del 28 la Bojardo instava di bel nuovo perchè il testamento fosse consegnato al frate, e ripeteva tale istanza nel 6 dicembre, assicurando il marchese << di nessun inganno, » e che ciò era per il solo bene ed interesse del figlio. E l'affare dovea premere assai se nel 15 le era mestieri rivolgersi al Duca Borso d' Este perchè avesse voluto indurre il marchese a farne la restituzione, dacchè le disposizioni del figliuolo doveano essere a lei date « cum omni honestate et debito. 3 Per tal via andavano le cose, quando Galeotto avido di governare da solo ricorrea a tutte le arti affine di escludere dal dominio il fratello Antonmaria, contro del quale nudriva fin d'allora forti rancori, e che, siccome vedremo, si spensero solamente colla morte di lui . Uomo d'indole fiera ed assai cattivo, prese a pretesto un delitto di lesa maestà ordito da Antonmaria contro la sua persona, e nel 10 aprile del 1470 lo fece gettare carico di catene e di ceppi nel fondo di una torre, cirLettera della Bojardo al marchese di Mantova 8 marzo 1470. Documento N. V.- 2 Lettera della Bojardo al marchese di Mantova 17 novembre 1470. Documento N. VI. 3 Lettere nell' archivio Gonzaga di Mantova. ANTONMARIA PICO 241 4 2 3 .... condandola d'un secondo muro per impedirne la fuga. Ordinò quindi la cattura del suo cancelliere e la reclusione della virtuosa sua genitrice. Comunicava poscia a tutti i principi d'Italia le deposizioni di un testimonio al quale si pretendeva che Antonmaria avesse comunicato il reo progetto. Astuto poi, qual egli era, ad assicurarsi per qualunque evento il favore dei vicini Estensi, nell'11 ottobre 1471 , come ha il Tiraboschi, o nel 18, come si legge nella cronaca del Bratti, assieme al fratello Giovanni strinsero alleanza ed aderenza col Duca Ercole, senza far cenno alcuno d' Antonmaria. 5 Questi, dopo due anni di prigionia, nel 1472 era tratto dal carcere; e Galeotto nel 18 aprile così lo significava a Lodovico II marchese di Mantova. << M'è << apparso grande debito per mio messo a posta intimarli, et noti- << ficarli che, mediante la divina inspiratione, io ho posto in suo' << pristino stato, cussi de la libertade, como de la dignitate, roba << et honori, el cordialissimo mio fratello Antonio Maria perchè << rotti et speciati tutti li lazi diabolici, per li quali eramo presi << et venuti in discordia, et io l'haveva mettuto in destrecto ; << siamo cum incredibile concordio, unione de caritade, a modi <« et dilectione rientegrati et fortificati in lo primo et da mo <« in anti indissolubile vinculo de fraternale amore, e posso dire << cum vero, che lo acto de relaxarlo non è lo magior signo « de la nostra intima diletione, ma ce ne sono et interveneno << molti altri per li quali la Ex.tia V. intendendoli, iudicaria in nui << esser renati li cuori, et havere dal omnipotente Dio ricevuto <« el Spirito Sancto, el quale ne ha colligati in una inenarrabile << unione de mente, voluntade, pensieri et dispositioni, e se pos- << siamo dire essere due persone in uno core, e questo ho vo- - 1 Antica Cronaca Ferrarese edita dal Muratori , Scrip. Rer. Ital. , tomo XXIV, col. 213, presso Tiraboschi, Mem. Mod., t. IV, p. 194. Anonimo , Storia dei Pico nel vol. II delle Mem. Mirandolesi, p. 43. Questi erra dicendo che tali fatti avvennero nel 1473. Litta, Tavole genealogiche della famiglia Pico. 2 Litta, 1. c. - 3 Memorie Modenesi, t. IV, p. 194. 4 Memorie Mirandolesi, vol. I, p. 99. 5 Tiraboschi, 1. c. 1 16 242 SEZIONE DI MODENA > <« luto scrivere alla V. Ex.tia perchè scio se ne riceverà con- << solatione, perchè siamo pur suoi ...... » ¹ Proteste si belle ed auguri così felici velati dalla più fina ipocrisia, dovettero ancora essere di breve durata, trovandosi sempre Antonmaria lontano dall ' avito dominio. Di lui infatti non vediamo parola nella lettera di Ercole I dell'11 maggio 1472, colla quale ordinava non fossero innovate le capitolazioni stabilite nel 20 agosto dell' anno precedente fra il Duca medesimo ed i suoi fratelli Galeotto e Giovanni Pico . 2 Sappiamo da quest'ultimo che nel 1478 Antonmaria si era querelato presso Ercole circa il fatto de la provisione ecc. » Ed infine neppur si vede prender parte all'atto col quale Galeotto e Giovanni nel 25 ottobre 1480 entravano nella lega formata tra il re di Napoli ed altri principi d'Italia. ' 3 Frattanto Antonmaria, a procacciarsi un valido appoggio che valesse a sostenerlo contro le insidie di Galeotto, nel 14 marzo del 1473 con grandissima pompa avea condotta in moglie in Bologna Costanza figliuola di Santi Bentivoglio già Signore di quella città e di Ginevra d'Alessandro Sforza signore di Pesaro e fratello del Duca di Milano.5 E a Bologna si recava pure nel maggio successivo per visitarvi il cardinale , Gonzaga portatosi Archivio Gonzaga di Mantova. 2 Bratti, 1. c. , p. 99, 103. 3 Lettera di Giovanni dell ' 8 del 1478. Documento N. VII. tenuto alla gentilezza del signor cav. Antonio Cappelli.. 4 Tiraboschi, Mem. Mod. , t., IV, p. 195. < - - - Ne sono - 5 Ghirardacci, Storia di Bologna, vol. II , lib . XXVI, p. 607. Ginevra era figlia non legittima d'Alessandro Sforza fondatore della casa de' signori di Pesaro. Fu donna a suo tempo non meno ammirata, famosa come moglie << di Sante prima, poi di Giovanni Bentivoglio signori di Bologna. »` Gregorovius - Lucrezia Borgia ediz. di Firenze, 1874, cap. X, p. 75. · II • Litta (Famiglia Bentivoglio di Bologna ) la dice naturale di Galeazzo Sforza, e la dipinge donna impetuosa, ingorda di signoreggiare, non permise mai al marito la clemenza, e fu cagione principale della strage de' Malvezzi e « de' Marescotti. » Spogliati i Bentivoglio della signoria di Bologna da Giulio II, Ginevra si ritirava presso i Pallavicino a Busseto, e vi moriva scomunicata nel 16 maggio 1507. - Anche il Muzzi, Compendio della Storia - di Bologna, ivi 1877, p. 222 dice Ginevra nata da Alessandro Sforza. ANTONMARIA PICO 243 2 colà.¹ Disponevasi quindi ad accompagnare a Mantova con una comitiva di 30 cavalli il fratel suo Giovanni all'occasione che dovea vestirvi l'abito di Protonotario; ma ciò non avendo avuto luogo, lasciata la sposa a Bologna, seguitava ne' suoi viaggi il cardi- ' nale medesimo. 3 In questo mentre Antonmaria si era posto in istretta relazione con gli Estensi. Troviamo perciò che nel giugno dell'anno indicato faceva parte con,' altri grandi personaggi della sfarzosa compagnia spedita a Napoli dal Duca Ercole affine di levare di là la moglie Eleonora, primogenita del re Ferdinando I di Aragona, e condurla alla reggia Estense. Ancora nel 19 gennaio del 1476, assieme alla cognata Bianca Maria d'Este e ad altri Signori, accompagnava con gran corteggio Eleonora medesima a Venezia, ove fù poi, dice il Muratori, << sommamente onorata da quella generosa repubblica. 5 Ed infine nel 4 luglio del 1477 scrivea al Duca Ercole I non essere riuscito a persuadere il conte Niccolò a fare quanto egli desiderava, avendo risposto di essere determinato a non lasciarsi convincere. " Ad onta però di cotali onorificenze Antonmaria sempre male si rassegnava a restar privo d'ogni dominio. Laonde, affine di non restare oppresso dal fratello e da' suoi collegati, avvisò ottima cosa recarsi a Roma, ed aver ricorso al pontefice Sisto IV. Quivi si trovava allorquando nel 1481 passò per colà il testimonio che lo avea accusato di aver tramato alla vita del fratello. Sisto fece processare il testimonio, e risultò che Lettera della Bojardo alla marchesana di Mantova Barbara di Brandeburgo delli 22 maggio 1473. 2 Lettera della Bojardo alla suddetta del 24 maggio suddetto . Documento N. VIII. - - 3 Lettera della Bojardo alla suddetta delli 28 detto. Documento N.. IX. ▲ Ghirardacci, 1. c. , lib. XXI, p . 507. Muratori, Antichità Estensi, parte II, cap. X, p. 232. Frizzi, Mem . Storiche di Ferrara, vol. IV, p. 83. 5 Bratti, 1. c, p. 106. Ant. Estensi, parte II, cap. X, p. 235. Nell'ultimo di agosto del 1476 Antonmaria manda al marchese Lodovico di Mantova un suddito che sa fare la carne polverizzata alla turchesca e gliene manda un poco per fargliela assaggiare (Archivio di Mantova) . 6 Archivio di Modena. - 244 SEZIONE DI MODENA dichiarava falso tutto ciò che avea deposto alla Mirandola contro Antonmaria. Il pontefice volle che il processo fosse pubblicamente letto dal Campidoglio. Un'immensa popolazione accorse ad udirlo, poi fece dare il marchio al testimonio e mozzargli il naso e le orecchie, risparmiandogli la lingua affinchè dovesse stare in ogni tempo al paragone ove mai si facesse ad asserire che per violenza avea confessato a Roma il contrario di quanto avea detto alla Mirandola.¹ Sul qual proposito è notevole conoscere che Antonmaria nel 29 giugno di quell' anno scrivea da Roma al Duca Ercole I d'Este essere informato che egli avea scritto al Papa ed al conte Girolamo Riario nipote di lui, scusando Galeotto di essere stato non divulgatore, ma semplice relatore della calunnia che egli avesse tentato di farlo uccidere. Non avea bisogno di difendersi provandolo innocente il processo compilato in Roma. Gli soggiungea infine che detto Galeotto avea dichiarato di tener occupate le possessioni del fratello per un credito di 1500 ducati, parte suo e parte del fratello Giovanni per l'eredità della madre. 2 Intanto Sisto nel dicembre del 1482, abbandonati i Veneziani e riconciliatosi colla lega, stabiliva, fra l'altre cose, di prestar difesa ed aiuto ad Antonmaria perchè potesse ricuperare ciò che gli era stato ingiustamente tolto dal fratello. 3 Ed a rendersi sempre più grato il Pontefice, il Pico entrava tra i capitani dell' esercito della lega, e nel 1483 era da lui spedito col Duca di Calabria, col conte di Pitigliano, con Virginio Orsini e con altri Signori a soccorso del Duca di Ferrara insidiato dai Veneziani. E dal campo della lega nel 25 agosto 3 4 1 Litta, l. c. 2 Archivio di Modena. Documento N. X. 3 Cronaca del Lendenara, presso Tiraboschi, 1. c. , p. 195. - - - 4 Sardi, Storia di Ferrara, ediz. del 1646 lib . VI , p. 186. V. pure Muratori, Ant. Estensi, parte II, cap. X, p. 25. Frizzi, Storia di Ferrara, tomo IV, p. 128. - Il ch. mio amico cav. A. Bertolotti mi avvisa che nell'Archivio di Stato Romano trovansi in quest' auno de' mandati a favore d'Antonmaria capitano a servizio della Santa Sede. Una sua lettera al marchese di Mantova del 25 maggio 1483 è scritta Ex castris ligae, In alcune lettere antecedenti lo avea avvisato di essere arrivato da Roma. - ANTONMARIA PICO 245 scriveva ad Ercole I che, stante la malattia piuttosto grave del di lui ambasciatore al campo medesimo, si offriva per tutto ciò che potesse abbisognare a casa d' Este durante quella malattia. Se il Duca accettasse la profferta di lui, non si conosce. Si sa bensì che Antonmaria nel 27 successivo gli scriveva che essendosi trovato presente all'ultimo consiglio di guerra tenuto, avea inteso come il conte Girolamo Riario avendo offerto a S. A. dodici squadre, queste erano state rifiutate dichiarando di non avere necessità che di vettovaglie, mentre l'importante era di prendere certo bastione, per cui non si sapeva spiegare il rifiuto. Gli soggiungea chè certo Sirio proponeva di prendere detto bastione in otto giorni, ed in una poscritta lo esortava a procedere avanti, e, non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia.² Ed in fine nel 17 settembre, trovandosi il campo della lega contro Villafranca, gli manifestava il desiderio di ricevere la nuova che fossero giunte felicemente le genti destinate in aiuto di lui. Egli pensava che fra tre giorni dovesse essere presa la terra anzidetta di Villafranca. 3 4 Siccome però il conte Galeotto era al soldo dei Veneziani, così le truppe della lega nel 23 ottobre di quell' anno fecero scorreria sul territorio della Mirandola, e lo misero a sacco ed a ruba. Ed oltre a ciò volendo il pontefice mostrare riconoscenza ad Antonmaria e punire, al tempo stesso Galeotto, ordinò . che nel novembre ventisette squadre di cavalleggieri sotto il comando del duca di Calabria movessero contro Galeotto e cingessero d'assedio la Concordia, Quivi , fino dal 9 del mese anzidetto, era comparso Antonmaria e chiamato con gran secretezza a di lui soccorso Francesco da Sesso, nel 10, levata a rumore la terra, stava attendendo le genti della lega. Esse comparvero diffatti, e nel giorno 11 , come ha la cronaca del Lancillotto, o nel successivo, conforme riferisce quella del Bratti, intrapresero l'assedio del castello che nel breve spazio d'una 1 Lettera del 25 agosto 1483. Archivio di Modena. 2 Archivio di Modena. Documento N. XI. 3 Lettera del 17 settembre. Archivio di Modena. 4. Cronaca Modenese di Jacopino Lancillotti, t. I , pag. 93. 246 SEZIONE DI MODENA giornata cadde nelle loro mani. Nel frattempo il duca di Ferrára ed il Marchese Sigismondo d' Este, cognati a Galeotto, si frapponeano ai contendenti, e nel giorno 13 riuscivano a riunire in pace i fratelli, restando a Galeotto la Mirandola e ad Antonmaria la Concordia, siccome appare dalle convenzioni fra di loro stabilite nel giorno medesimo, e che si leggono per disteso nella cronaca del Bratti . ? Cotali pátti però, conforme l'uso di que' tempi, furono di assai corta durata, e non tardarono molti giorni a sorgere novelle discordìe tra i fratelli. Si sa di fatto che nel 20 novembre le genti del Sesso, a compenso forse del soccorso prestato ad Antonmaria, fecero una scorreria sul territorio della, Mirandola, lo misero a sacco, e ne rubarono le robe ed i bestiami. ³ E troviamo pure che nel 10 del successivo dicembre fu fatto tra i due fratelli di comune accordo un COMPROMESSO pro sedandis et terminandis eorum differentiis. 4 Le quali differenze anzichè appianarsi dovettero farsi sempre più gravi, se nel Congresso tenutosi in Cremona nel 21 gennaio 1484 dai potentati della lega fu letto un breve di Sisto col quale invitava i collegati a trovar modo di rimettere di bel nuovo Antonmaria nelle sue ragioni, conforme era fatta menzione nei capitoli della pace e della lega. Essi tennero conto delle richieste del Pontefice ; ma siccome, dice il Muratori, non si appagarono che di « dicerie e proteste, » stabilirono fossero tentate le vie amichevoli : ove però queste non sortissero effetto, adunandosi di bel nuovo le forze della lega, si dovesse all' uopo ricorrere alle armi. 5 Tali pratiche per altro rimasero affatto ste- -- > ¹ Lettera di Antonmaria a Francesco da Sesso, 9 novembre 1483. Arch . di Mautova. Jacopino. Lancillotti , 1. c. , pag. 93. Bratti, 1. c., pag. 108 . Tiraboschi, 1. c. , pag. - Sardi, 1. c. , pag. 188. -- - 195. 2 Pag. 109 e seg... Lettera di Antonmaria al marchese di Mantova 13 novembre 1483 colla quale accompagna i capitoli dell' accordo. Arch. di Mantova, Rub. E. XXXVIII, N. 5. Scritture diverse. V. la sicurtà fatta dal duca di Ferrara che Galeotto avrebbe osservato le convenzioni suddette nel documento N. XVI.: Jacopino Lancillotti, 1. c - 3 Lettera di Galeotto al march. di Mantova 20 nov. 1483. Arch. di . Mantova. 4 Archivio di Mantova. Rub. E. XXXVIII, N. 5. 5 Corio, Storia di Milano, parte VI. parte II, cap. X, pag. 249. V. pure Muratori, Ant Estensi, } ANTONMARIA PICO 247 2 • 1 rili, e Sisto si vide costretto continuare gli anatemi fulminati già contro Galeotto nel giugno del 1483 in punizione delle avanie da lui commesse contro Antonmaria ; anatemi confermati poi da Innocenzo. VIII e da Alessandro VI succeduti a quel pontefice. Con tutto questo però Galeotto non si tenne dal mantener ferma l'esclusione del fratello, e nel 12 agosto 1484, mediatori i Veneziani ed il duca di Milano, ottenne sentenza da Roberto Sanseverino, mediante la quale, mantenuti ad Antonmaria tutti i beni allodiali che di ragione gli pervenivano, dovea rilasciargli il castello della Concordia, ed ove ricusasse farlo, si potesse anche costringere colla forza., Antonmaria però mai volle sottomettersi a tale decisione, e forte dell' appoggio del Pontefice, ad onta di continui contrasti, continuò a tenere il dominio di , quella terra ben guardata da' fanti e munita già d'artiglieria a lui prestata dal marchese di Mantova. 3 Anzi, riconoscendo che la decisione anzidetta non era conforme alla consueta condotta di quella repubblica, stata sempre specchio di giustizia, l'anno appresso și portava egli stesso a Venezia per dichiarare a quella Signoria, che, salvo il consenso della Santa Sede sotto la cui protezione egli vivea, era pronto rimettere ogni cosa al giudizio del di lei capitano affine di devenire ad un equo componimento ; e pregava di più il duca di Ferrara volerlo all' uopo raccomandare alla Signoria medesima. " Cosi il nostro Pico maneggiava le sue cose in Roma, avendo intanto lasciato a castellano della Concordia Sergio Sifola da Trani marito a Giulia figliuola sua naturale. Galeotto pensò Jacopino Lancillotti, 1. c. , pag. 84-5. 2 Bratti, l . c. , pag. 113. - Tiraboschi, 1. c. , pag. 196. 3 Lettera di Costanza Bentivoglio al Marchese di Mantova 15 ottobre 1484. Archivio di Mantova. Documento N. XII: Lettera di Strigio (sic) Siffola al marchese suddetto delli 28 febbrajo 1500. Documento N. XIII e di Lodovico I Pico 14 agosto 1502. Documento N. XIV. - 4 Lettera al duca Ercole I d' Este del 12 aprile 1485. Archivio di Modena. Documento N. XV. Nel 14 marzo 1486 Antonmaria scrivea da Firenzuola al duca suddetto che era pronto a far tutto il possibile per recapitare le lettere da lui ricevute, E nell' 11 aprile gli significava da Roma, aver dovuto ritardare 2 o 3 giorni, causa le grandi pioggie, a mandar messo per recapitar a Napoli le lettere ricevute. 248 SEZIONE DI MODENA quindi essere questa occasione piucchè propizia per togliere colla forza la Concordia dalle mani del fratello. Nella notte : pertanto del 28 gennaio 1488 ad ore sette, seguito da un pugno d'armati, s'avviò verso quel castello appressandosi secretamente alle fosse, ed entrato in esse sopra burchielli appoggiò le scale alle mura, pensando trovare l'inimico sprovvisto, ed entrare così senza contrasto. Se non che Sergio, avvertito per spie di cotali macchinamenti, avea messo in ordinė i suoi Concordiesi, ed avventatę grosse travi contro gli aggressori, sprofondarono le loro zattere ricacciandoli a colpi di picche, di sassi, e di giavelotti, annegandosi molte persone, e costringendo Galeotto stesso a far ritorno alla Mirandola col resto dei suoi, avendo perduto in tale tentativo venticinque uomini. ¹ Cotal infelice successo non valse a calmare Galeotto, e ad onta che Antonmaria, riportandosi alla sicurtà fatta dal duca di Ferrara nel 2 dicembre del 1483 ( cioè che Galeotto avrebbe osservato i capitoli fatti tra di loro nel 13 dell'antecedente novembre), si mostrasse disposto mettere in non cale i torti ricevuti, e riconciliarsi sinceramente con lui ; 2 e ad onta pure che si dichiarasse pronto, non potendolo di persona per essere malaticcio, mandare al duca medesimo qualcuno ben istruito a dire le sue ragioni ; pur tuttavia continuarono accanite piucchè mai le discordie fra i contendenti fratelli. 3 Intanto Antonmaria nel settembre del 1489 era tornato alla Concordia, e scelto a parlamentario un Gio. Pietro da Mantova abate di Cesena, tentò venire ad amichevole accordo col fratello. Se non che, presto avvedutosi dei tranelli di Galeotto e della sua intenzione di mandarlo di bel nuovo « a sparavere, » ruppe ogni trattativa, e porse quindi lamenti al Gonzaga perchè Galeotto avea fatta una grande spianata sul fiume Secchia per potere liberamente passare dà una parte e dall'altra del suo territorio. ↑ Ri1 Anonimo, Storia dei Pico, pag. 47. 2 Lettera ad Ercole I duca di Ferrara Modena. Documento N. XVI. - 4 Jacopino Lancillotti , 1. c. , p. 94. del 21 giugno 1488 : Archivio di 3 Lettera al duca suddetto del 28 agosto 1488. Documento N. XVII . 4 Lettere al marchese di Mantova scritte dalla Concordia nel 5 settembre e 3 ottobre 1489. Galeotto , per ischerno, volea mandare il fratello - ANTONMARIA PICO 249 tornato poscia a Roma, e fidando sempre nel Gonzaga, gli facea conoscere che il Papa da lui pregato a prestargli appoggio, non avea creduto indirizzargli un breve, perchè ben sapea quanto avesse a cuore le cose di lui . E lamentando sempre nuove e continue ostilità di Galeotto verso de' suoi Concordiesi, soggiungea l'anno appresso al Gonzaga, che non era a far caso del contegno di lui, perchè quando avesse operato diversamente da quello che faceva, sarebbe uscito « di quello che è sua natura, » e avrebbe mostrato esser ben diverso da quello « che è stato quaranta otto anni. » Nel luglio dell' anno suddetto 1490 Antonmaria essendo di passaggio per Firenze per restituirsi in patria, si recava a visitare , il fratel suo Giovanni. Ed è curioso sapere che interrogato da questi cosa facesse il celebre patriarca d'Aquilea, Ermolao Barbaro, n' ebbe a risposta « te amat, << te laudat, in coelum fert, apud me, apud alios, apud ipsum pon- << tificem, atque hoc ita assidue, ita valide agit, quasi nihil << habeat praeterea quod agat . » Arrivato quindi alla Concordia nel 10 agosto scriveva al duca di Ferrara non potersi perdere a spiegargli lo stato delle questioni che aveva col fratello, essendo persuaso che dovesse esserne. informato da Gio3 1 a sparaviere. In realtà però Antonmaria era amante delle caccie ed in una lettera da lui scritta da Cesena nel 14 ottobre 1480 al conte Francesco Ariosti siniscalco ' del duca di Ferrara, ed esistente in quella biblioteca, lo prega mandargli un buon astorre per andare alcuna volta a caccia di anitre, fagiani e pernici. Documento N. XVIII. Con lettera del 15 settembre 1489 scritta dalla Concordia, spediva ad Eleonora d'Aragona duchessa di Ferrara una supplica intorno alla quale avea parlato con lei in Reggio. Archivio di Modena. - - Lettera 12 dicembre 1489. Archivio di Mantova. Docum. N. XIX. - Nel 23 dicembre il Pico scrivea da Roma al duca di Ferrara raccomandandogli un Nicolò Ferrari prigione per danni dati nel bosco di Saliceta. Arch. di Modena. Nel 16 detto avea già scritto da Roma a Nicolò Bendidei segretario ducale rallegrandosi con lui per aver inteso come il duca lo avea chiamato presso la sua persona nel posto occupato prima da Paolo Antonio Trotti. Vedendolo in tanto favore presso S. A. raccomandavagli le sue cose . Sperava di essere fra i Deputati scelti a portarsi in soccorso della patria. Archivio › di Modena. 2 Lettera 15 maggio 1490. Archivio di Mantova. Documento N. XX. 3 Ioannis Pici Epistolae. Edizione di Ferrara del 1529, pag. 16. 250 SEZIONE DI MODENA vanni Commissario Apostolico. Lo pregava volerlo assicurareche i suoi sudditi non sarebbero stati molestati nel territorio ferrarese, altrimenti non avrebbe saputo come fare a difendere i pascoli e le valli che tenea sul territorio medesimo in confine del mantovano. *

  1 Lettera del 10 agosto 1490. Arch. di Modena.

E nel 19 si lagnava perchè nelle discordie che avea col fratello, egli favoriva , quest' ultimo, e perchè non aveva voluto assicurare i suoi sudditi che intendeva mandare á difendere i pascoli che teneva sul ferrarese dagli assalti di quei della Mirandola, Gli soggiungea infine che le possessioni che avea nel modenese e' nel mirandolese érano di già occupate per conto di Galeotto.2

  2 Lettera del 19 agosto 1490. Arch. di Modena.

 Intanto egli è certo che Antonmaria continuava tuttora sotto la protezione del Pontefice, e troviamo di fatto che nel 26 agosto del 1492 alla coronazione di Alessandro VI seguita in Roma, egli portava , lo stendardo pontificio . *

  3 Corio, Storia di Milano, parte VI.

E pare che grayi cose non sorgessero a turbarlo di questi anni, dacchè gli archivii nulla ci dicono su ciò. Anzi Giovanni, fratel suo, ci accerta, che avendo.li astrologi ( allora tanto in voga ) vaticinato a lui in questi tempi mali, molestie, pericoli, ed un cumulo di mille altri infortunj, egli al contrário « nullam... coelorum expertus injuriam, vixit sospite familia, re salva, valitudine integra, nulla vel infortunii vel periculorum quassatione jactatus. » *

  4 In Astrologiam, lib. II, cap. IX. Opera Omnia, edizione di Basilea del 1557, pag . 448.

Egli è certo ancora che di quest' epoca era in pieno accordo con Giovanni anzidetto, e troviamo di fatto che questi nel suo testamento del 1 ° settembre 1493 lo lasciava erede dei suoi beni mobili e semoventi, non che del danaro in contante, e, sotto certe condizioni, gli lasciava pur anche la sua libreria.*

  5 Testamento di Giovanni Pico edito dal Calori - Cesis, Monografia di Giovanni suddetto, 2ª edizione, Bologna 1872, pag. 52,

Antonmaria la vendeva poscia al cardinale Domenico Grimani, e, donata da questi al convento di s . Antonio di Castello a Ve nezia, rimase in preda di un incendio.¹ Con Galeotto non fu possibile si amicasse giammai : vi fu qualche momento di tregua, ma sorsero sempre di Del nuovo risse, guerre e discordie. Delle quali contese istruito l'imperatore Massimiliano, benchè dapprima avesse dato alcune investiture comuni ai fratelli, piegatosi infine a favore di Galeotto, nel 28 aprile 1494 diede a lui solo nuova investitura, ordinando che dopo la sua morte, solo Gio. Francesco di lui primogenito gli fosse succeduto in tutto il dominio. Ciò nullostante le contese continuarono ancora tra i due fratelli, e quindi l'imperatore medesimo nel 9 dicembre del 1496 dichiarava Antonmaria reo di fellonia, condannollo alla multa di quattro mila ducati, e rinnovò l'investitura al conte Galeotto. Sebbene però fino dal 1488 i medici avessero consigliato il nostro Pico ad andare ai bagni, non essendo più al caso di cavalcare, 3 pure troviamo che nel 1496 egli si era portato allo sti- · 2 1 Joannis Francisci Pici,, de Providentia Dei contra philosophastros, Novi 1508, nella Dedicatoria . Annales de l'imprimerie des Alde, Paris , Renouard, 1834, pag. 29, 32. - Cicogna, Iscrizioni Veneziane, vol. I, pag. 188-91. 2 Tiraboschi, 1 c , pag. 196. Un ms. anonimo sincrono presso il signor . marchese Giuseppe Campori di Modena così parla di queste discordie tra Galeotto ed Antonmaria. « Morto, egli dice , Gio. Francesco I Pico , essendosi <« il signor Giovanni dato alli studij et vita riposata et contemplativa, co- < minciorono il signor Galeotto ed il signor Antonio Maria ( gl'altri due << fratelli ) ad havere insieme guerre et liti per causa di questo dominio (della « Mirandola et ne nacquero molte sententie ' sì contro l'uno come contra << l'altro ; ma finalmente havendo .eglino compromesso nel Conte Galeazzo << da Canossa et in un frà Pietro da Parma dell' ordine di Santo Francesco « d'osservanza, et per questa causa essendosi longamente litigato, in Roma, « fu per il signor Galeotto supplicato all' imperatore Maximiliano il quale, < sotto certa sua forma, commesse la causa all' Ecc.mo Lodovico Sforza duca « di Milano, al vescovo di Reggio, al conte Matteo Maria Boiardo et al << conte Francesco Maria Rangone i quali giudicorno contro il conte Antonio << Maria, et fu questa sententia aprovata da detto imperatore et privato detto << conte et investito il signor Galeotto et il suo figliolo primogenito. Benchè poi egli appellasse, et mostrasse di nullità, et in qualche privilegio et << investitura di Maximiliano consti che mente di Sua Maestà era non pre- < giudicare alle ragioni di detto conte.... » V. il Documento N. XVI. 3 Lettera del 28 agosto al Duca Ercole I, nel Documento riportato al N. XVII. 3 252 SEZIONE DI MODENA pendio dei Pisani contro de' Fiorentini ; 1 poscia si ritirava in Roma e vi dimorava, provando dispiacenze per certa querela porta contro li suoi concordiesi per la rottura del fiume Secchia, e taluna volta ancora in strette condizioni economiche, sin oltre la prima metà dell'anno 1499. 2 4 In questo frattempo era avvenuta la morte di Galeotto ( 9 aprile 1499 ), laonde Antonmaria risolvette far ritorno al suo castello della Concordia. Quivi era già arrivato nel 1° agosto dell'anno indicato, quando intese che il nipote Gio. Francesco, presa la cittadella della Mirandola, ne negava l'ingresso al fratello Lodovico. Sollecito di prevenire le conseguenze che perciò poteano derivarne, scrivea al marchese di Mantova pregandolo a volergli mandare incontanente venticinque de' suoi balestrieri a cavallo. Ma Gio. Francesco continuando nelle soperchierie, e tenendo ancora prigione la madre, ed il fratello lontano dalla Mirandola, Antonmaria credette debito suo frapporsi fra i contendenti, e pochi giorni appresso, recatosi alla Mirandola, riuscì ad amicare tra loro i nipoti. 5 Anzi, se dobbiam credere ad un anonimo, i nipoti anzidetti riconoscendo che egli ingiustamente era stato tante volte, ad opera di Galeotto, fatto privare dall' imperatore de' proprii beni, convennero, non ostante le di lui sentenze e dichiarazioni, di pagargli certa somma di danari per i danni sofferti, assicurandoci inoltre che « per molti << mesi in suo nome furono nella Mirandola fatte le gride, et fu- << rono fatte confiscationi, et uscirono definitioni sopra le discor- << die de' sudditi et altri atti de giurisditione et d' imperio... » Ritornato poscia alla Concordia, sulla metà d'agosto si re

  1 Litta, 1. c.

  2 Lettera alla marchesana di Mantova 23 luglio 1496. Arch. di Mantova. Documento N. XXI ed altra lettera del 26 febbraio 1499 nell'archivio suddetto.

  3 Lettera 1º agosto 1499. Documento N. XXII. 27 luglio è in data delle Segnate Mantovane. - Una sua lettera del

  4 Lettera di Bianca Maria Estense al marchese di Mantova del 1º àgosto 1499, pubblicata nella mia monografia della principessa suddetta pag. 27.

  5 Lettera al marchese di Mantova 15 agosto 1499. Arch. di Mantova. Documento N. XXIII.

  6 Ms. citato sulle discordie dei Pico presso il sig. march. G. Campori.

cava a Venezia, * e quindi nuovamente, si ritirava a Roma.

  1 Lettera al marchese di Mantova del 15 agosto 1499. Documento citato N. XXIII.

Quivi disponea di bel nuovo delle cose sue nel 24 luglio 1500 a rogito del notaro Gio. Maria cittadino Romano, lasciando erede quanto all' onorato dominio il conte Lodovico, e quanto all'utile anche Federico suoi nipoti, ed istitui molti legati pii. 2

  2 Papotti, Annali della Mirandola, t. I, p. 5 .

Finalmente, abitando.in Campo Marzio, terminò i suoi giorni in quella città nel giorno 6 marzo 1501 come nota la cronaca Modenese di Jacopino Lancillotto, 3

  3 Tom. I, pag. 262.

o nel 10 successivo come ha il Litta, lasciando nome di « dignissimo capitano d' armati » e di essere stato « di grande autorità appresso i Signori d'Italia ». *

  4 Alberti, Descrizione dell'Italia , edizione Veneta del 1581 , pag. 360 verso. - Nella sicurtà fatta a Galeotto nel 1483 dal Duca di Ferrara e riportata nel Documento N. XVI, Antonmaria ha il titolo di cavaliere.

Il suo cadavere venne sepolto in quella chiesa d' Aracoeli, e Ginevra di lui figlia gli innalzava un sarcofago con elegante e commovente iscrizione che più non esiste. Dobbiamo però saper grado al P. Casimiro di avercela conservata nel suo volume sopra detta chiesa, *

  5 Pag. 278.

e maggiormente a Vincenzo Forcella d'avercela tramandata più corretta nelle Iscrizioni di Roma. *

  6 Vol. I, pag. 211. - V. Archivio Storico Italiano di Firenze, t. XX, 4 Dispensa, pag. 186-7.

Essa è così concepita :
 D. OPT. MAX.
 AFFATUS, NATA, MORIENS ANTONIUS, INQUIT
 HAEC MIHI SUPREMI MUNERIS ACTA DABIS
 CONJUGIS ABRUPTOS CUM PARCA REPOSCERET ANNOS
 ILLA MEUM VOLUIT TUNC SEPELIRE LATUS.
 NAM COMPLEXA DUOS PARS AETERIS UNA REGEBAT
 UNDE ERAT IN PLACIDA PACE MARITUS AMOR
 QUANDOCUMQ. ETIAM REPETANT. ME FATA DUOR.
 UNA SIT URNA VOLO MENS VELUT UNA FUIT
 ANTONIUS MARIA MIRANDULAE COMES SIBI ET CONSTANTIAE
 UXORI DULCISSIMAE. JUNIPERA FILIA EX TESTAMENTO FAC. CURA.

II.

 Ho di sopra accennato al matrimonio di Antonmaria con Costanza Bentivoglio, e vuol bene ragione che ora aggiunga qualche cosa su la prole che ebbe da lei. Di Costanza scarsissime abbiamo le notizie, e sappiamo soltanto che fu ottima moglie, e che divise col marito le traversie della sua vita. Ella nel 1490 si trovava in poco buona salute ( ad onta che gli astrologi le avessero predetta sanità e vita felicissima), onde nel 15 maggio Antonmaria scriveva al marchese di Mantova essere necessario si trattenesse perciò un quindici o venti giorni ai bagni di Viterbo. *

  1 Lettera del 15 maggio 1490. Archivio di Mantova. Documento citato N. XX.

Cotali cure però a nulla ebbero approdato, e, reduce a Roma, poco appresso vi cessava di vivere « publico fere luctu totius urbis..... cum..... collacrymantis viri a quo unice diligebatur manum teneret.... » *

  2 Joannis Pici , in Astrologiam , lib . II, cap. IX , edizione di Basilea del 1557, Opera Omnia pag. 448.

La di lei salma venne sepolta in Aracoeli di Roma, ed accanto le furono poscia deposti i resti mortali del caro marito, siccome accenna l'iscrizione di sopra riportata. Da essa . Antonmaria ebbe un figlio che probabilmente cessava di vivere in tenera età, non trovandosi di lui più menzione.3

  3 Lettera al marchese di Mantova del 1° novembre 1476. Archivio di Mantova.

Ebbe pure due figlie, Violante e Ginevra.*

  4 Antonmaria nel 24 aprile 1474 annunzia alla marchesana di Mantova che nel 18 sua moglie ebbe una bella figliola, e la invita a tenerla al sacro fonte, o farne procura in suo nome. Sicuramente essa è Violante. ( Archivio` di Mantova ).

La prima nel 1493 andava a marito con Giberto X da Correggio che Antonmaria chiama giovane di ottime qualità. 5

  5 Lettera al marchese di Mantova del 10 marzo 1493. Documento N. XXIV.

Questi fu poi celebre capitano di , Santa Chiesa sotto Innocenzo VIII, ed eletto generale da papa Giulio II. Dopo la morte di Violante, Giberto coronò la propria gloria ottenendo in seconde nozze nel 1 ° febbraio 1507 Veronica Gambara da Brescia, la Saffo dell' età sua..¹

  1 Sansovino, Famiglie illustri, edizione veneta del 1670, pag. 434-5. Fantuzzi, Diario Correggese, per l'anno 1878, Correggio, tip. Palazzi 1877. ( 1° febbraio ). Giberto ebbe da Violante una figlia di nome Costanza che la Gambara considerò poi come sua figlia ( Tiraboschi, Biblioteca Modenese, t. II, pag. 136 ) .

Ginevra poi fu maritata con Gio. Battista Conti romano. Le trattative di questo matrimonio erano già avviate nel 1493, leggendosi nel Codice Aragonese pubblicato dal Trinchera una lettera del re Ferdinando d' Aragona scritta nel 20 dicembre di quell'anno da Arnone ad Antonio de Gennaro : « Quanto ad quello che scrivete de le briglie et del matrimonio che voleria fare misser Romagnino con una de le figlie del conte Antonio della Mirandola per altra ve responderimo. »*

  2 Edizione di Napoli del 1870, vol. II , parte II, pag. 362.

Però nel 1494' Ginevra non era ancor sposa, trovandosi che Giovanni Pico nel codicillo al suo testamento in data del 16 . novembre di quell' anno, le fa un legato di duemila e cinque- . cento ducati d'oro da pagarglisi dall' Ospitale di Santa Maria Nova di Firenze. *

  3 Presso Calori- Cesis, Monografia citata di Giovanni Pico, ediz. 2ª, p. 57.

Pochi anni ella pure , visse col marito, e dopo la morte di lui avvenuta, tra il 25 aprile ed il 21 luglio 1501, si chiuse nel monastero di S. Orsola in Firenze ed in esso, a quanto pare, chiuse la sua mortale carriera. *

  4 Archivio Storico Italiano di Firenze, tomo XX, 4ª Dispensa, p. 186-7.

III.

 Antonmaria, dopo la morte della Bentivoglio, annuente il Papa suo protettore, passava a nuove nozze con Raimonda figliuola del déspoto di Larta. Venuta a Napoli dai feudi che suo padre possedea nella Calabria, Alfonso Duca di Calabria la sposava in detta città a nome di Antonmaria alla presenza del re e della regina nel 1º marzo del 1492, *

  1 Lettera di Antonmaria al marchese di Mantova scritta da Roma nel 4 marzo 1492. Archivio di Mantova. Documento N. XXV.

e lo sposo andava a levarla di là nella prima metà del seguente maggio. *

  2 Lettera al marchese suddetto del 24 aprile. Documento N. XXVI.

Nella traversata che Raimonda fece dai suoi feudi di Calabria a Napoli ebbe a soffrire « la maiore discortesia et dishonestà del mondo » per parte di corsari Genovesi che infestavano quei mari. *

  3 Lettera del re Ferdinando di Napoli 5 giugno 1492 ad Antonio de Gennaro presso il Trinchera, Codice Aragonese, Napoli 1868, parte I, pag. 114-15. Di questa e delle seguenti notizie sono tenuto all' egregio sig. cav. Luigi Volpicella di Napoli primo Presidente onorario di quella Corte d'Appello, della di cui amicizia e . benevolenza singolarmente mi onoro.

E forse era porzione della sua dote l'argento e l' oro che portava ad Antonmaria Lancillotto Agnese, e che gli era stato dato dagli Strozzi dimoranti in Napoli, e che re Ferdinando scrivendo da Tripergole al principe di Altamura ordinava si lasciasse passare liberamente. *

  4 Trinchera, Codice citato, pag. 207-8.

Raimonda era figliuola di Leonardo III di Tocco, e probabilmente di Melissa figliuola di Lazzaro ultimo déspoto della Servia, prima sua consorte. Il contratto del loro matrimonio era stato rogato nell'anno 1463 nella città di Ragusa mediante istrumento del notaio Leonardo. di Trani, e pubblicato dal notaio Bartolomeo Sfondrato. *

  5 Erasmo Ricca, La Nobiltà delle due Sicilie, Napoli, stamperia di Agostino de Pascale, 1865 , parte I, vol . III, pag. 286.

Il secondo matrimonio di Leonardo con Francesca Marzano d'Aragona (la cui madre era figliuola del re Alfonso I d'Aragona e quindi sorella del re Ferdinando ) fu contratto non prima del 1477, ed in conseguenza sembra difficile che da esso avesse potuto essere procreata una donna, la quale nel 1492 fosse atta a marito. Una tale opinione, che Raimonda fosse figliuola di Melissa, è inoltre in certo modo riconfermata dall' autorità del duca di Drivasto Andrea d'Angelo, il quale, secondo che assicura il Gittio * a pag. 38 della stampa fatta nell'anno 1624 dell' opera intitolata :

  6 Barone Andrea Giuseppe Gittio, Lo scellro del Despola o vero del titolo e dignità dispotale discorso istorico politico e giuridico, In Napoli MDCIIIC. Nella stamperia di Giacomo Raillard in foglio.

Genealogia degli Imperatori Romani e Costantinopolitani scrisse : « Miliza hebbe Leonardo Tocco Dispoto de Larta, della quale hebbe Carlo e tre figliuole, » una delle quali è a credere che sia stata appunto la Raimonda. E qui vuolsi notare che Leonardo nacque di Carlo II de Tocco e di Ramondetta di Ventimiglia, e però dee supporsi che egli imponesse alla figliuola il nome dell' ava, ossia della madre di lui. Nè dee recare sorpresa se niuno degli scrittori, che più o meno lungamente hanno discorso dell'illustre famiglia de Tocco, hal nominato le figliuole di Leonardo, e fatto cenno del matrimonio di una di esse col conte Antonmaria della Mirandola, perocchè a tutti è noto che è sempre stato ed è tuttora costante uso dei genealogisti di non parlare delle donne di una famiglia che ben di rado, e ne' soli casi puramente eccezionali. Non si conosce quando Raimonda cessasse di vivere. Nel 17 ottobre 1494, essendo inferma nella Concordia pregavà il marchese di Mantova a mandarle un medico perito. *

  1 Lettera nell' Archivio di Mantova.

È poi certo che il Pico non ebbe prole da essa. 2

  2 Papotti, Annali Mirandolesi, t. I, pag. 5.

IV.

 Non sarebbe compiuta questa monografia, se non dicessi ancora alcuna cosa particolare su Giulia figliuola naturale di Antonmaria, che abbiamo già veduta castellana ' alla Concordia, e moglie a Sergio Siffola di Trani, sul quale e sulla sua discendenza che si propagò alla Mirandola le nostre cronache hanno pure serbato il più alto silenzio. Di Sergio e del suo matrimonio con Giulia, non che dei figli che ebbe da lei, ragiona CARLO DE LELLIS nel discorso della famiglia SIFFOLA alle pagine 194 e 195 della Parte III de' suoi Discorsi delle famiglie Nobili del regno di Napoli ( Napoli 1671 per gli eredi di Roncagliolo, in foglio ) ; e mi par bene riportaré qui le sue parole, aggiungendo in nota qualche notizia a lui sconosciuta e correggendolo ove incespica in qualche abbaglio.

  Il primo adunque, egli scrive, di questa famiglia, che uscisse dalla città di Trani fu Sergio Sifola figliuolo di Petrucció e di Altobella Palagano amatis- simi dalla Regina Giovanna II, e quasi assoluti Signori di Trani, a' quali essa Regina Giovanna concedette l ' Arboragio, et il Molino della Galla, e Pescina di Trani ( In Regn. Reg. Joanna II 1415, fol. 87, tom. . .. ) , e Petruccio fu figliuolo di Filippo, che fu Signor di molti feudi, e Ciamberlano di Filippo Imperator di Costantinopoli, e molto favorito della sua corte (Privilegio di Filippo Imperadore di Costantino- poli); ma per cominciar da Sergio, fu egli valorosissimo Con- dottier di gente d'armi, e s'avanzò tanto nella potenza e nel valore *

  1 Sergio in un rogito del. 1528 porta il titolo di cavaliere. che passando per occasioni di guerra, nelle parti della Lombardia, si congiunse in matrimonio con Giulia Pico della Mirandola, figliuola di Giovan Antonio *

  2 Giulia era figliuola non legittima di Antonmaria, non di Giovan Antonio. Conte della Mirandola, e di Concordia, Signor assoluto, e di libero do- minio di stato in Italia, e si hebbe in dote il castello di Poppano *

  3 Nel regno di Napoli. Non saprei accertare come Antonmaria possedesse tal feudo, non trovandone altrove menzione alcuna. con la somma ancora di grossa moneta, come appare dallo stromento dotale che si conserva hoggi in casă de' Signori Sifoli, che sono in Napoli, (Stromento dotale di Giuglia Pico della Mirandola con Sergio Sifola).4

  4 Una lettera di Sergio è nel Documento N. XIII.  Nacquero da Sergio Sifola, e da Giulia Pico mòlti figliuoli, cioè Vincenzo che fu Vescovo della Mirandola, 5

  5 Errore. La Mirandola non ebbe mai vescovo. Il p. Papotti (Elenco dei morti e sepolti in s. Francesco della Mirandola ) dice che si rese Do- menicano. l'altro fu chiamato il Cavalier Ercole, che si casò con una signorà pur di casa Pico della stessa famiglia de' conti della Mirandola, * e Costanzina, che fu maritata con il Signor de' Montecucoli di nobilissima casa in Lombardia.

  6 Non apparisce da alcuna genealogia. Ercole ( morto già nel 1566 ) ebbe un figlio di nome Ettore il quale nel 1566 sposava Virginia del fu conte Galeotto Montecuccoli, già . vedova del cav. dottor Battista Papazzoni del fu Manfredo della Mirandola famiglia discendente, come i Pico , dai figli di Manfredo. Virginia costituisce in dote al Siffola scudi 1200 d'oro in oro (Rogilo del nolaro modenese Girolamo Vecchi slipulalo in Modena addì 9 marzo 1566) . Ma il primogenito de' figliuoli di Sergio fu Francesco Maria * Signor di Popano, e che fu ancora appresso Signore di S. Martino il quale es- sendo conforme al padre illustre Condottier di gente d'armi, et avendo servito per cinque anni continui la Cesarea Maestà dell' Imperator Carlo V per la ricuperatione, conservatione e difesa dello stato di Milano, con venticinque cavalli a sue spese, e poi per altri tre anni, con carica di Colonnello di mille fanti, sempre con chiara testimonianza della sua fede, e valore, si avanzò tanto nella gratia del detto Imperatore, che si ottenne da esso uno de' più favoriti privilegij, che fossero mai da detta Maestà conceduti, spedito in Bologna all'ultimo di decembre del 1529.

  1 In un rogito del notaro Carpigiano Bartolomeo Parmesani del 29 dicembre 1520 in quell'archivio notarile ( N. 567 ) si ha che il magnifico , Francesco Maria Sivola (sic) di Trano, come procuratore della magnifica signora Giuglia Pico della Mirandola di lui madre, il che costa da rogito d'Antonio Ruggeri della Mirandola sotto li 12 aprile 1518, sostituisce in sua vece Francesco Cotalina di lui servitore ad esigere da Giacomo Orlandini di Guastalla un residuo di somma del quale detto Giacomo andava debitore a detta magnifica signora Giulia etc. ( Actum in Terra Carpi in Cilalella IN PALATIO RESIDENTIAE IPSIUS CONSTITUENTIS , IN CAMERA UBI NUNC MANET DICTUS D. CONSTITUENS etc. ) .

Continua quindi il De Lellis esponendo le particolari concessioni fatte a Francesco Maria Siffola con quel diploma, di cui riporta pure un brano, come anche riporta interamente un privilegio allo stesso conceduto da Papa Clemente VII nel dì 8 agosto del 1531. Da ultimo, secondo il medesimo De Lellis, Francesco Maria sposò Virginia Rocco, ed ebbe figliuoli che propagarono il suo nobile casato. 2

  2 In una scheda ms. di carattere molto antico trovo che da Francesco Maria nacque Giulio, e da questi Fabio detto di s. Martino, Scipione cavaliere di s . Giovanni, Gio. Battista dottor di leggi, e Gio. Luigi cavallerizzo di S. Maestà.

 Secondo il p. Papotti, Sergio era morto già nel 1526 e sepolto nella chiesa di s . Francesco della Mirandola. Giulia poi testava nel 30 agosto dell' anno medesimo a rogito del notaro mirandolese Albertino quondam Luigi Castellazzi, ordinando molti lasciti di messe. Nel 1528 era ancora in vita, e nel 4, maggio, a rogito del notaro mirandolese Benedetto fu Antonio Galassi, riportandosi alle stipulazioni del 5 marzo 1501 , riceveva in dono una casa nella Mirandola da Gio. Franceso II Pico che dovea servire d'abitazione per lei e per la sua famiglia. Pare mancasse di vita intorno al 1530. Ebbe tomba, conforme avea disposto, in s. Francesco della Mirandola accanto al marito.¹

  1 Annali Mirandolesi, t. I, pag. 18, 19. - Elenco dei morti e sepolti in s. Francesco.

Oltre i ricordati figli, lasciava pure tre figlie, due delle quali si monacarono in s. Caterina di Ferrara coi nomi di suor Lucrezia e suor Ippolita, e l'altra professava pure sacri : voti nelle Carmelitane di Mantova col nome di suor Giulia. 2

  2 Testamento citato. Galeotto II Pico nel 4 maggio del 1523 scrive dalla Concordia al marchese di Mantova « mandando Joan Francesco Syffola a V.ra Ex.tia a portargli per conto de questi homini d'arme supplicando quella voglia havere per raccomandato questi poveri subditi, quali hanno patito per la longa spesa continuata già octo mesi fa in pagar septanta cavalli hispani... » ( Archivio Gonzaga in Mantova ) . Crederei che questo Gio. Francesco Siffola sia Francesco Maria di sopra ricordato , e che debba tribuirsi ad abbaglio tale diversità di nome.

Historia genealógica y heráldica de la monarquia española: casa real y grandes de España 4

著者
Francisco Fernández de Béthencourt
出版
1902年
引用サイト
Google Books

 II . Don JOFRE LANZOL DE ROMANÍ , hijo mayor de Don Pedro - Guillén Lanzol de Romaní , octavo Señor de la Baronía de Villalonga , y de Doña Juana de Borja , su mujer , que queda citada á la página 31 como la hermana mayor del Papa ALEJANDRO VI sucedió en el Mayorazgo de la Baronía y Villa de Anna , que le fundó su abuela materna Doña Isabel de Borja , viuda de Jofre de Borja el I , para después de los días de su hijo , y tío respectivamente , y de que el entonces Cardenal Don Rodrigo de Borja , como tal heredero de su madre , le hizo confirmación por escritura de 17 de Febrero de 1469 que pasó ante Benito Salvador , Notario de Valencia ; y así se llamó siempre , conformándose con las cláusulas de la fundación referida , Don JOFRE DE BORJA LANZOL DE ROMANÍ . Más tarde su tío carnal Don Rodrigo de Borja , á la sazón Cardenal , Obispo de Valencia , Vice - Chanciller de la Santa Iglesia y Legado en España , que fué después el Papa ALEJANDRO VI , estando para embarcarse en Valencia en las Galeras Venecianas para regresar á Roma , hallándose en completa salud , pero considerant e sabent quant son grans les perills de la mar , en el Puerto del Grao , el Sábado II de Septiembre de 1473 , ante el propio Benito Salvador , Notario de Valencia , hizo la donación de 8.000 libras en monedas reales de Valencia á este Don JOFRE , á quien llama en la referida escritura : el Noble Don Jofre de Borja , nebot nostre .
 Confundiéronle frecuentemente los historiadores , siempre tan poco cuidadosos de la genealogía , con su propio abuelo materno , y de aquí la creencia general y absolutamente errónea de que fuera por su varonía Lanzol el mismo Papa ALEJANDRO ; no obstante que todas las memorias de la época le llaman claramente ( y Burchard el primero ) Foffredus , nepos Papa . Cuando el Maestro de Ceremonias de la Corte Pontificia refiere la gran recepción que se hizo á CÉSAR BORGIA , que volvía de coronar en Nápoles al Rey Don FADRIQUE , lo nombra en estas terminantes palabras : D.nus Don Joffredus Borgia , S. D. N. Papæ nepos , ex sorore sua carnali genitus , pater Reverendissimi D. Cardinalis de Borgia , dejando así perfectamente establecida su filiación . Este Señor testó primero en Valencia el 9 de Mayo de 1490 ante Benito Salvador y últimamente el 10 de Febrero de 1497 ante Juan Sobreño , Notario público , y ...

X. Don FRANCISCO II DE BORJA Y CENTELLAS .

 Don FRANCISCO - TOMÁS DE BORJA Y CENTELLAS , II del nombre , llamado también en sus primeros años Don Francisco - Gilabert de Centellas , sexto DUQUE DE GANDÍA , tercer MARQUÉS DE LOMBAY , sexto CONDE DE OLIVA , primer Conde del Reino de Valencia , Señor de las Baronías de Castel de Bayrent , de Corbera , Turís , Chella , Albalate de la Ribera , Castelló de Rugat , el Real , las Almoynas , Benieto , Bellreguart , Xeresa , Miramar , Alcodar y Jaraco , con sus Castillos , Villas y lugares , de las de Pego , Murla y Valle de Ayora y de las Encontradas de Anglona , Monteagudo , Osilo , Marguini y Coguinas en Cerdeña , Grande de España de la primera clase y antigüedad , etc. , etc. , nació en el Palacio Ducal de Gandía el día de Santo Tomás , Domingo 21 de Diciembre de 1551 , y fué bautizado el 24 inmediato en aquella Iglesia Colegial , por mano del Deán de Gandía Francisco Roca , Paborde y Canónigo de Valencia 1 .

  1 Es á este Señor á quien los historiadores se refieren , cuando escriben contestes que á principios del año 1552 , encontrándose el Santo Borja su abuelo en Oñate , llegó allí un criado antiguo del Duque su hijo , llamado Rolando Monzón ( Sansón ) , con la nueva de su nacimiento , y antes que hablase palabra ni diese las cartas que traía , hubo de preguntarle el Santo : ¿ Cómo queda Francisquito ?; dejando al criado en grande turbación , temeroso de que otro se le hubiese adelantado con la buena noticia cerca de aquél .

Tuviéronlo en la pila como padrinos Don Onofre del Milá , de la familia de los Condes de Albaida , y Don Alvaro y Don Fernando de Borja , ambos sus tíos , hermanos del Duque su padre , en su lugar citados , y como madrina la varias veces nombrada Doña Juana de Meneses , su tía - abuela , hermana de la Duquesa de Gandía difunta Doña Leonor de Castro ; y se le puso el nombre de su grande abuelo , que acababa de ingresar entonces en la Compañía de Jesús . Declarólo 40 años más tarde la Real Audiencia y Gobierno de Valencia , en auto de 26 de Septiembre de 1591 , sucesor en la Casa de su padre , de la que tomó posesión personalmente ante Francisco - Luis Serra el 20 de Octubre de 1592 .
 FELIPE II le dispensó siempre singular confianza , y siendo aún solamente Marqués de Lombay , hubo de comisionarlo para apaciguar las perturbaciones de Aragón : deseando - dice el gran Rey - el remedio de las cosas que en ese Reyno tanto le han menester , me he resuelto encargar de ellas al Marqués de Lombay , porque demás de su calidad , concurren en su persona partes de que estoy enterado y satisfecho . Entró en efecto el Marqués Don FRANCISCO en aquel Reino por tierra de Calatayud , y llegó á Zaragoza el 28 de Noviembre de 1591 , hospedándose en el Palacio de Villahermosa , de cuyos Duques era tan próximo deudo , y al día siguiente se presentó ante la Diputación y Jurados de Zaragoza , con nombre de angel de paz , según frase de su mismo padre ; pero mal oído por el país y no muy atendido ...

Borja , Caballero de la Orden de Montesa , cuyas pruebas se despacharon el 21 de Enero de 1589 , marido que fué de Doña Magdalena de Castro y Belbis , todavía era viva cuando su nieto , é hijo de éstos , llamado Don Miguel Figuerola y Castro , hizo las pruebas de nobleza necesarias para su ingreso en la misma Orden , pruebas que fueron despachadas en 22 de Diciembre de 1624 . 4. ° Doña FRANCISCA DE ...

Doña Ferónima López de Oteiza y Lanzol de Romaní , su mujer , sobrina del Maestre de Montesa Don Francisco Lanzol ... despachadas en 22 de Diciembre de 1624 . 4. ° Doña FRANCISCA DE BORJA - LANZOL , que fué mujer de Francisco - Ferónimo Mascarell , Ciudadano y Gobernador de Valencia , y madre de Don Francisco Mascarell , que sucedió en esta Casa , y de Doña Francisca Mascarell y Borja , que casó con su primohermano Don Rodrigo de Borja - Lanzol y Olivera , jefe de esta línea , como repetiremos después con su sucesión . Nietos de este matrimonio , hijos de Don Francisco Mascarell y Borja y de su mujer Doña Jerónima Pertusa y Monserrat , fueron Don Francisco Mascarell y Pertusa , Caballero de la Orden de Santiago en 1646 , y Don Jaime Mascarell y Pertusa , Caballero de Justicia de la Orden de Malta en 1647 . VI . Don BALTASAR DE BORJA - LANZOL DE ROMANÍ Y DE BORJA , llamado así por el Señor de Albalate ...

... BORJA , Según escribimos en su lugar á la página 105 .

IV . LINEA MENOR DE LA CASA DE BORJA - LANZOL

 IV . Don PEDRO DE BORJA - LANZOL DE ROMANÍ Y CENTELLAS , tronco de esta línea menor , hijo segundo del segundo matrimonio que Don Rodrigo de Borja - Lanzol de Romaní , décimo Señor de las Baronías de Villalonga , de Anna y Castelnovo , celebró con Doña María de Centellas , y citado ya como tal á la página 366 , nació en Valencia , sirvió en muchas jornadas de guerra cerca de la Persona del Emperador CARLOS V , fué Caballero de la Orden de Santiago en 1543 , y era muerto en 1604 cuando se hicieron las pruebas á su nieto Don Gaspar de Borja . Este es el que cita Diego de la Mota en su Libro de la Orden de Santiago , á la página 279. Había casado en Valencia con Doña ISABEL GRANULLÉS Y CARBONELL , hija de Mosén Luis Granullés , Ciudadano de Valencia , y de Doña Ferónima Carbonell , su mujer , la cual era viva todavía en aquella fecha , como de las mismas informaciones consta .

  GRANULLĖS . -Valencia . De gules dos torres de oro puestas en faja , superadas de un ojo humano , puesto en jefe .

 Produjo este matrimonio los hijos siguientes :

 1. Don MIGUEL DE BORJA Y GRANULLÉS , que casó con Doña VIOLANTE PALLÁS , y de ambos nació único Don LEONARDO de Borja y Pallás , que fué Canónigo y Dignidad de Capiscol de la Seo de Valencia .
 2. Don LUCAS DE BORJA Y GRANULLÉS , que fué gran soldado y Caballero de Justicia de la Orden de San Juan de Malta , y murió de muerte violenta . Las pruebas de su nobleza de ambas líneas , para su ingreso en aquella Religión , se hicieron en Valencia por Don Vicente Vallés y Don Jerónimo de la Caballería , ante Diego de Miedes , Notario público , y fué recibido en ella el 7 de Octubre de 1663 .
 3. Don CARLOS DE BORJA Y GRANULLÉS , que sigue la línea .
 4. Doña MARÍA DE BORJA Y GRANULLÉS , que casó con Don Juan de Hijar , de la Casa de los Barones de Xalón y Gata , y fué madre de Doña Isabel de Hijar y Borja , mujer de su primo Don Pedro de Borja , Caballero profeso de la Orden de Montesa , Comendador de Adzaneta y Vistabella , Tesorero General del Reino de Valencia , Regente de la Vicaría de Nápoles , del Consejo de Guerra de FELIPE IV , varón de línea natural de la rama mayor de esta Casa , ó Ducal de Gandía , y sobrino carnal de San FRANCISCO DE BORJA , Según escribimos en su lugar á la página 105 .

V. Don CARLOS DE BORJA - LANZOL Y GRANULLES , Caballero profeso de la Orden de Nuestra Señora de Montesa y San Jorge de Alfama , Comendador de Onda , Gobernador de Castellón de la Plana , Alcaide de los Castillos de Xérica y Peñíscola , sucesor en el Mayorazgo que fundó su padre ; nació en Valencia y recibió aquella merced del Maestre de la Orden Don Pedro - Luis - Galcerán de Borja su pariente , por su provisión fecha en Moncada á 15 de Septiembre de 1577 , refrendada de Luis de Berbegal su Secretario . Las pruebas de su nobleza , cometidas á Faime - Juan Falcó , Comendador de Perpunchent , y á Don Andrés Serra , Prior de las Casas de Valencia , fueron despachadas en esta Ciudad á 15 de Noviembre inmediato .
 Este Don CARLOS DE BORJA testó en Valencia el 25 de Febrero de 1644 ante Antonio - Jacobo Pons , habiendo sobrevivido á la mayor parte de sus hijos . Su testamento se abrió y publicó por su muerte el 14 de Noviembre de 1648 , por el mismo Notario Pons , ante quien otorgó también el suyo su segunda mujer , en Valencia á 7 de Marzo de 1652 , y uno y otro dejaban por su universal heredero á Don Vicente de Borja y Guardiola , su hijo . Contaba 86 años en el de su fallecimiento , y poco antes había figurado como testigo en el proceso de las pruebas que para vestir el hábito de Santiago hizo su sobrino Don Rodrigo de Borja - Lanzol y Olivera , Barón de San Petrillo y Campo - Sobrarbe , que era nieto de primo - hermano suyo .
 Había casado el Comendador de Onda la primera vez con Doña MARÍA DEL MILÁ , ó MILÁN , su prima , nacida en Albaida , Señorío de sus abuelos , hija tercera de Don Onofre del Milá , hermano natural del segundo Conde de Albaida , y de Doña Francisca - Dorotea Filibert , de una familia noble de Valencia , y sus capitulaciones matrimoniales pasaron en esta Ciudad á 23 de Junio de 1584 ante Juan Garcés y Jaime García de Frías , Notarios de Valencia .

  MILÁN .-- Como antes à la página 343 .

Y viudo de esta Señora pasó á contraer segundas nupcias con Doña TEODORA GUARDIOLA Y SAN GERMÁN , hija del Doctor en Derecho Juan - Bautista Guardiola , Caballero , Oidor de Su Majestad en la Real Audiencia de Valencia , que murió electo Regente del Supremo Consejo de Aragón , y de Doña Teodora de San Germán , su mujer , de antiquísima familia de Caballeros en aquella Ciudad ; para cuyo segundo enlace el Rey Don FELIPE III le dió su licencia 17 de Febrero de 1605 .

  GUARDIOLA . -Cataluña . El escudo cuartelado en sotuer : el jefe y la punta de gu les cinco palos de plata un ojo ; la oro ; los flancos de bordura compo nada de cuatro piezas de gules cargadas del cas tillo de oro , alter nadas con cuatro de plata cargadas del león de gules .

 Hijos del Comendador Don CARLOS DE BORJA LANZOL y de Doña MARÍA DEL MILÁ , ó MILÁN , su primera mujer :
 1 . DON PEDRO DE BORJA Y DEL MILÁ , muerto en vida de su padre .
 2 . Don GASPar de Borja Y DEL MILÁ , que nació en Valencia y siendo niño aún fué Caballero de la Orden de Montesa . Las pruebas de su nobleza se cometieron por Real provisión fecha en Valladolid á 7 de Junio de 1604 á Serafín Mateo , Caballero profeso y Sub - Comendador Mayor de la Orden , y á Pedro Selva , Religioso de la misma , Cantor Mayor y Conventual en el de Montesa ; y fueron aprobadas , estando la Corte en Valladolid , á 14 de Noviembre de 1604 .
 3. Don MIGUEL DE BORJA Y DEL MILÁ , que fué Canónigo de Valencia .
 4 . Doña FRANCISCA DE BORJA Y DEL MILÁ , que casó con su primo - segundo Don Cristóbal Milán de Aragón , II del nombre , cuarto Conde y primer Marqués de Albaida , Señor de las Baronías de Otos , Torralba y Misena , Comendador de Silla de la Orden de Montesa , ya varias veces nombrado , que estaba viudo de Doña Juana Corberán de Leet , Baronesa de Otanel , y era hijo y sucesor de Don Juan - Alonso Milán de Aragón , tercer Conde de Albaida , y de la Condesa Doña Blanca Coloma y Cardona , su primera mujer , de la Casa de los Señores y luego Condes de Elda . PAULO V en San Pedro á 1.o de Junio de 1608 dispensó el parentesco de tercer grado de consanguinidad que los unía , y ella falleció también antes que su marido , según consta del codicilo que este Señor hizo en Valencia á 11 de Julio de 1632 , nombrando tutor de sus hijos menores á su yerno , y nieto de su primer matrimonio , Don Juan Alvarez de Toledo y Milán de Aragón , Señor de Cervera . El primer Marqués de Albaida dejó de ambos enlaces en Valencia ilustre y dilatada posteridad , GANDIA ( CASA DE BORJA [ LANZOL ] ) 387. casa real y grandes de España Francisco Fernández de Béthencourt. de ambos enlaces en Valencia ilustre y dilatada posteridad , en que entró la representación de esta línea menor de la Casa de BORJA - LANZOL . Véase Grandes creados por CARLOS III ; Marqués de ALBAIDA , Casa Milán de Aragón .
 5. Doña ANGELA DE BORJA Y DEL MILÁ , que vivió casada en Valencia con Don Ximén Pérez - Ruiz de Lihori , y después á 15 de Julio de 1630 se le hicieron en Valencia pruebas de nobleza para pasar á nuevas nupcias con Don Gaspar Sanz y Juan , Caballero de la Orden de Montesa .
 6. Doña MAGDALENA DE BORJA Y DEL MILÁ , que fué Monja profesa en el Real Monasterio de la Zaydía de Valencia .
 Hijos del Comendador Don CARLOS DE BORJA - LANZOL y de Doña TEODORA GUARDIOLA , su segunda mujer :
 7. Don VICENTE DE BORJA Y GUARDIOLA , que sigue .
 8. Doña ISABEL DE BORJA Y GUARDIOLA , que casó en Valencia con Don Jaime Ruiz de Corella , Caballero de la Orden de Montesa en 1647 , hijo de Don Roberto Ruiz de Corella , de la misma gran familia de los Condes de Concentaina , y de Doña Ángela Valterra y Jofre , su mujer , cuyos padres fueron Don Jaime Valterra y Doña Mencia Jofre . Por Real provisión fecha en Madrid á 13 de Febrero de 1647 , refrendada del Protonotario Pedro de Villanueva , se cometieron las pruebas de la nobleza de este Señor , para que pudiera vestir el hábito de Montesa , á Don Félix Zarzuela , Caballero profeso de la Orden , y á Rafael - Antonio Miguel , Prior de la Iglesia y Reales Casas . del Templo de Valencia ; y en efecto fueron aprobadas en 26 de Julio de aquel año y 3 de Noviembre de 1648. A la Doña ISABEL DE BORJA Se le hicieron para contraer este matrimonio las debidas informaciones de su calidad el 26 de Agosto de 1652 , que se aprobaron tres días después , mandando que se le expidiera la Real licencia necesaria .

 VI . Don VICENTE DE BORJA - LANZOL Y GUARDIOLA , sucesor en el Mayorazgo de su padre , por haber muerto sin sucesión sus hermanos mayores durante la larga vida de este Señor ...

Sentencias del Tribunal Supremo de justicia

発行
1860年
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 Resultando que por otra escritura del mismo dia 26 de Mayo de 1478 el citado Cardenal D. Luis Juan del Milá , por consecuencia de las anteriores , hizo donacion al D. Jáime , su hijo , del Condado y villa de Albaida y lugar y torre de Carrícola , sitos en el término de Valencia , con sus términos , derechos , pertenencias , alquerías , fortaleza , mero y mixto imperio , y toda jurisdiccion civil y criminal :
 Resultando que por escritura de 6 de Octubre de 1514 el D. Jáime del Milá , pactando las capitulaciones matrimoniales de su hija Doña Angela del Milá con D. Fernando de Próxita , Conde de Almenara , se titulaba Conde de Albaida y Señor de la villa y Baronías de Bélgida , Otos y Torralba , y expresó que la contrayente Doña Angela llevaba 100,000 sueldos de dote , que se habia de pagar dentro de los cuatro años siguientes á la celebracion del matrimonio : por otra escritura de 23 de Diciembre de 1515 , en que se titulaba Conde de Albaida y Señor de la Baronía de Bélgida , se obligó á pagar cierta suma que se habia gastado en la dispensa para el matrimonio de la Dona Angela con el D. Fernando de Próxita : en otra escritura de 21 de Setiembre de 1519 , titulándose Conde y Señor de la villa de Albaida y de la villa y Baronías de Bélgida , Otos y Torralba , situadas en aquel reino de Valencia , y haciendo referencia de la otra escritura de 6 de Octubre de 1514 , convino con el D. Fernando de Próxita y la Doña Angela del Milá , su mujer , en que el pago de los 100,000 sueldos de que aquella trataba se habia de verificar , no dentro de cuatro años , como en la misma se expresaba , sino en el de seis , consignando y asegurando el pago de dicha suma el D. Jáime sobre las Baronías referidas , lugares suyos de Otos y Torralba , y obligándose á dar la posesion de estos al D. Fernando si no le fuesen pagados los 100,000 sueldos en los seis años , para que percibiese sus rentas , frutos y emolumentos hasta la completa solucion ; y que si sin verificarse ésta muriese el D. Jáime , en tal caso , sin esperar el trascurso de aquel tiempo , tomase el D. Fernando la expresada posesion y percibiese sus rentas , frutos y emolumentos hasta ser pagado de la referida cantidad , sin que se le pusiera contradiccion ni por el heredero del Don Jaime ni por nádie ; y por otra escritura de 1. ° de Marzo de 1520 , titulándose igualmente Conde de Albaida y Señor de la Baronía y lugares de Bélgida , Otos y Torralba , constituidos en aquel reino de Valencia , y haciendo mencion y ratificando la anterior de 21 de Setiembre de 1519 , dijo que pagaria en dos años los 100,000 sueldos que en aquella se obligó á pagar en seis , consintiendo igualmente en que se diese á D. Fernando , que estaba presente , la posesion de Otos y Torralba si no se hacia el pago en los dos años para que tuviese efecto , percibiendo éste las rentas de dichos lugares ;

España : sus monumentos y artes, su naturaleza e historia. Valencia

著者
Teodoro Llorente
発行
1889年
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... calles anchas y rectas , de muy buen aspecto .
 Tuvo Albaida , después de la reconquista , diferentes seño- res , entre ellos , en tiempo de Don Pedro II , el famoso capitán Conrado Lanza . Donóla después aquel mismo rey á D. Beren- guer de Vilaragut , y á los descendientes de éste la compró en el siglo xv el cardenal Milán , obispo de Lérida . Estos Milans procedían del Languedoc ; vinieron con el Conquistador , y uno de ellos casó con Catalina de Borja , hermana de Calixto III . Valióle el parentesco á un hijo de este matrimonio , llamado Luis Juan . Era mozo despierto : ayudóle aquel pontífice , y después Alejandro VI . El primero lo hizo obispo y cardenal , en premio de sus servicios como astuto diplomático . Era uno de aquellos cardenales muy profanos , al uso de entonces ; enriquecióse , y para dar buen patrimonio á un hijo que tuvo de Angelina Rams , noble señora de Lérida , adquirió aquel señorío , erigido entonces en condado por merced real ( 1477 ) . El mismo cardenal se retiró á estas tierras , donde pasó los últimos años de su vida . Cuenta aquí la tradición que , estando en Roma , un criado que tenía , hijo de Carrícola , lugarejo de este valle , le ponderaba la virtud de sus aguas para los pade- cimientos que le aquejaban . Vino á probarlas , y tan bien le sentaron , que no quiso volver á la Ciudad Eterna . Llamábalo el Papa sin cesar , y él le contestó con una larga epístola latina , que terminaba diciendo : Bonum est nos hic esse , in Carricola nostra , cum Catalina Parra . Lo cierto es que permaneció en Carricola hasta su muerte ( 1 ) . Su hijo primogénito D. Jaime Milán , primer conde de Albaida , casó con D.a Leonor , nieta del rey Don Juan , lo cual aumentó el auge de esta familia , que se apellidó desde entonces Milán de Aragón .
 El condado de Albaida comprendía las villas y lugares de Adzaneta , Palomar , Bufali , Aljorf , Benisoda , Carrícola y Otos . El rey Don Felipe III lo elevó á marquesado en 1604 , y perma- neció en la familia Milán de Aragón hasta ...

Memorie per la storia di Ferrara

著者
Antonio FrizziCamillo Laderchi
発行
1850年
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 112. Niccolò Maria naturale di Gurone ( ivi ) . Divenne Preposito di Bondeno l' A. 1483 e morto il padre l' A. 1484 fu eletto dai Monaci di Nonantola Ab. loro commendatario , ma da Sisto IV. gli fu contrapposto il Card. Giuliano della Rovere suo nipote. Tiraboschi Stor. di Nonant. T. 1. cap. 8. ). È stato anche Ab. commendat. di S. M. di Gavello ( Diar. ferr. ecc. al 1488 ) . Nel 1487 ai 26 di Maggio , come scrive il Dott. Bernardin Zanbotto ( mss. delle cose di Ferr. ) , il Papa a riguardo del Duca Ercole I. conferì a Niccolò Maria il vescovato d' Adria vacato per morte di Tito Novelli altro ferrarese. Il Diario tante volte cit. nota questa elezione sotto il 1488 ma il Zambotti era vivo allora e merita preferenza. Fu consecrato in Ferrara nella cattedrale ai 12 d' Agosto da Filiasio Roverelli Arcivesc. di Ravenna anch' egli ferrarese ( Zambotti ecc. ) . Morì li 5 Agosto 1507 ed ebbe a successore Beltrando Costabili altro ferrar. Canon. della Basilica Vaticana , e Ambasciatore del Duca Alf. I. di Ferr. al Papa ecc. ( Speroni Adrien. Episc. Series §. 54 et 55 ) . Niccolò Maria si dice anche Governator 26 di Viterbo ( Alb. Esten. stamp. in Modena 1660 per il Soliani

Ferrara d'oro. Imbrunito dall'abbate Antonio Libanori.

著者
Antonio Libanori
発行
1674年
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Bartolomeo Codegori .

 Non fa menzione alcuna Marc'Antonio Guarini nel suo Compendio Storico della Casa Codegori, ottimi Cittadini Ferraresi, se non la confonde con quella dei Codecà, parlando di Nicolò Maria Codecà, Fattor Generale del Duca Alfonso primo Lib. 3. f. 185. e pure fra soggetti chiarissimi dei Cadegori, ve ne sono stati due famosi Legisti, cioè il presente Bartolomeo e Gio. Battista, di cui diremo a suo luogo. Bartolomeo fu d'ingegno non ordinario, e di varia dottrina adornato, ma nella professione legale, egli mostrò tanto sapere, e così profonda cognizione dei Testi Canonici e Civili, che andò del pari co' primi Lettori dello Studio di Ferrara, all'ora ripieno d'Eccellentissimi Soggetti. Ebbe le prime Cattedre dell'Università della sua Patria, e nell'Avvocazione delle Cause Curiali fu così ardente nel portarle, e fondato nel difenderle, che utilità ai suoi Clienti. Non gli mancarono impieghi d'importanza, servendo al pubblico, & ai Principi Estensi, che da ogni parte fu molto amato, e tenuto in stima. Di questo valoroso Giurista Ferrarese si veggono alcuni dotti Consigli, e famose Repetizioni, inserite nel quarto Volume di Gio. Maria, e già copiose Criminaldi, fatte Stampare in Venezia dal sapientissimo Ippolito Bonacorsi, Scrittore crudissimo, e Gentiluomo anch'egli Ferrarese. Del Codegori fa onorata menzione il P. Superbi. f. 68.

Notizie amministrative, storiche, artistiche relative a Ferrara

著者
Luigi Napoleone Cittadella
発行
1868年
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 Da Gio . Battista ne vennero un Domenico , ed un Michele pittore , i quali sposarono due sorelle , cioè il primo una Giovanna , e l'altro una Beatrice , figlie di Buonmercato Ballotta ; con questo però che Michele rimase vedovo assai presto , e si uni in seconde nozze con Laura sorella di Guido Franceschini . Beatrice fece testamento nel 1507 a rogiti di Antonio Baliardi del 5 Ottobre , nel quale atto è detta Nobilis et ho · nesta mulier ecc . , e forse moriva poco dopo ; ma fu seguita poco appresso dalla sorella Giovanna , dacchè in un atto di Bartolomeo Codegori del 26 Giugno 1512 , trovasi Mag . Dominicus de Costis maritus olim Joannæ fq . bonmercati de Ballottis sororis Doctoris Dominici ecc . Se non che come dissi , Michele si riammogliava , e ciò fu nel 1513 , come da rogito del 1 Luglio di Bartolomeo Silvestri Prudens vir et Magister Michael Costa , filius q . Joannis Baptistæ , pictor , et civis Ferrariæ , confessus est ad instantiam eximi Artium et Medicinæ doctoris Guidonis Franceschini habuisse nomine et vice honestæ dnæ Lauræ sororis dicti d . Guidonis , Libras quingentas marchesanas ecc . Fece testamento nel di 11 Aprile 1536 ad atti di Bartolomeo Franchi , dal quale si rileva che non lasciò prole , avendo istituita erede la moglie Laura in usufrutto , ed in proprietà il fratello Domenico . Questi ebbe a figlio un Francesco pur esso pittore , il quale sposò Girolama figlia di Gio . Andrea Giraldoni , o Girardoni buono scultore esercente in Ferrara , del quale faccio non breve cenno all ' Articolo intorno ad alcuni scultori e lapicidi - Consignatio illorum de Costis Mag . Jo . Andreæ , et Magistro Mapheo de Girardonibus ecc . Cum providus vir Mag . Michael fq . Mag . Jo . Baptista de Costis , pictor , et civis Ferrariæ , tempore contracti matrimonii inter Franciscum Costam ejus nepotem , et Dnam Hieronymam filiam inf . Magistri Joannis Andreæ , habuit , et recepit in dotem et pro dote ipsius dna Hieronymæ libras septingentas ecc . Atto di restituzione di dote in data del 16 Febbrajo 1527 a rogito di Giammaria Agolanti , dal quale apparisce che il matrimonio ebbe luogo nel 1525 , per cui la unione durò per soli due anni .

 Gilardoni - varij Si videro chiamati , per poca esattezza de ' notaj , anche Ghiraldoni , Ziraldoni , e Giraldoni . Nel 1520 Gio . Andrea fece a sè e suoi eredi il sepolcro ( parte preced . a pag . 662 ) . Convien dire ch ' egli e il suo fratello Maffeo fossero di molto merito , perchè dal proprio Principe furono tenuti in molta estimazione , ed investiti di certo terreno sul Po fuori la Porta San Paolo , affinchè si fermassero in Ferrara ad esercitarvi la loro arte . Ciò fu nel 1507 , con atto di Bartolomeo Codegori del di 8 Aprile , nel quale rogito sta una lettera originale del Duca Alfonso I del 6 detto mese , in cui si dice che già quel terreno era stato loro concesso dal padre suo , cioè da Ercole I , per lo che si vede ch ' erano già qui dimoranti per lo meno da due anni . In quell ' atto si trova scritto Investivit egregium sculptorem magistrum Joannem Andream filium quondam Joannis de Gilardonis de Lacu Comi , civem Ferrariæ , præsentem , et recipientem pro se , et nomine et vice Maphei ejus fratris etc. Ecco la copia della lettera Ducale

Mantova e Urbino: Isabella d'Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche

著者
Alessandro Luzio
出版
1893年
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(1) Ecco una nuova relazione dell'audace assassinio, con cui Cesare Borgia cercò sciogliere la sorella Lucrezia dal connubio con Alfonso di Bisceglie, contratto il 20 giugno 1498. Il Calmeta aggiunge qualche particolare nuovo al fatto conosciuto per molte narrazioni sincrone. Ciò che seguì in appresso tutti lo sanno. Alfonso che guariva, fu fatto strozzare dal Valentino nel suo letto il 18 agosto 1500. Il giorno dopo G. Lucido Cattaneo scriveva da Roma al Marchese di Mantova :

Stava Don Alphonso ducha di Biselia marito de Mª Lucretia assai bene ; pensava el Re de Napoli levarlo, ma essendo redutto quando fu ferito in certa torre presso le camere del Papa non potea facilmente levarsi. Solo el medico mandato da Napoli lo medicava, e la molie li facea lo suo mangiare aciò non fusse atosichato. Al fine heri nanti completorio morite, et sono stà presi alcuni neapolitani de li soi et de la molie, imputati che volevano amazare lo Ducha Valentino in sua casa e camera. El Papa ne sta di malavolia, si per natura del caso e per lo Re di Napoli, si perchè la filiola se despera.

Vedi GREGOROVIUS, Lucrezia, pp. 141-43 e Storia di Roma, VII, p. 520 e segg.; YRIARTE, César Borgia, I, 226 e segg., e pei confronti delle fonti anche VILLARI, Machiavelli, I, 281, n.

La basilica di S. Lorenzo di Firenze e la famiglia Ginori

著者
Piero Ginori Conti
出版
1940年
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 E a proposito di funerali è da registrare la serie di quelli di molte persone di casa Medici che in poco tempo si seguirono nella tomba : nel 1561 della figlia del duca Cosimo I , Lucrezia, moglie di Alfonso II duca di Ferrara ; nel 1562 di altri due figli di Cosimo : il cardinale Giovanni, e don Garzia, sulla morte dei quali si favoleggiò malignamente dai calunniatori di casa Medici. Ai due giovani principi tenne dietro, l'anno stesso, la madre, Eleonora di Toledo. Nel 1576 fu la volta di due gentildonne spente nello stesso mese di luglio in due quasi contemporanee tragedie, queste, purtroppo, autentiche. L'una fu la bella Eleonora di Toledo, nipote della omonima defunta granduchessa, sposa di don Pietro dei Medici figliuolo minore di Cosimo, pugnalata dal marito che ne aveva scoperto la tresca col cavaliere Bernardino Antinori , e non già col cav. Francesco di Iacopo Ginori, come dice il Moreni ( 1) .

  ( 1 ) To. I , p. 317. Il Moreni prese abbaglio fra Bernardino Antinori , il vero amante di donna Eleonora, e Francesco Ginori ucciso da questo per una contesa avuta con lui nel gioco del calcio (V. L. PASSERINI, Storia della famiglia Ginori, p . 61 ) .

L'altra vittima di amore fu Isabella, figlia pur essa di Cosimo, donna che univa ai pregi della bellezza e della grazia quelli della cultura, uccisa per un'analoga ragione dal proprio marito Giordano Orsini duca di Bracciano.

Trattato del governo della famiglia d'Agnolo Pandolfini colla vita del medesimo scritta da Vespasiano da Bisticci

著者
ヴェスパシアーノ・ダ・ビスティッチ
出版
1802年
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 Per quello finalmente , che riguarda l'Autore di questo Trattato , è cosa indubitata , che Agnolo Pandolfini fu uno de ' più famosi e riputati cittadini , che abbia prodotto la nostra Città di Firenze , non tanto per la chiarezza , e nobiltà della Famiglia , da cui trasse il nascimento , quanto ancora per la prudenza , pel senno , per la sublimità de'suoi talenti , e per la grandezza delle cose da esso adoperate a benefizio della sua patria , de'suoi cittadini , e della sua famiglia medesima . Delle quali cose volendo noi con alcuna manifesta pruova certificare i lettori , null'altro faremo , che addurne in questo luogo la testimonianza d'alcuno scrittore , e spezialmente quella del senator Filippo Pandolfini uno de' discendenti per diritta linea dal nostro Agnolo , il quale essendo stato possessore non meno delle facoltà , che delle virtù del medesimo , lo studio delle più nobili discipline unt ad una maravigliosa destrezza , e ad un raro talento , mercè delle quali cose i pubblici impieghi dalla avvedutezza del suo principe alla sua cura commessi con somma riputazione, e fama esercito . Questi fra gli altri studj compilò una bella ed ordinata raccolta di memorie appartenenti alla sua nobilissima famiglia , la qual raccolta scritta in penna presentemente si conserva nella libreria del magnifico palazzo oggi posseduto dal senator Camillo Pandolfini suo bisnipote , fabbricato da ' fondamenti nella via di san Gallo di questa nostra città di Firenze da Giannozzo Pandolfini vescovo di Troia col disegno del famosissimo Raffaello da Urbino . In questa raccolta il predetto senator Filippo, dopo di aver ragionato della origine della sua famiglia , e de' più antichi, e celebri cittadini , che in essa fiorirono, venendo al nostro Agnolo , così di esso favella : Agnolo seguitando l'esempio di Filippo suo padre nel servire con la persona, e con le proprie sostanze la sua Repubblica, s'avanzò tant'oltre , che fu reputato uno de ' maggiori, e de ' più autorevoli cittadini , che ella avesse in que' tempi . Perchè oltre all' aver seduto al governo di essa appresso a molt'altri magistrati l'anno 1397 e 1408 de ' Signori , e tre volte Gonfalonier di giustizia , cioè nel 1414, 1420. e 1431, fu adoperato in più, e diverse ambascerie per importantissimi negozj , come fu quella dell'anno 1411 a Ladislao Re di Napoli , che aveva con le guerre tanto tempo travagliato i Fiorentini , nella quale egli con infinita sua gloria conchiuse la pace con detto Re contro l'espettazione , e forse volontà di molti , che la dissuadevano , e con tanto vantaggio della nostra Repubblica , essendocchè con essa si fece l'acquisto della città e del territorio di Cortona , avendo Agnolo con la sua de ...

 Carlo tre volte risedè de' Signori , cioè nel 1418, nel 1431 , e nel 1436. Tre volte rimente fu innalzato al supremo grado di Gonfaloniere di giustizia cioè negli anni 1461, 1466, e 1470. Varie importantissime ambascerie sostenne , fra le quali quella di Ferrara a Federigo III Imperadore , dal qual principe venuto poscia a Firenze fu fatto cavaliere a spron d'oro , milizia in que' tempi riputatissima. Nel 1454 fu mandato ambasciadore a Papa Niccolò V, e nel 1464 a Paolo II. Da Giovanna de' Giugni sua moglie ebbe molti figliuoli , tra'quali Filippo e Domenico interlocutori del presente dialogo e quest'ultimo fu anch'esso de' Signori negli anni 1465 e 1471 , e due volte Gonfaloniere di giustizia una nel 1476 , e l'altra nel 1492, e poscia fu uno de'dodici ambasciadori mandati l'anno 1480 dalla Repubblica Fiorentina al Pontefice Sisto IV.
 Giannozzo Paltro figliuolo d'Agnolo nel presente dialogo introdotto a favellare fu uomo singolarissimo e di credito così grande , che in moltissime magistrature , prefetture e ambascerie frequentemente fu impiegato , nelle quali ottimamente corrispose all'espettativa e fiducia , che di lui ebbe la sua Repubblica . Negli anni 1440 e 1448 fu de'Signori . Nel 1450 andò ambasciadore ad Alfonso d'Aragona Re di Napoli , da cui ebbe anch'esso l'onorevolissimo grado di cavaliere a spron d'oro . Nel 1452 fu commissario generale contro le genti del medesimo Re Alfonso e del principe Ferdinando suo figlio , che avevano assalito la Toscana , dalla quale col suo valore e colla sua avvedutezza le fece disloggiare . Nel 1454 fu mandato ambasciadore alla Repubblica di Venezia per confermare la pace di Lodi . Nel 1455′ insieme coll'arcivescovo sant'Antonino andò ambasciadoré a Callisto III per rallegrarsi della sua esaltazione al pontificato . Fu anche commissario a Livorno , a Volterra, ed a Pistoja ne'quali impieghi sempre utilissima riuscì alla Repubblica l'opera sua . Mori nel 1456 come si vede dalla inscrizione scolpita sopra al suo sepolcro nella badia della nostra città , nella qual chiesa è la magnifica cappella di questa famiglia , e le sue esequie furono onorate con una elegantissima orazione Latina del celebre Giannozzo Manetti virtuosissimo nostro concittadino , la quale va ancora attorno scritta a penna . Dalla Giovanna di Bartolommeo Valori sua moglie ebbe molti figli , il maggiore de'quali fu Pandolfo anch'esso interlocutore nel presente dialogo , e nulla dal senno e dal valore de suoi antenati degenerante, onde conseguì il supremo grado di Gonfaloniere in vita per anche del padre , cioè nel 1454, e di nuovo poscia il sostenne anche nel 1459. Fu poscia dalla Fiorentina Repubblica mandato a risedere in qualità di suo ambasciadore alla corte del Re Ferdinando di Napoli, nel quale impiego si mort in età di anni 44 l'anno 1465, e fu sepolto nella chiesa di santa Maria della Nuova di Napoli con un onorevolissimo epitaffio , che ancor di presente vi si conserva , benchè abbreviato e restaurato nel 1600. La sua vita fu scritta dal soprannominato Vespasiano , lo che abbiamo anche più addietro notato . Gli altri suoi fratelli furono Pier Filippo celebre per aver sostenute 17 ambascerie a diversi principi in nome della sua Repubblica oltre la dignità di Gonfaloniere e molte altre magistrature ; il cardinal Niccolò vescovo di Pistoja , del quale sopra abbiamo ragionato , ed altri , de' quali lungo sarebbe ed alieno dal nostro proposito il fare in questo luogo spezial menzione, sendo nostra intenzione di ristringerci a quelle persone unicamente , che da Agnolo nel presente dialogo furono a favellare introdotte.
 Queste sono tutte quelle cose , delle quali ne è paruto bene rendere informati i lettori primacchè alla lettura di questo elegantissimo ed utilissimo trattato s' introducano. Ci giova sperare , che essi amorevolmente e con animo acconcio a gradire e scusare la debolezza nostra anzichè inclinato a morderci e censurarci accolgano queste nostre fatiche , le quali di buona voglia impieghiamo in render pubbliche le più vaghe ed importanti scritture di quei felici spiriti , che al buon tempo fiorirono, e che il nostro vaghissimo idioma al pari degli altri più illustri linguaggi celebre e rinomato renderono .

Sommario storico delle famiglie celebri toscane compilato da Demostene Tiribilli-Giuliani di Pisa

著者
Demostene Tiribilli-Giuliani di Pisa
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 AGNOLO DI FILIPPO nato intorno al 1360 fu uomo da recarsi in esempio di prudenza ed integrità nel reggimento civile, di senno e bontà nel domestico ordine. L'assiduità negli studi allorché giovine ed avendo sortito da natura un intelletto assai chiaro e profondo, poté sentir molto innanzi nella naturale e morale filosofia, onde nelle domestiche mura fu savio ed amoroso padre, e nella repubblica uomo di gran seguito e autorità. Fu in benemerenza dei suoi servigi decorato della dignità equestre. Fra le molte ambascerie che per la patria sostenne, meritano speciale menzione quella a Ladislao re di Napoli nel 1411 per trattare la pace, e l'altra a Sigismondo Imperatore nel 1433 per placare l'animo di quel monarca irritato coi Fiorentini che gli avevano denegato il passo per il loro territorio nel portarsi a Roma per cingervi il diadema Imperiale: Egli con la sua facondia e con offerte di danaro riuscì a stornare quella calamità. Fu inoltre dottissimo e talmente elegante dicitore che a lui si attribuisce il famoso scritto intitolato il trattato del Governo della famiglia. Della sua politica diede poi chiaro saggio nella cacciata di Cosimo de' Medici il Vecchio, dicendo esser quello un passo troppo arrischiato dei suoi avversari i quali con quella persecuzione, anziché deprimerlo, gli appianavano la via a salire in maggior grandezza, ed il fatto mostrò quanto fosse giusto il suo antivedere. Ond'egli, che non si era voluto mischiare in quella fazione, alla ritornata di Cosimo, non patì alcun danno nella persona e negli averi, ed anzi anche dopo quel tempo ebbe il gonfalone di giustizia, dignità che aveva rivestito nei precedenti anni 1414, 1420 e 1431. E qui cade molto in proposito la considerazione del Carniani (sec. della letter. ital.) che «Quel grand'Uomo di Macchiavelli osservò quanto fosse impolitico il partito adottato dai nemici di Cosimo – ma ciò fece dopo l'evento – Maggiore ammirazione merita il Pandolfini, che in anticipazione presagì la fallacia di quel malavveduto divisamento» – Fu glorioso ancora per la prole che ottenne da Ginevra Strozzi in Carlo e Giannozzo ambedue operosi ed illustri cittadini. Morì nel 1446 dell'età anni 86 in una sua villa ove erasi ritirato per godere della quiete domestica, ricreandosi nel consorzio di dotti ed amorevoli amici. Carlo fu deputato oratore a Ferrara a Federico III Imperatore nel 1451 e dalle mani di quel Monarca ottenne poi solennemente in Firenze il Cingolo militare. Nel 1454 andò Ambasciatore a Niccolò V, nel 1464 a Paolo II per la sua esaltazione, e nel 1480 a Sisto IV per ottenere assoluzione dalle censure fulminate contro i Fiorentini in occasione della congiura dei Pazzi. Fu Padre di Domenico che fu Gonfaloniere nel 1476 e nel 1492. Nipote era quel M. Zanobi che generosamente soccorse di danaro la repubblica nell'agonia della sua libertà. Tutta la discendenza di M. Carlo mancò nel 1703 per morte del Capitano Piero di Niccolò.

La Rosa d'oro Pontificia

著者
Carlo Cartari
出版
1681年
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 Dalle stesse Notizie date dal Migliore, estratte però dall'antico Manoscritto di Paolo Petribuoni, si ha, che il medesimo Pontefice donasse la Rosa al Conte d'Urbino; così avendone lasciato memoria. Anno 1419.21. Febbraio vennero in Firenze Braccio Signore di Perugia, e il Signore di Foligno con duecento cavalli; e anche vi venne il Conte Guido d'Urbino, per far pace col detto Braccio, al quale a di 17. Marzo (1420) Papa Martino diede una Rosa. Ciò si conferma da Monsignor Contelori, che dopo le parole, da me poco fa riferite, del Dono fatto al Pubblico Fiorentino, immediatamente soggiunge. Alteram vero Rosam die 17. Marty 1420. Comiti Urbini in Curia presenti largitus est. Né se ne tralasciò il Racconto da Scipione Ammirato a car. 177. avendo egli scritto, che da Martino V. fu l'Anno MCCCCXX. qualificato con simile Dono il Conte Guido d'Urbino. Andato Braccio con le genti a Bologna; ed essendo in Firenze già stato tratto Gonfaloniere di Giustizia Agnolo Pandolfini, il Papa donò la Rosa al Conte Guido d'Urbino, il quale trattenuto dai Fiorentini in Casa di Matteo Scolari con grande magnificenza, si partì poi non meno obbligato alla Repubblica, che al Papa.

 Porrò si ille Princeps tantae sit conditionis, ut infideli Cardinalium sedeat inter Divina, aut in Consistorio publico; tunc etiam, maximè jubente Pontifice, a toto Senatu Cardinalium conducitur ad eas, ut alias, medius inter priores duos Diaconos Cardinales, ut alias, ipsam Rosam indefinenter dextera sua gestans; praesertim si Princeps sit Rex, aut Regis Primogenitus, quem a Senatu Cardinalium conduci debere nulla dubitatio est. Minores autem supradictis quanquam ab universo Senatu Cardinalium conduci non deberent, nisi per aliquos passus extra Palatium Pontificale vel etiam usque ad ostium Palatii praedicti; tamen ab Alexandro Sexto consuetudo inolevit, ut indifferenter omnes in sedilibus Cardinalium sedentes, quin et aliqui nonsidentes, ab eodem Senatu Cardinalium conducantur; prout anno XCVI. Marchionem Mantuanum Senatus idem Cardinalium de Camera Papa, usque ad Cameram (forse Cancellariam) Apostolicam, ubi ipse Marchia hospitabatur, conduxerunt. Deinde anno MD. Caesar Borgia, qui antea Cardinalis Valentinus fuerat, et mox Dux Valentinus, et Capitaneus Ecclesia, sedens in Cardinalium sedilibus, ab eodem Senatu usque ad aedes suas in Urbe positas fuit conductus. Licet de Marchione Brandenburgensi legatur, quod anno LIII. Sub Nicolao V. fuit ferens Rosam a Collegio conductus; non quidem ex ea quod sit Elector Imperii, sed quia ille Marchio tempore ultimi schismatis ita fidelis Romana Ecclesia fuerit, ut a Collegio Cardinalium meruerit honorari, et conduci a Cardinalibus, id ultro, et sponte volentibus. Caeterum si Princeps ille, cui donatur Rosa, sedeat quidem in sedilibus Cardinalium, sed ultimus, et sub omnibus Diaconis, ut est aliquis Tertio, aut Quartogenitus Regis, aut Dux aliquis aetate iunior, non tamen de maximis Ducibus; tunc non ab universo Collegio conducitur, sed ab illis duobus tantum, qui cum in primo Urbis ingressu venientem susceperunt, ducentes cum inter se medium ad Pontificis conspectum; vel conduci poterit a duobus ultimis Diaconis Cardinalibus.
 Si vero sit magnus Dominus, non tamen talis, ac tantus, quod in sedili Cardinalium sedeat, tunc regulariter Pontifex illi Rosam donaturus non consultat cum Cardinalibus, priusquam ad se parandum exeat; sed id facit in fine Missa reversus: quo casu Pontifex Rosam portat, et reportat: quam demum, cum in Aula Paramentis est, priusquam Paramentis exuatur, cum circumstantibus Cardinalibus colloquitur, consultans: et demum ex libro legens, ut supra stans ex consuetudine, licet congruentius Pontifex in sede gestatoria sedere apud lectum deberet: et sic sedens, Rosamque tenens, dat illam Principi, qui demum, exuto Pontifice, non a Collegio, nec ab aliquo sex Cardinalibus, sed solum a Praelatis, et Familiaribus Palatinis, ac Oratoribus, Nobilibusque Curiae, aliisque conducitur usque ad proprias aedes, medius inter duos primos omnium excellentiores; sicut Ducem Urbini, Ducem Sora, ac Praefectum Urbis, et huiusmodi; etiam si ipse Princeps alias sit minor illis in statu, et praecellentia: Sin autem, illis absentibus, inter duos primos Praelatos Palatinos medius equitabit. Si tamen Pontifex voluerit eundem magis honorare, et supra consuetudinem, superque regulam facere; tunc in Capella, consultatis Cardinalibus, ibi Rosam dabit, et faciet illum a Senatu honorari, ut dictum est de Marchione Mantuano.

ALESSANDRO VI.

 Sei Doni leggo haver fatto questo Pontefice della Rosa d'oro: cioè alla Regina di Spagna; alla Chiesa della Santissima Vergine di Halla in Fiandra; ad Agostino Barbarigo Doge di Venezia; a Francesco Marchese di Mantova; a Consalvo gran Guerriero; ed al Duca Valentino Borgia.
 Del primo così ha scritto il Graffi nel più volte allegato Cerimoniale manoscritto: prout ordinavit Alexander VI anno XC. (cioè MCCCCXC.) qui dedit eam non Regis Oratori, sed specialiter Regina Hispaniarum Oratori pro Regina solum, et non pro Rege.
 Del secondo il Torrigij, delle Grotte Vaticane, cap. 472. Alejandro Sesto alla Chiesa della Madonna di Halla in Fiandra.
 Del terzo parla il Vittorelli nell'Aggiunta al Ciaccone nella Vita di Alessandro III, dove registra alcuni doni della Rosa, fatti da diversi Pontefici. Alexander VI Rosam anno MCCCCXCV consecratam Duci item Venetiarum mittere decrevit. E lo conferma Celso Falcone nelle Memorie Historiche della Chiesa Bolognese lib. 6, cap. 612. Alessandro Sesto ad Agostino Barbarigo Doge di Venezia.
 Il quarto viene espresso dal Loschi nei Compendi Historici cap. 330, con queste parole, intendendo di Francesco di questo nome primo, Marchese di Mantova, figlio di Federigo, e di Margherita di Baviera. Datosi all'esercizio dell'armi, a molti Principi d'Europa servi con titoli, e grandi onori, combatté valorosamente con impareggiabile gloria del nome Italiano contro Francesi al Taro. Ebbe dal Papa in testimonianza di virtù, e merito la Rosa d'oro. Militò per la Santa Chiesa, per l'Imperio, Francesi, Veneziani, e Duchi di Milano. Dissi, Marchese di Mantova, poiché Federigo suo figliuolo fu l'anno MDXXX. honorato dall'Imperador Carlo Quinto del titolo di Duca. E benché non esprima il Loschi, da qual Pontefice venisse donata a Francesco la Rosa d'oro, con tutto ciò dalle parole del Graffi, da me registrate nel Capitolo precedente, parlando egli del Pontificato di Alessandro VI, parmi di poter qui fondatamente collocar questo fatto, e benché dica solamente anno XCVI, deve si però intendersi MCCCCXCVI, nel qual anno viveva il predetto Pontefice.
 Del quinto fa menzione il Rainaldi nell'Istoria Ecclesiastica l'anno MCCCCXCVII num. 2. Alexander Consaluum Ferdinandum Regis Hispaniarum, Ducem Brennissimam excitavit, cum vim Gallicam expavesceret, ne eo successu elata, irrueret in Ditionem Ecclesiasticam &c. Consaluum autem ipsum maximis affecit honoribus, Rosaque aurea, Precatione Pontificia sacrata, donavit. Di questo stesso Dono fa parimenti menzione, Francesco Belcario in Commentariis rerum Gallicarum,, lib. 7, cap. 209. Inde Consaluus centum gravis, ducentis levis armatura Equitibus; mille quingentis peditibus comitantibus, triumphali quadam pompa Romam init, et ad Alexandrum perductus, in publico Cardinalium Catum Rosam, quam Romani Pontifices honoris ergo Viris Illustribus dare, aut mittere solent accepit; mox ad Federicum, Soram, caterasque Ioannis Roverii Praefecti Urbis Oppida invadentem, rediit. Ed il Guicciardino nell'Historia d'Italia lib. 3, cap. 88. Havuta Ostia, Consalus quasi trionfante entrò in Roma, con cento buomini d'arme, duecento cavalli leggeri, e mille cinquecento fanti, tutti soldati Spagnoli, menandosi innanzi il Castellano come prigione, il quale poco poi liberò; e incontrato da molti Prelati, dalla famiglia del Pontefice, e di tutti i Cardinali, concorrendo tutto il Popolo, e tutta la Corte, cupidissimi di vedere un Capitano, il nome del quale risuonava già chiarissimamente per tutta Italia, fu condotto al Papa residente in Concistoro, il quale, ricevutolo con grandissimo onore, gli donò la Rosa, solita a donarsi ogni anno dai Pontefici in testimonianza del suo valore.
 Del sesto Dono della Rosa finalmente parla il Vittorelli nell'Historia de' Giubilei cap. 338. Diede pubblicamente in Cappella Pontificia (l'Anno MD.) la Rosa d'oro, consacrata la quarta Domenica di Quaresima, al Duca Valentino, il quale a 27 di Febbraio venuto a Roma, era stato incontrato dalle famiglie del Pontefice, dei Cardinali, e dagli Oratori dei Principi, e da altri con pompa nobile. Di questo stesso Dono ho riferito nel Capitolo 5 ciò che ha scritto il Graffi.

Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre

著者
Eugenio Gamurrini
出版
1685年
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 Filippo figliuolo del sopradetto ser Gio: fu uomo di grand'ingegno, che sempre ben fondò la nobiltà di questa presente famiglia, perché nobilitas sine divitiis fordeficit, e però datosi alla mercatura se ne passò nel Regno di Napoli, dove si lesse captare la Regina Giovanna, che lo stimava a maggior segno, e trattenutosi ivi per molti anni, ritornò a Firenze ricchissimo, come dicono di più di centocinquantamila fiorini d'oro. Con la quale ricchezza si sottopose alle gravità della sua Repubblica, sopportandole con tanta prontezza e liberalità, che si trovò essere le sue prestanze delle quattro Poste maggiori della Città, e i crediti che si trovavano sotto suo nome in sul monte del Comune di Firenze assegnatili per ricompensa delle gravità patite con i suoi interessi furono da ottantamila scudi come ancora da' Libri di detto Monte si vede; onde ebbe forse occasione di cantare il sopracitato Verino di questa famiglia quel Verso.
 Edificò similmente oltre all'acquisto d'altri beni un magnifico Palazzo al Ponte a Signa dalla parte d'Oltrarno, incorporando in esso quell'antica Torre, che soprastava al detto Ponte, concedutagli dal Comune di Firenze, forse per essere alquanto disfatta, o non più necessaria alla difesa del Ponte. Fu questo Palazzo fabbricato con tanta onorevolezza, e capacità, e posto in luogo sì opportuno per essere sulla strada, che va da Firenze a Pisa, ed altri luoghi, che lo rese degno, che dentro vi alloggiassero in diversi tempi ed occasioni più, e diversi Principi, ed altri gran Personaggi, come Papa Eugenio Quarto, quando l'anno 1434, fuggitosi da Roma trasvestitosi del nostro abito Monacale per via di Mare con una Galeazza Fiorentina si ricoverò come in Porto sicuro a Firenze, & oltre a questo Renato d'Angiò Re di Napoli, quando venne a Firenze a trovare il medesimo Papa Eugenio l'anno 1442, e medesimamente il Conte Francesco Sforza poi Duca di Milano l'anno 1435, e l'anno 1439 il Marchese Niccolò da Este venendo a Firenze da quelle parti. E ultimamente vi alloggiò l'anno 1494 il Re di Francia Carlo Ottavo venendo da Pisa, nel passaggio che egli fece per l'acquisto del Regno di Napoli; ma perché in quel tempo era nuovamente edificato l'altro Palazzo, o Villa da Battista di Pandolfo Pandolfini della linea del vivente Senatore Roberto con non mediocre magnificenza, dicono che qui vi alloggiasse la Persona del Re, fermandosi di quell'altro per la sua Corte. Con queste facoltà e ricchezze esercitandosi Filippo nelle cure della sua Repubblica l'anno 1381 fu de' Signori, e del 1392 fu Gonfaloniere di Giustizia; come ancora dell'anno 1409, nel qual tempo o tre o quattro anni dopo si morì, avendo vissuto (come afferma m. Giannozzo Manetti nell'Orazione funerale di m. Giannozzo Pandolfini suo Nipote) cento anni forniti, o poco meno; e furono le sue esequie per pubblico Decreto onorate, & accompagnate con l'Insegne della Repubblica.
 La sua Arme fu di tre Pesci d'Oro in Campo azzurro, come se ne sono vedute in alcuni luoghi del sopraddetto Palazzo, aggiunte a quella de' Boscoli, come si vedono ancora in questa sua sepoltura della nostra Badia di Firenze, la quale era nel mezzo del pavimento di questa Chiesa fatta tutta di marmo scolpitoci dentro il detto Filippo a giacere con il mantello, e cappuccio alla civile usanza di quei tempi, posto quale sotto un tabernacolo finto con colonne all'antica con due Arme piccole scolpite di qua e di là dal suddetto Tabernacolo tutta di mezzo rilievo, e molto bene intagliata con la seguente iscrizione attorno di lettere Tedesche, come si usavano in quei tempi. MCCCL. XXXIII. DEL MESE DI GENNAIO SI FECE QUESTO SEPOLCRO PER FILIPPO DI SER GIO: PANDOLFINI E PER I SUOI DESCENDENTI. Questo in oggi si vede nel Chiostro degli Aranci, nel quale si sono poste tutte le memorie antiche, che erano nel pavimento di questa Chiesa per meglio conservarle. Si crede per molti riscontri, che alcuni anni dopo, essendo ancora vivo, aggiungesse alla sua Arme il Rastrello Rosso con i tre Gigli d'oro, Insegna della Casa d'Angiò, come si usava frequentemente in quei tempi per mostrare devozione e gratitudine verso quella Casa per i tanti favori ricevuti da essa.

 Agnolo Figliuolo di Filippo, seguendo l'esempio del suo gran genitore nel servire con la persona, e con le proprie sostanze la sua Repubblica, s'avanzò tanto, che fu reputato uno dei maggiori, e dei più autorevoli cittadini, che essa avesse in quei tempi. Perché oltre all'aver seduto al Governo di essa, appresoa molti altri Magistrati l'anno 1397, e 1408 dei Signori, e tre volte Gonfaloniere di Giustizia, cioè nel 1414, 1420, e 1431, fu adoperato in più, e diverse Ambascerie per importantissimi negozi, e particolarmente l'infrascritte, cioè quella che portò l'anno 1402 al Governatore di Genova, come si vede dal Libro delle Lettere di quell'anno, e perché detto Agnolo Pandolfini seppe cattivarsi tanto quel: Governatore, che li fece tutti quegli onori, che si potesse mai fare ad uno Ambasciatore, e però la Repubblica Fiorentina scrisse al suddetto Governatore una lettera di ringraziamento. Del 1409 fu inviato Ambasciatore a Siena, e del 1411 a Ladislao Re di Napoli, che aveva con le guerre tanto tempo travagliato i Fiorentini, nella quale egli con infinita sua gloria concluse la Pace con detto Re contro l'aspettazione, e forse contro la volontà di molti che la dissuadevano con tanto vantaggio di questa Repubblica, essendo che con essa fece l'acquisto della Città, e Territorio di Cortona, avendo Agnolo con la sua destrezza indotto il Re, che n'era padrone, a cederla alla Repubblica in contraccambio di rappresaglie fatte nel tempo della Guerra a Mercanti Fiorentini nei suoi Porti, ai quali Mercanti poi la Repubblica pienamente soddisfece. L'anno 1416 Agnolo suddetto, fu mandato Ambasciatore con Piero di messer Luigi Guicciardini, a Pandolfo Malatesti, e dopo a Malatesta Signore di Pesaro, con i quali negoziarono la liberazione di Filippo di Donato dell'Antella, che era tenuto prigione da Braccio Fortebracci, come uomo d'Arme dei Malatesti. Del 1419 fu pure egli spedito Ambasciatore con Antonio di messer Nicolò da Rabatta a Braccio Fortebracci per disporlo a fare la pace con Guid'Antonio di Montefeltro, a cui aveva tolto la Città d'Assisi, e altre Terre, e tentato la Città di Gubbio; ed essendo l'uno e l'altro dei sopraddetti Signori raccomandati alla Repubblica Fiorentina, non poteva questa comportare questa disunione, e però si fece dal sopraddetto Agnolo ogni sforzo per riunire con la restituzione i suddetti Signori. Essendo ancora guerra gravissima tra la Repubblica Fiorentina con Filippo Maria Visconti Duca di Milano l'anno 1425, fu mandato il nostro Agnolo con messer Rinaldo degli Albizi Ambasciatore al Papa Martino V. per praticare la pace da farsi mediante l'autorità Pontificia col predetto Duca di Milano. L'anno poi 1428, il nostro Agnolo fu mandato Ambasciatore al Papa insieme con l'Ambasciatore dei Veneziani per rappresentare a Sua Santità, che essendosi stato detto, che Sua Beatitudine vorrebbe, che i Fiorentini e la Signoria di Venezia facessero con la Chiesa Lega a difesa degli stati Comuni, avendo i Fiorentini sopra questo dato parte alla Signoria di Venezia, la quale ha risoluto questa dimandare con i Fiorentini Ambasciatori a Roma per sapere sopra ciò la mente, e volontà di Sua Santità, che con il medesimo Ambasciatore di Venezia parlia Sua Beatitudine per conto di Bologna, e vedere di ridurla ad unirla al Papa. Che da sé poi operi col Papa, che si faccia restituire quelle Castella, che furono tolte a questa Signoria in tempo della guerra, e perché i Nemici non le poterono tenere, la lasciarono in mano del Legato Governatore di Sua Santità in Romagna, le quali Castella si possedevano avanti la guerra dalla Repubblica Fiorentina. Che faccia restituire Castelbenedetto a messer Giovanni Gambacorti, raccomandato di questa Repubblica, e Cittadino statoli tolto in questa Guerra. Che favorisca, e aiuti gli Ambasciatori della Città di Castello, che erano in Roma per trattare accordo con il Papa; e altro, come nel Libro delle Istruzioni di quell'anno. Nel 1433 fu spedito Ambasciatore a Sigismondo Imperatore, che dimorava a Siena per impetrare da lui la Pace, essendo egli gravemente sdegnato con la Repubblica, per avergli denegato il passo per le sue Terre nell'andare a Roma a coronarsi, onde per la prudente negoziazione d'Agnolo ne cavò la Repubblica pienamente l'intento suo. In fine fu gran Consultore della sua Repubblica essendo continuamente richiesto a consigliare le cose più importanti, ed egli con prudentissimo giudizio, e rettitudine d'animo s'ingegnava di consigliare le cose più utili al pubblico bene, lasciando da parte gli interessi privati, e le affezioni delle parti, ed essendo inclinantissimo alla quiete universale, dissuase con efficacissime ragioni l'impresa di Lucca l'anno 1429, contro l'opinione quasi della maggior parte degli umori inquieti, la quale fu per essere poi la rovina della Repubblica Fiorentina. Dissuase ancora vedendo il pericolo, che ne poteva succedere la cacciata di Cosimo de' Medici della Città di Firenze, sconsigliando Palla Strozzi, che era suo Parente, dall'uscir fuori armato, e secondare la sollevazione di messer Rinaldo degli Albizi, e fu favorevole al ritorno di Cosimo l'anno 1434, dalle quali opere conoscendo Cosimo la saggezza d'Agnolo, l'ebbe sempre in gran venerazione, consigliandosi sovente con lui. Dopo il qual tempo, afflitto per il confino di messer Palla Strozzi suo caro Parente, e trovandosi di età grave, si ritirò dalle faccende pubbliche, e lasciatele tutte a Carlo, e a Giannozzo suoi figliuoli già grandi, a'quali aveva già dato moglie, e vedutane numerosa prole, si diede alla vita quieta, e agli studi della Filosofia, e andato ad abitare nella sua Villa del Ponte a Signa, o di Gangalandi, lasciatagli dal Padre, vi dimorò anni 12, studiando, e raccettando in essa uomini virtuosi, e facendo cortesia a tutti i forestieri, che vi passavano, avendo la Casa sempre provveduta d'ogni cosa necessaria al buon governo, e alla onorevolezza, fu nondimeno frequentemente visitato dagli Amici, e dai confidenti, i quali spesso ricorrevano per consiglio alla sua prudenza nei loro bisogni pubblici e privati. Fu uomo dottissimo in tutte le scienze, e particolarmente nelle morali, e di ciò ne fanno indubitata fede il Trattato, che egli compose d'Economia, ovvero del Governo di una famiglia, disteso in Dialogo tra sé, e suoi figliuoli e nipoti, dove son raccolti bellissimi e utilissimi precetti d'Economia con gravi e belle sentenze, e con eloquenza e stile non mediocre. Il qual Trattato, ancorché meritevole per la sua utilità, non è per ancora stato dato alla stampa. E Leon Battista Alberti, conoscendo la sua perfetta dottrina, compose alcuni Dialoghi, dove introduce il medesimo Agnolo, che quasi Maestro, disputa con lui, e con Niccolò de' Medici delle virtù morali, e lo costituisce quasi un Socrate introdotto da Platone. Il medesimo fece Matteo Palmieri, uomo di perfetta letteratura, il quale nel suo Libro della vita Civile si serve della persona d'Agnolo a disputare, e insegnare i precetti politici a Luigi Guicciardini, e a Franco Sacchetti eruditissimi giovani. La sua Arme furono i medesimi tre Pesci col Rastrello, e i tre Gigli della Casa d'Angiò; e perché sempre fu tenuto in Fiorenza autore, e amatore della Pace, e quella molte volte con le sue negoziazioni ottenuta a favore della sua Repubblica, si crede che aggiungesse nella detta Arme una Biscia in sé ravvolta in campo d'oro con una crocetta sopra la Testa, come si vede ancora nella Sepoltura di Bernardo Giugni in questa nostra Badia, il quale anch'egli fu chiamato popolarmente Autore di Pace. Era giunto all'età di 86 anni o più, quando fatto Testamento, e raccomandata la sua Repubblica ad Alessandro degli Alessandri, e ai suoi figliuoli con affettuose parole, passò all'altra vita l'anno 1446 e fu sepolto nella Chiesa di San Martino della sua Villa di Gangalandi, dove 26 anni prima, considerandosi mortale, aveva fatto fabbricare nel mezzo di detta Chiesa una Sepoltura di Marmo con la sua figura in abito civile con il Lucco indosso, e un berrettone in capo all'uso di quei tempi con due Armi piccole di qua, e di là dalle sue spalle, scolpite con dentro i tre Pesci e il Rastrello con i tre Gigli, e di più in un canto dello scudo la sopraddetta Biscia raccolta con la Crocellina in testa con questa Iscrizione ai piedi. S. ANGELI PHILIPPI DE PANDOLFINIS, ET DESCENDENTIVM MCCCCXX.  Le sue esequie si celebrarono pomposamente in Fiorenza con le Insegne della Repubblica, e del suo Consolato, ed altri onori soliti a grandissimi e benemeriti Cittadini. E per essere egli uomo raro nei suoi tempi, si ritenne degno che da uno scrittore di Vespasiano da Bisticci fosse particolarmente descritta la sua vita, come tuttavia si legge dedicata a Monsignore Niccolò Vescovo di Pistoia, che fu poi Cardinale, alla quale vita rimettiamo, chi delle sue lodate azioni fosse di sapere più desideroso.

 M. Carlo dunque generò con Nanna de' Giugni Domenico Bartolomeo Filippo, & un altro Filippo, un altro Domenico, Francesco, m. Giuliano Canonico di questa Metropolitana Chiesa di Fiorenza, Meglio, Angelo, Alessandro, Vittorio, & un altro Bartolomeo, che fu padre di Battista, e di M. Francesco. Bartolomeo del Cavaliere Carlo s'accasò con Lionarda figlia di Guido di Carlo Bonciani, come alla Gabella de Contratti C. 114.94., e Domenico suo fratello s'ammogliò con Francesca figlia di Matteo Morelli Gabella de' Contratti A. 107, a c. 118. e Battista figliuolo di Bartolomeo suddetto s'accasò con Lena figlia di Bernardo d'Antonio di Riccardo degli Alberti Gabella de' Contratti D. 143. a c. 194.

 M. Francesco, che fu Dottore di Legge si vede nel Priorista de' Priori l'anno 1508, & altre volte, generò Bernardo, che alla Gabella de' Contratti si legge Bernardo di m. Francesco di Bartolomeo Pandolfini, e Ginevra figlia di Tommaso Marchi C. 53. Questo generò Carlo padre di Niccola, che ha generato Piero, e Vincenzo viventi.

 M. Giannozzo, fratello di M. Carlo, amendue figli rispettivamente di Agnolo, si ammogliò con Giovanna, figlia di Bartolomeo di Taldo Valori, come alla Gabella de' Contratti B. 72 a c. 52, e generò Pandolfo, Pier Filippo, Priore, Niccolò lò Cardinale e Jacopo, dai quali poi sono viciti tutte quattro le linee viventi di questa famiglia Pandolfina; la loro abitazione fù nella Via de' Pandolfini, incontro alle Case de' Salviati, la quale riusciva nel Borgo degli Albizi, oggi divisa in due Case, l'una è quella dei Bonsi, oggi del Marchese del Borro nel detto Borgo, e l'altra dei Bonciani nella detta Via de' Pandolfini. Era stato necessario dividersi da M. Carlo, suo fratello, al quale rimase la Casa paterna, essendo troppo dilatati tra figli, e nipoti, ed in questo guisa fra di loro, e i loro figli si ripartirono successivamente in cinque, o sei Case per quella vicinanza, di tal maniera che la strada, che va dritta fino al Monastero delle Monache di S. Piero Maggiore, che si chiamava la via di S. Procolo, fu detta poi, e tuttavia si dice per proprio nome, la Via de' Pandolfini, e si narra che più volte furono veduti nel gioco della palla in detta strada, essere trovati ventiquattro tra cugini, e nipoti, tutti dei Pandolfini, parte, a giocare e parte a stare a vedere, e prima diremo del primo nato. Pandolfo, progenitore della Linea del Senatore Roberto si legge alla Gabella de' Contratti B. 100 a c. 59, in questa guisa Pandolfo di Giannozzo di Agnolo di Filippo di Ser Giovanni Pandolfini, e Costanza di Giovanni di Niccolò Guicciardini, sua moglie, generò Angelo, Bartolomeo, Filippo, M. Giannozzo Vescovo di Troia, Bernardo, Francesco Padre di M. Ferrando Vescovo di Troia, Giovanni Ferrando e Battista; questo si legge dei Priori dell'anno 1497, e prese per moglie Caterina, figlia di M. Uberto Strozzi di Mantova, e generò Filippo, il quale accalatosi con Costanza, figlia di Bartolo di Pigello Portinari, come risulta alla Gabella de' Contratti C. 168 a c. 82, generò due Angeli, Giannozzo, Roberto, padre di Pandolfo, Battista, Giovanni Pandolfo, Benedetto, Francesco, Pigello, un altro Giannozzo, e Roberto; questo, ammogliatosi con Laura Sacchetti, generò Filippo Senatore, Carlo Cavaliere Gerosolimitano, Benedetto e Pandolfo, il quale sposò Virginia Tornabuoni e generò Cosimo, Niccolò, il Senatore Roberto vivente, il quale sposò Elisabetta degli Albizi, sorella del Marchese Luca degli Albizi, stato Aio del Principe Ferdinando di Toscana e oggi suo maestro di Camera, ha generato Pandolfo, Filippo e Camillo viventi.

 Pier Filippo, altro figlio del sopradetto M. Giannozzo d'Agnolo, fu questo il progenitore delle altre tre linee viventi. Si accasò per due volte, cioè con Maria di Francesco Neroni e in seconde nozze con Calandra di Agnolo di Bindaccio Riccasoli, con le quali generò nove figli maschi; della prima ebbe Giannozzo, Alessandro, Pandolfo, Francesco e Giovanni, e un altro Giannozzo; e dalla seconda, Lorenzo, Tommaso e Niccolò, tutti sopravviventi a lui eccetto il primo Giannozzo. La sua abitazione fu nel popolo di S. Procolo e di S. Margherita, di fronte al Palazzo dei Pazzi, la quale era già dei Balduini.

 Di Francesco ne nasce la linea di Priore, padre di Pier Filippo di Raimondo, e di Giovanni Battista, quale Francesco si legge dei Signori Priori l'anno 1498 e Gonfalone di giustizia l'anno 1510, e si ammogliò con Ippolita, figlia di Giovanni Nerli, con la quale generò Pier Filippo, M. Giovanni Battista, abate di S. Zeno, Pandolfo, Andrea, Alessandro e Pier Filippo, quest'ultimo generò con Dianora Riccasoli, Giovannozzo, Francesco e Pier Filippo, che fu Cavaliere e Senatore, e generò con Caterina Bartoli, Battista Senatore, Tommaso, Carlo Francesco e Priore, che ammogliatosi con Caterina Barducci, generò Pier Filippo, Raimondo e Giovanni Battista viventi.

 Iacopo ultimo figlio di Giannozzo fu uomo di governo, e in qualche stima tenuto dalla sua Repubblica, il quale risiedé due volte de' Signori, cioè l'anno 1485 e 1494, nel qual anno fu ancora de' Dieci, creati per i motivi della passata di Carlo VIII, Re di Francia, del qual Magistrato fu anche eletto l'anno 1498, nel tempo dei fatti del Savonarola. Questo edificò una sua Villa, ancora suburbana assai nobile fuori della Porta di S. Friano, luogo detto al Lastrico, nella quale si vedono dipinti i Ritratti d'alcuni uomini illustri Fiorentini di mano d'Andrea del Castagno, famoso Pittore in quei tempi, e nominati dal Giovio nei suoi Elogi degli uomini illustri nell'Elogio di m. Farinata degli Uberti. Di questo nostro Cardinale ne scrive l'Abbate Ferdinando Ughelli nella sua Italia Sacra al Tomo terzo dei Vescovi di Pistoia le precise parole.

 Nicolaus Pandolfinus Florentinus Episcopus Pistoriensis anno 1440, e Giannozzo clarissimo Viro Ioannaque Valoria exim: g nobilitatis femina pronatus. Tyrocinium Litterarum Bononiae primum posuit, deinde nobiliter eruditus Metropolitana sua Patria Canonicus effectus est. Tum sub Pio II Camera Apostolicae Clericus. Sub Paulo vero secundo Apostolicus scriptor renuntiatus. Sixtus vero Quartus generosi spiritus princeps, cum Pandulfini virtutem exploratam haberet, illum Nepoti, hoc est, Cardinalis S. Petri ad Vincula curatorem adhibuit, qui postea ad Pontificatum evectus, Iulius secundus fuit. Anno autem 1474 Episcopum Pistoriensen pronuntiavit, de mandato eidem Beneventana Legatione, quam usque ad tempora Innocentii Papae Octavi, prudentiam mei administravit, a quo deinde S. Zenobii Abbatis Pisana auctus est.; Iulius deinde secundus, ubi primum ad Pontificatum ascendit, in intimis Consiliariis habuit Nicolaum, Auditoremque ascivit, illumque Roborer Gentis honoris ergo ascripsit. Defuncto Iulio rediit ad Ecclesiam suam, quam cum probitatis, ac pietatis laude, in ea Seminario fundato, sapientissime administravit. In mensam Episcopalem amplos contulisse censu narratur. Monasterium Monachium S. Nicolai a fundamentis erexit. Archidiaconatum fundavit; ut Pandolfina Gentis in iurisdictione foret. Quae dum Pandolfinus praeclare agit, iam propemodum effossa aetatis a Decimo Leone Pontifice in numerum Cardinalium cooptatur tit. S. Cesari in Palatio. Quae sane dignitas Nicolao potius fuit cohonestamentum Sepulchri quam stabilior aditus ad supremum honorem. Decessit enim ad Viri fatum lacrymantibus Populis anno 1518, die 17 mensis Septembris, delatusque Florentiam sepultus est apud Florentinam Abbatiam in Pandulfiniae Gentis Sacello cum 44 annos Pistoriensem rexisset Ecclesiam, apud quam adeo adhuc Nicolai memoria rediviva est, ut illius Civitatis Antiani, ut vocant, ad illius expiationem animae soleant celebrare inferias.

Genealogia e storia della famiglia Ginori

著者
Luigi Passerini
出版
1876年
引用サイト
Google Books

TAVOLA III.

5. SIMONE.

 Nacque nel 1379. Nel 1413 fu de' Signori ; de' dodici Buonomini nel 1421 e 1439 ; Gonfaloniere di compagnia nel 1414 e 1436. Il dì 20 novembre 1438 fu eletto Ufficiale di mercanzia , e tenendo lo stesso officio nel 1440 , dovè per quello far parte di una balìa ordinata da un parlamento. Nel 1447 sedè tra i Dieci di guardia e balìa per le cose della guerra che sostenevasi dalla repubblica contro Alfonso di Aragona re di Napoli. Conseguì molte preture , e tra queste la potesteria di Vinci nel 1413 , quella di Montepulciano nel 1416, il vicariato di Anghiari nel 1419 , la potesteria della Montagna Fiorentina nel 1430 , il capitanato di Livorno nel 1438, la castellanìa di Piancaldoli nel 1441 , il capitanato di Volterra nel 1444 , la potesteria di Castiglion Fiorentino 1445 , per una seconda volta quella di Montepulciano nel 1447 , il Vicariato di Scarperia e del Mugello nel 1451 . Morì il dì 11 maggio 1453.

7. SIMONE.

 Nacque il dì 21 luglio 1457. Nel 1487 fu de'dodici Buonomini, e Gonfoloniere di compagnia nel 1511. Nel 1491 fu vicario di Firenzuola ; nel 1493 castellano di Arezzo ; potestà di Cascia nel 1499 ; di Barbialla nel 1500 ; di Pistoia nel 1516 ; capitano di Cortona nel 1519 ; nel 1527 di Fivizzano , e di Empoli nel 1536. Nel 1529 fu de' Signori. Fedele alla causa della libertà , ancora nei momenti del pericolo , presed è nel 1529 alla lotteria che la Signoria ordinò farsi dei beni de'ribelli ; il quale fu uno dei tanti espedienti messi in opera nelle critiche circostanze nelle quali trovavasi la città , importando di fare moneta per sostenere le gravi spese che necessitava l'assedio. Morì nel 1542.

9. FRANCESCO.

 Giuocando al calcio col cavaliere Bernardino Antinori, amante riamato di Eleonora da Toledo moglie di don Pietro de' Medici, venne a contesa con lui ; e dalle parole venuto alle mani restò soccombente. Deliberato di vendicarsi , andò a provvedersi di armi, poi si messe in cerca dell'avversario ; ed abbattutosi in lui in Porta Rossa , gli menò a tradimento un colpo di spada alla testa. L'Antinori vistosi affrontato e ferito, messe anch'egli mano alla spada, e la passò due volte attraverso al corpo di Francesco ; il quale cadde immediatamente privo di vita. Accadeva il luttuoso avvenimento la sera del dì 20 febbraio 1576 , stile comune. Fu l'uccisore bandito a Portoferraio , e da questo ne venne la ben nota tragedia che spinse a morte i due miseri amanti.

10. FILIPPO.

 Nato il dì 24 ottobre 1550. Fu vicario della Valdelsa nel 1596 ; potestà del Galluzzo nel 1598; di Castelfranco di sotto nel 1604; vicario di San Miniato nel 1609 ; e potestà di Montevarchi nel 1612. Morì, ultimo del ramo , il dì 6 dicembre 1618, lasciando erede la sorella Vespucci.

Commentario della vita di Messer Giannozzo Manetti

著者
ヴェスパシアーノ・ダ・ビスティッチ
出版
1862年
引用サイト
Google Books

 Comincia l'orazione di messer Giannozzo Manetti e di Bernardo de' Medici, commissari generali del felice campo del magnifico comune e popolo di Firenze, fatta in domenica a dì XXX di settembre MCCCCLIII, quando e' diedero l'autorità del governo e 'l bastone, alla presenzia di tutto l'esercito, apresso alla terra di Vada, al magnifico signore e strenuo capitano, signor messer Gismondo Pandolfo della magnifica casa de' Malatesti.

 È può essere noto alle magnificenze vostre, magnifici signori, e voi altri strenui condottieri, come nella solennità del presente atto noi vogliamo e intendiamo dare e concedere, e così da ora si darà e concederà, l'autorità del governo universale di tutto il nostro esercito al magnifico signore e vittorioso capitano, signor messer Gismondo Pandolfo della famosa e gloriosa casa de' Malatesti: e benché noi ci troviamo così a cavallo qui, come voi vedete, in sulla campagna, dirimpetto e appresso alla terra di Vada, per cagione di riaverla e di ricuperarla, ci pare nondimeno convenevole e ragionevole cosa di dover procedere, sì per più gravità, sì eziandio per maggior onoranza, con qualche breve e ornato parlare (e non però sì breve, che ci possa essere imputato a mancamento) di tanta e sì solenne celebrità quanta è la presente. E perché la materia di che s'ha, e di che si conviene trattare, è di tale natura, ch'ella richiede d'essere trattata con qualche ordine, faremo col nome di Dio la nostra proposta, distinta per una trimembre e tripartita divisione, la qual sarà in questa forma: che noi diremo, prima della dignità e dell'eccellenza, insieme con l'emolumento e con l'autorità di questo nostro esercito; appresso soggiungeremo quali e quante siano quelle cose, che sono necessarie a qualunque uomo e sufficiente capitano d'ogni mediocre e di qualunque grande esercito; ultimamente mostreremo come per la convenienza e per il concorso di tutte le predette cose nella magnifica persona di questo novello nostro conducitore, noi, per commissione del popolo di Firenze, gli diamo e concediamo libero e generale governo di tutte le nostre genti d'arme, così da piedi come da cavallo, con ogni mero e misto impero, insino alla inclusiva possanza della vita e della morte di qualunque nostro sottoposto.

Memorie di Alfano Alfani

著者
Alfano Alfani
初版
1848年
引用サイト
Google Books

andata del quale sebbene taluni abbian mosso dubbio , non pertanto è asserita dal Maturanzio [1] ,

  1) Cronaca delle cose di Perugia manoscritta dal 1493 al 1503.

e ci dice anche il Pellini, che due Scrittori a penna Perugini ve lo mettono, e nei mandati delle provvigioni , che agli Oratori si fanno per mano del Notaro dei Signori Priori vi appare per Oratore annotato , e descritto . " [2]

  (2) Parte III a quest' anno.

Ma egli è certo , che mentre questi Ambasciatori , contata a Cesare Borgia la fuga dei Baglioni , e dei Vitelli loro alleati , dichiaravano la città suddita al Pontefice , e dimandavano , le soldatesche di lui non istanziassero nel perugino territorio , ed ei non permettesse , che i fuorusciti si accostassero alle mura della città, nè col suo furor vi rientrassero 3]

  (3) Fabretti. Vita di Gio. Paolo Baglioni .

( lo che Cesare promise , e non mantenne , come era immaginabile ) [4] ,

  4) Vedi App. Num. 15.

altri Ambasciatori trattavano poscia in contraria guisa a Roma con Papa Alessandro , conchiudendo , che i Baglioni , e loro seguaci volontariamente allontanatisi dalla città venissero dichiarati ribelli , tutte le loro robe fossero devolute alla camera , e i fuorusciti si rimettessero . I Deputati di Perugia , che ciò stabilivano erano Pietro Giacomo della Staffa , e Cammillo Baglioni cognato di Alfano 5] .

  (5) Questi può annoverarsi fra i soggetti illustri della nostra Perugia per lettere e per cariche sostenute. E l'Autorità del celebre Card. Bembo, che scrivendo al Card. Armellini diceva di amarlo, ed onorarlo grandemente , non è a tenersi di poco conto per giudicare dei suoi meriti . L'egregio Annibale Mariotti nella sua opera sugli Uditori di Rota Perugini, in cui ci lasciò buone notizie di lui, e il Lancellotti nella Scorta Sacra , erroneamente il fecero figlio di Alberto di Mariotto Baglioni, imperocchè dalle sue lettere che si posseggono da noi, abbiamo per certo esser fratello della moglie di Alfano, e per conseguenza figlio di Mariano Baglioni . Dopo aver atteso in patria agli studî , ed avervi presa Laurea di Legge, vi ottenne altresì una Cattedra fra le primarie di tale facoltà . Fin dal 1487 era Giudice del nostro Comune e sembra che dopol'Ambasceria a PapaAlessandro rimanesse col Della Staffa rivestito della medesima carica in occasione dell' esaltamento di Pio III. Tornato Camillo in patria continuò fino al 1517 ad esessere Professore. Quindi recatosi in Roma divenne Avvocato Concistoriale, e da Leone X creato Uditore di Rota nel 1518. Cesso di vivere nel 1534. Il Frollieri ancora nelle sue inedite Memorie sopra la Città nostra parla di questo assai celebrato Dottore di Legge. Una delle lettere del medesimo sù nominate dà la notizia della carcerazione del Vescovo, che presiedeva alla Chiesa di Perugia nel 1527 , e che era il Card. Agostino Spinola. Ecco le parole della lettera diretta ad Alfano. « Credo habbia inteso come il Card. , e Episcopo di Perusia è stato retenuto in ariesto ad istantia de Monsignor Revdmo Colorida in Domo, e palatio episcopali ; nè sta restrecto, et poi (può) parlare chi vole. »

stante le raccomandazioni , che di Giovan Paolo aveva a quegli avanzato l'ambasciator di Perugia, ad obbietto di scuoprire le sue intenzioni . E di fatto , avvenuto appena in sul cadere del 1502 quel memorabile tradimento , il Valentino medesimo appellato saviamente dal Giovio luc degli uomini , e pernicie dell'uman genere , dirigevasi con una lettera ai Perugini maestrati , perchè si liberassono dal giogo , che li opprimeva , e si dessero al Pontefice Che se ciò non facevano per amore saria stato costretto ad indurveli con la forza [1] .

  (1) Da Corinaldo in data 2 Gennaio 1503. Trovasi pubblicata nei documenti alla Vita di Malatesta IV Baglioni del dotto Prof. Vermiglioli , e quindi assai più corretta nel Volume dei Documenti ( pag. 456 ) alle Biografie dei Capitani Venturieri dell' Umbria del gentilissimo e valorosissimo nostro Fabretti .

A questo aggiugneasi lo sbigottimento surto nell' animo dei Baglioni medesimi , la loro fuga nelle vicine terre , l'esultare di molto popolo alla loro partita . Perugia allora obbediente ai Borgia sommettesi , e Nunzi di tal novella destina nel Gennajo 1503 Ambasciatori al Valentino in Sassoferrato Gentile Signorelli, uomo di molta reputazione [2] ,

  2) Costui fu in moltissime occasioni adoperato dai Perugini Magistrati per essere Ambasciatore o ai Pontefici o ad altri Sovrani.. Era figlio di un altro Gentile. Fu Capo di Palazzó nel 1470, 1477, 1502, 1507. Con Baglione Vibi andò a Roma, e con Sisto IV negozio, che Perugia non restasse priva del Celestialdono dell'Anello Nuziale della Vergine, motivo di disgusto terribile con i Senesi. Con Teveruccio 30 Signorelli fu del numero dei cinque per porta eletti per lo stabilimento della Giustizia, e venne anche ammesso fra i Sopraintendenti al Buon Governo. Fra le altre Ambascerie una ne ebbe con il rinomato letterato Perugino Amico Graziani, a Giulio II nel 1507 perchè si compiacesse vendere a Lorenzo Fieschi Genovese il Governo di Perugia.

ed Alfano Alfani , sull'

Num. 15. V. pag. 30.
Dalla Cronaca suddetta .

 « Et dicho commo con li prefati Ambasciatori ( l' Alfano , e il Signorelli ) venne uno messer Agabito Amerino Commissario del Ducha , el quale unacum lo Cardinale Arborense Legato perusino coram populo più, o più cose spusero scusando el tradimento , e offerendo a nostra Città sua facoltà . Et etiam che sua Sig.re non voleva usurpato el dominio de nostra Città da la Chiesa , commo già era stato ditto , cum mille altre cose, e qui fù visto chi sapeva bene parlare, e chi no , e el primo che qui respondesse, fù Mariotto de Alberto Baglione primo Priore , e Magistrato , e dopo questo fù M. Baglione ( Vibi ) , e poi M. Pietro Paolo de Raineriis , e dopo M. Matteo Francesco Cavaliere de l'aurata milizia figliolo di quel gran Monarcha, e famosissimo Dottore messer Joampetruccio de nobilibus de Montesperello , li quali eloquentissimamente , e ornatissimamente parlaro in tanto conseglio in modo che lor parole seriano da essere in scripto raccolte a memoria de tanto famosi cavalieri , e dottori . Ciò fù a dì 8 de Gennajo del dicto anno nella sala del Legato Perusino. Et a maggiore congratulazione el dicto M. Agabito fù recepto nel numero de nostre Cittadine , e Gintilomine. »

Num. 16. V. pag. 31.
Lettere di Cesare Borgia ad Alfano Alfani
( Ex Archivio Conestabile-Alfani )

1a
( A tergo ) Magnifico viro Alfano de Alfanis Perusiae Vice-Thesaurario Amico nostro charissimo S. R. E. Gonfalonerius , et Capitaneus Generalis

 Magnifice vir Amice noster charissime salutem . Quanto circa la inquisitione, recuperatione, et dispositione de tutti li beni mobili pertinenti alli Baglioni, et loro complici, et adherenti rebelli ad la Santità de nostro Sig.re, de novo ve exhortamo , et commettemove per questa lo exequité con quella sollecitudine, et integrità che de voi confidamo. Scrivemo ad lo Rev:mo S. Legato [1], pregando Sua Sig:ria ve presti qualunque opera favore, et adiuto recercarite, nè permetta per alcuno siate ad questo impedito , et che le predecte cose ad null'altra mano pervengano, et cossi confidamo fate con effecto, et darritece particulare adviso de quanto farrite, et se per alcun modo da qualsivoglia officiale ve serà in qualsivoglia modo occulto, directo, o indirecto contrariato.

  (1 ) Il Card. Arborense .

Providete anchora con la prefata R.ma Sig:ria et con li Mag:fici Priori, et in qualunque modo oportuno, che per dimane sia dato ordine , et modo sufficente in infrascripti lochi, in li quali semo de necessità constrecti alloggiare con questo nostro Exercito. [1]

  (1 ) Dopo'l' orribil tradimento di Sinigaglia il Valentino partitosi da quella città si dirizzò verso Città di Castello , e quindi venne a Perugia . Fù allora , che percorse Gualdo , Assisi , ed altri luoghi , ponendoli a sacco, nulla sottraendosi alla rapacità dei soldati , che commisero le crudeltà, più orribili .

 Datum Assisii VIII januarii MD.III Cesar Borgia de Franza Dux
Romandiolae Valenticque Princeps Hadriae
et Venafri, Dominus Plumbini. et.......
Agapitus.

2.a

 Magnifice vir. Commissarie noster Dilectissime salutem. Al nostro Majordomo havemo remessa la dispositione de le robbe che voi de nostra Commissione havete recuperate, e perseverate récuperare che pertinevano alli Baglioni, et in spetie commesso, che tutti quilli Grani, et Biada li mandi ad Augubio per supplimento de quilli nostri stati molto sforniti . Ad questo effetto lui manda l' apportatore de quista M. Joan Lulio familiare, et Commissario nostro, al quale ha dato ordine de quanto ha exequire circa le predecte cose. Per tanto consegnateli le robbe, et grani predicti per inventario del quale manderete copia al prefato Majordomo. Et se quella Magnifica Communità de Perosa forse recercarà parte del grano predicto semo contenti ne sia satisfacta, et che del prezo de quello el Majordomo ne compri altretanto in supplemento de li nostri súbditi , exhortandové ad ricercare quanto restasse da recuperarse de le cose predccte , e tra li altri dal Re.mo S. Legato, et da li soi, li quali non credano habino ad far retentione alcuna.
 Datum in Pontificiis castris ad Castellum Plebis XIIII januarii M.D. III [1]

  (1) Ottenute le Città di Castelto , e di Perugia, il Valentino dirizzò i suoi passi verso la Toscana , volendo con si grande occasione tentare d' insignorirsi di Siena . A tale obbietto partendo di quà andò prima ad alloggiare allo spedale di Fontignano , disfacendo ogni cosa in modo ( narra il Maturanzio ) che se potevano avere donne , tutte le portavano via . Audato poi con lo esercito a Castello della Pieve , ivi intesa la cattura del Card. Orsino ( appena udito il risultato della vicenda di Sinigaglia ) fece strangolare il Duca di Gravina , e Paolo Orsino , il cui sangue avea risparmiato il giorno della proditoria uccisione di Vitelozzo , e Liverotto. ― Maturanzio soggiunge che questo paese fù da loro lasciato tutto « robbato , e saccomannato in modo , che ad alcuna casanon se ne potevano serrare porte nè finestre; e havevano brusciato insino ai li terrate in modo che , tutte parevano casaline . » Degli uccisi su nominati dice , che furono sepolti commo villani .

Cesar Borgia etc...
Agapitus

3.a

 Magnifice vir Amice noster charissime salutem. Come per altro ve havemo scripto replicando per la presente ve recercamo, et stringemo ad mandare incontinente alla Rocha de Urbieto le robbe, etmassaritie recuperate, et da recuperarse che furono deli Baglioni al presente ribelli, adfinchè de quella se possa exequire l'ordine del nostro Majordomo in mandarle ad Roma per uso , et bisogno della nostra famiglia. Et bisognando, pregarite lo R:mo Monsig:re el Legato, che per amor mio non voglia differire de farve subito consegnare ad tale effecto le cose tolte da li soi. Li grani volendoli pure quella communità, recuperate li prezi , et remetteteli al prefato Majordomo nostro . Datum in Pontificiis castris ad Sarteanum XXI januarii MDIII Caesar etc...
Agapitus.

4.a

 Magnifico Alfano, molto ce meravigliamo, et dolemo, che fino ad mo non habiate dato effecto ad quantodal nostro Maiurdomo ve è stato ordinato , et commesso da parte nostra circa li beni mobili, et fructi pertinenti a li Balioni et soi seguaci rebelli, et traditori de la Sanctità de nostro Signore maxime che da ogni altra parte che da Perosa se è exeguito quanto havemo commesso circa li beni de simili Rebelli, et non restando ad haverse se non quelli de Perosa, che dovevano essere li primi. Del che non possemo imputare altri che voi, el quale non fate la debita diligentia, o se altri ve obsta non ce advisate del tutto . Commettemove per la presente, et commandamo che subito a la receputa d'essa exequishiate tutto quello che da esso nostro Maiurdomo ve è stato imposto, come più ad pieno ve exponera el nostro Dilectissimo servitore, et credensere Hieronimo Sotto, non havendo respecto ad homo del Mondo.
 Datum in Castris Ponteficiis ad Montem Flasconem IIII Feb. MDIII [1]

  (1) Era a Montefiascone il Valentino , perchè per consiglio ancora del padre , non potendo insignorirsi di Siena , pensò ridursi con l'esercito nelle terre di Roma .
 Tutte le lettere qui riportate come le altre rimaste inedite sono segnate di pugno nel nome di Cesar . L'ultima è scritta il 2 Agosto 1503 , cioè pochi giorni innanzi il casuale avvelenamento del Pontefice , e del Valentino in una vigna presso il Vaticano . Donde procedè la morte di Alessandro . ― Una di esse lettere in data 14 Ottobre 1500 parla del sussidio di una cisterna da concedersi al famoso pittore Perugino Bernardino Pinturicchio , qual sempre ( dice Borgia ) havemo amato per le virtù sue , e l' havemo nuovamente riducto a li servizi nostri .

Cesar etc.....
Agapitus

Num. 17. V. pag. 32.
( Ex eodem Archivio )
( a tergo ) Spectabili viro Thesaurario perusino Amico nostro charissimo.
Episcopi, Presbiteri, Diaconi } Sanctae Romanae Ecclesiae Carles

 Miseratione divina Episcopi Presbiteri Diaconi Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinales . Spectabili Viro Thesaurario perusino salutem Ex pluribus literis tum Gubernatoris , tum Nobilium perusinorum cognovimus quantopere exititi perusini omnem agrum , et comitatum perusinum infestant, solum ut Perusiam cum amatorum multitudine ingredi possint . Et quoniam nos ipsius civitatis , quae inter alias civitates , et loca Sanctae Romanae Ecclesiae a nobis plurimi fit , salutem , et quietem optamus, cum presidium armigerorum , et peditum quod idem Gubernator , et Nobiles a nobis petierunt, prestare non possimus , vobis tenore presentium committimus , et mandamus , quatenus pro presidio hujusmodi aliquam moderatam tamen pecuniae quantitatem exolvatis , et ipsimet Civitatem ipsam ab hujusmodi exitiorum vi , et impetu sese, et Civitatem ipsam tueri possint . Bene valete.
 Datum Romae die XXX Augusti MDIII sub sigillis nostrorum Trium in ordine priorum Hen. Tarentinus

(a tergo ) Reverendo patri Domino Gubernatori , et prioribus de Nobilibus perusinis Amicis nostris charissimis
Episcopi, Presbiteri, Diaconi } Sanctae Romanae Ecclesiae Carles

 Miseratione divina Episcopi etc..... Cardinales Reverendo patri Domino Gubernatori, et Nobilibus perusinis salutem, et sinceram in Domino charitatem . Presidium quinquaginta Armigerorum , et Tricentorum peditum , quod a nobis petiistis , mittere nullo modo possimus . Sed quia istius Civitatis , et vestrum omnium salutem charissimam habemus , Thesaurario perusino literas alligatas scribimus , ut de pecuniis Camerae Apostolicae aliquam honestam quantitatem pro hujusmodi presidio comparando exolvat . Hortamur vos , ut postquam hujusmodi presidio fulti eritis , salutem communem istius Civitatis defendatis . Bene valete . Datum Romae die XXX Augusti MDIII sub sigillis nostrorum Trium in ordine priorum . Hen. Tarentinus

Rerum Italicarum Scriptores

初版
1723年
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 Queſti di ſottoſono degli Ammoniti del 1456. Franceſco di Goro di Savino Cataſta, Vettorio di Bartolomeo di Giacoppo Petrucci Antoniodi Giacoppo Petrucci, Pandolfo di Giacoppo Petrucci, Antonio di Miſs. Antonio Petrucci, Niccolò di Miſs. Antonio Petrucci, Criſtofano di Pietro di Ghino Belanti, che era Ribello a Viterbo, Miſs. Tommaſſo Micheli, Tommè d'Antonio di Goro, Franceſco di Tancredi, Pavolo di Drea Bargagli, Franceſco di Biagio di Dino, Jacomo diMariano Tommaſi, Niccolò di Ballati, Alfonso di Ser Lorenzo di Giuſa Giovanni di Buccio di Francio, Dota di Giovanni Fei,

 Adì 15. di Luglio 1457. fu tagliata la tefta a ...... di Maestro Franceſco Albertini , a Biagio di Franceſco di Dino , Andrea di Checco di Luca , e a Neroccio di Goro di Ser Neroccio , e a Buccio di Francio di Buccio , a Ranieri di Goro di Savino del Cataſta , e a Pietro di ſta , e a Pietro di Miſſier Antonio da Batignano a piei el Palazzo del Podestà di Siena ; equeſta è ſtata aſſai bella vettoria per una volta . Iddio ci ajuti , che n'abbiamo grandiffima neceffita.
 Fur fatti ancor Ribelli , e confinati , non baſtando la morte de' morti , ma eziam volſero vedere , che i vivi viveſſero morendo ; e però i Ribelli fur queſti . In prima , Miſſier Antonio di Checco Roffo Petrucci , el quale faceva l'arte del Soldo , ed aveva provifione da i Fiorentini , Miffier Mariano Bargagli , Gigliozzo Micheli , Giovanni Saragivola con quattro figlj , Ghino Belanti con quattro figlioli , e nipoti , Criſtofano di Petro di Ghino Belanti , e Antonio di Girolamo . E fero 12. Confinati , cioè : Bartolomeo di Giacoppo Petrucci , e Giacoppo fuo figlio a Piſa , Guido di Salveſtro a Lucca, Lodovico Trecerchi a Cremona , Antonio , e Savino di Goro di Savino Cataſta a Bologna , Antonio di Goro di Franceſco a Scrofiano, Placido di Domenico a Sciano , Miſſier Franceſco Patrigi , Pietro di Nofrio , Pietro di Jacomo di Gionta , Ricciardo Belanti a Menzano , Mariano Tommaſi Aldobrandino di Berti , e Pietro di Biagio di Franceſco di Dino , che ſono 14.

Del magnifico Lorenzo de' Medici: cronica. Colla Storia Genealogica Di Questa Illustre Casata

著者
Gherardo Bartolini Salimbeni
初版
1786年
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... Cocco ; la prima fu Fresca de ' Cavalieri del Pecora , la seconda Marietta ; delle quali ebbe la feguente figliolanza .
 CLEMENZIA di Cocco , sposata a Ranuccio da Farnese .
 FRANCESCA di Cocco , maritata con gran pompa a Niccolò Martinozzi , ed ebbe in dono per le sue nozze 1800. fiorini d'oro da Mefs . Agnolino di Giovanni Salimbeni , e da Niccolò suo figliuolo , nel 1428. come cofta dall ' istrumento riportato sotto il nome di detto Mefs . Agnolino . Fece teftamento il dì 19 d'Aprile del 1440. e fae eredi istituì Agnefe , Beatrice , e Pantafilea sue sorelle , veduto , e citato dal Cavalier Pecci .
 BIANCINA , cioè forse Beatrice , di Cocco , nominata nel detto teftamento di Francefca . Da Beatrice deriva il diminutivo Bice , e da Bice forse fu detto Biancina , o Biacina per vezzo .
 PANTASILEA di Cocco , fu moglie fucceffivamente di tre gran Generali d'armate ; di Bartolommeo d'Alviano Generale de ' Veneziani , di Gio . Paolo Baglioni Signore di Perugia , e di Pandolfo Baglioni Signore di Spello . Ugurgieri , Pomp . San . Par . 2. pag . 411. Sanfovino , Famigl . ed Enea Silvio Piccolomini .
 AGNESE di Cocco , a Rinaldo Pecci Sanefe ; anch'ella coerede inftituita da Francefca .
 ANTONIA di Cocco , maritata al sopramentovato Sforza Signore di Cutignuola ; del qual maritaggio così favella il Malavolti , Lib . 10. Par . 2.4 196. t . dopo le parole già riportate :

La Città di Chiuci con alcune Terre fu da Cocco data poi per dote di Madonna Antonia fua figliuola mari tata a Sforza da Cutignuola , effendo morta Madonna Lucia di Ferzano altra fua moglie , della quale ebbe il dì 23 di Giugno 1400. Francesco suo primo figliuolo , che fu Duca di Milano dopo Filippo Maria Visconti suo fuocero , e di quel matrimonione nacque nel Castello di Montegiovi Buogio , ( o Buoso ) ultimo figliuolo di Sforza , il quale per mezzo di una figliuola del Conte Iacomo Aldobrandefchi , che dal Comun di Siena suo tutore gli fu data per moglie , acquistò la Con tea di Santa Fiore , che tengono ancora hoggi i fuoi fucceffori di cafa Sforza .

Si vide altresì coll'autorità dello fteffo Scrittore , che Antonia pure era vedova di Francefo II . da Cafale Signore di Cortona quando fposò Sforza . Di quefto contratto dotale ne efiftea l'originale Strumento nell ' Archivio de'Signori Marchefi Bartolini Salimbeni , come fi diffe più fopra , rimafovi peravventura nella morte di Cocco . V. Ugurgieri , Pom . San . Par . a . pag . 406 . Corio , Stor . Mil . Par . 4. a 304 .
 STRICCA di Cocco , non può effer quegli , che con Agnolino detto Bottone ammazzarono Mess . Francefco Tolomei con un suo figliuolo , ed un suo nipote , perchè ciò seguì nel 1332. molto prima che quefto Stricca foffe nato . Vedi il Malavolti , Lib . 5 . Par 2.
 SERPEDONE di Cocco , fi accasò con Genosetta Orsini de ' Conti di Sovana ; ma fecondo l'Albero del Cav . Pecci , in lui terminò tutta la difcendenza di Mefs . Cione di Mefs . Brettacone , e fembra , che e ' moriffe affai giovane , avendo Cocco suo padre difpofto , in titolo di dota dell ' Antonia fua figliuoJa , di tutte le sue Terre , e Caftella , e ragioni a favore di Sforza degli Attendoli da Cotignuola suo genero , e fatto uno innefto reciproco di famiglia con ello . Anzi bifogna , che egli foffe morto prima di detto accafamento , perchè nell ' Articolo VIII . fi dice , che morendo Cocco Jenza figliuolo legittimo , e naturale , e fopravvivesse la detta Antonia fua figliuola dopo effo Cucco , in tutto fucceda la medefima Antonia , ed i fuoi figliuoli , ec . Donde fi vede , che a quell ' ora Cocco non avea più in vita figliuoli maschi . Torniamo a ' figliuoli di Mess . Brettacone , generati da Donna Arminia Malavolti .
 38. FR . ANGIOLO di Mess . Brettacone Religiofo dell ' Ordine di S. Francesco .
 MESS . ALESSANDRO di Mess . Brettacone , Proposto della Cattedrale di Siena , Teologo assai rinomato . Erano gli anni di Cristo 1330. quando i Salimbeni viveano in tranquillità , nè fi guardavano da ' Tolomei loro nimici , per la tregua , alla quale il Duca di Calabria gli aveva sottoposti . Sotto quella riputandosi ficuri , tornavano di Valdorcia Mess . Benuсcio ( egli è del Ramo de ' Benucci , del quale parlereremo ) eccellente Poeta de tempi suoi , e Mess 154 DELLA FAMIGLIA.

Jeanne de France, duchesse d'Orléans et de Berry (1464-1505)

著者
René Maulde-La-Clavière
初版
1883年
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 Le roi donnait à Jeanne de France le duché de Berry, à titre d'usufruit , avec les revenus des greniers à sel de Bourges , de Buzançais, de Pontoise, le revenu des aides et impositions de Berry, et le droit de nommer aux offices royaux, sauf au commandement de la Grosse-Tour de Bourges dont il se réservait l'administration comme prison d'État . Le roi détachait du duché Mehun-sur-Yèvre , Vierzon et Issoudun qui en avaient autrefois fait partie , et il y ajoutait les terres de Châtillon-sur- Indre¹ et de Châteauneuf- sur-Loire.

 Anne de Bretagne prenait grand soin de ses demoiselles d'honneur et elle avait l'habitude de pourvoir à leur établissement ; sous sa direction , la cour de France devint comme une pépinière de reines au roi de Hongrie elle maria la jeune Anne de Candale qui ne cesse pourtant de regretter les rives de la Loire et meurt à la fleur de son âge ; à Ferdinand d'Aragon , veuf d'Isabelle- la- Catholique, elle donne Germaine de Foix . Anne élevait aussi sous ses yeux la princesse de Tarente , Charlotte d'Aragon , fille de Frédéric III , roi dépossédé de Naples . C'est sur cette jeune fille que César Borgia, autorisé par Louis XII à se choisir une femme, avait jeté les yeux ; mais il fallait le consentement de Frédéric jamais César ne put l'obtenir, et l'année suivante Charlotte prit pour époux un simple gentilhomme, Guy de Laval, dit le seigneur de la Roche. Repoussé de ce côté , Borgia porta son choix sur une femme spirituelle, gracieuse, accomplie de tout point, Charlotte d'Albret , fille du sire Alain d'Albret, et le roi dut tout mettre en œuvre pour remplir sa parole.
 C'est ainsi qu'un roi bon , doué d'un tel cœur que, suivant un panégyriste, il n'eût compté pour rien son propre salut s'il n'assurait en même temps celui de ses sujets *, un prince doux et aimable qui, deux mois auparavant , se plaignait pour son compte des violences de Louis XI et en donnait comme preuve la manière dont ce prince avait pesé sur Alain d'Albret pour le mariage de sa sœur avec un homme d'un rang médiocre mais honorable , Boffile de Juge, ce même Louis XII débutait dans la royauté en pesant d'une manière identique sur le même Alain d'Albret pour obtenir qu'il sacrifiât sa fille à des intérêts politiques ou même à des intérêts financiers, qu'il la jetât dans les bras d'un aventurier hier encore en soutane et que la rumeur publique désignait comme un scélérat.

  * Suardi Panegyris. Bibl. nat. , mss. latin 13840 , fo 51 .

 Le cœur se soulève au récit de ces noces monstrueuses et l'on peut croire que le roi dut tout le premier en ressentir le dégoût. L'exercice du pouvoir a de ces châtiments pour ceux qui en sont revêtus et qui en ont ardemment convoité les jouissances . Le châtiment de Louis XII était patent et public.
 Le cardinal d'Amboise s'entremit pour le mariage de Borgia et figura comme témoin du contrat de l'homme qui lui avait apporté son chapeau. Certes , le sire Alain ne céda pas sans difficultés d'abord il refusa absolument, puis il adressa au roi un de ses serviteurs , homme d'habile esprit, Jean Calvimont, pour faire valoir ses motifs de refus . Mais Calvimont avait trop d'esprit ; l'on en vint à bout au moyen d'un office au Parlement de Bordeaux . D'un autre côté , on fit jouer le ressort de l'argent ' ; le pape intervint pour assurer à César deux cent mille écus d'or et promettre le chapeau de cardinal à Amanieu d'Albret² ; le roi lui-même cautionna César pour une somme de cent mille livres qui devait être employée à l'achat de beaux domaines pour le nouveau ménage ; Alain , dont l'existence avait connu tant de déboires , céda enfin, accablé par ces libéralités , et immola sa fille . Dans le contrat solennellement passé en présence du roi et de la reine , le 10 mai 1499, le roi déclara qu'il voulait ce mariage, « adverti des grands et recommandables services que [ César] a faict à luy et à sa couronne, et qu'il espère que ledit duc, ses parens , amis et aliés luy fairont au temps advenir..... et aussy pour les grands biens et vertus que ledit seigneur cognoit estre en la personne dudit duc . »

  1 Une ordonnance d'avril 1499 érige le Valentinois en duché et assure à César en cas d'éviction une indemnité de 115,000 livres , sans compter 50,000 écus d'or que le roi déclarait que César lui aurait prêtés. En mai 1499 , Louis adopte César et lui donne pour armes l'écu de France ( Bréquigny, XXI, p. 210, 227) .

  2 L. de Lincy, Vie d'Anne de Bretagne, t . I , p. 169.

  3 Bibl. nat. mss . Doat, 227 , fo 194, 198. Cette sommene fut payée que bien plus tard elle n'était pas encore versée le 30 mai 1505 . (Doat, 228 fo 194.)

  Doat, 227, fo 187-193. Le contrat réglant le régime matrimonial des époux fut signé le même jour (ibid, fo 200-202) .

Le langage officiel a de ces euphémismes et de ces fleurs .
 Les noces s'accomplirent au milieu des quolibets de la cour. Point de mauvaises plaisanteries que l'on ne se permît à cet égard. César Borgia s'étant adressé à un apothicaire , le jour même du mariage, pour avoir je ne sais quelles pilules , celui-ci s'amusa à lui en confectionner de purgatives. On peut penser si ce fut un bruit public et si le lendemain les dames de la cour s'empressèrent de s'en gaudir¹ .
 Et comme l'expérience, même la plus dure, n'a jamais guéri personne, Anne de Bretagne s'adonna avec une nouvelle ardeur à l'art de pratiquer des mariages, et cela au point qu'elle obtint du pape un privilège tout particulier : le droit de marier les filles ou femmes de sa maison partout où elle se trouverait et sans aucune publication préalable * .
 L'Heptameron ' nous a même conservé , sous des noms déguisés , le récit d'un roman touchant qui montre avec quelle énergie la reine entendait guider le cœur de ses jeunes filles . Anne de Rohan était bien proche parente de la reine , mais, comme sa maîtresse lui montrait peu de faveur, personne ne la demandait en mariage et elle voyait sonner ses trente ans. Elle s'éprit d'un pauvre gentilhomme, Louis de Bourbon, fils bâtard de l'évêque de Liége , comme elle malheureux, et qui demeurait sans parti .

  1 Mémoires de Fleuranges, ch. IV.

  2 Bulle de 1506 , orig . Arch. de la Loire-Inférieure, Tr. des Chartes, E, 39 ( bulle pendante sur lacs de soie jaune et rouge) .

  3 30 journée, nouvelle XXI.

La commune souffrance de leurs cœurs les rapprocha , et bientôt , déjouant par mille artifices la surveillance de la cour, ils arrivèrent à se voir souvent et à échanger les plus tendres serments. On surprit un jour le secret de cette intrigue ; la reine , toute courroucée, traita la pauvre demoiselle avec une rudesse sans égale ; elle l'appela malheureuse et commanda qu'elle fût éloignée d'elle et mise dans une chambre à part où elle ne pût parler à personne.
 Anne de Rohan se défendit avec tout l'élan d'un cœur passionné : « Que si j'avais offensé Dieu, le roi, vous, mes parents, ma conscience , s'écriait- elle , serais bien obstinée si de grande repentance je ne pleurais ; mais d'une chose bonne , juste et sainte , dont jamais n'eût été bruit que bien honorable , sinon que vous l'avez trop éventée et fait sortir un scandale qui montre assez l'envie que vous avez de mon déshonneur être plus grande que le vouloir de conserver l'honneur de votre maison et de vos parents, je ne dois pleurer………... >>
 La reine lui reprochait son obstination : <« Madame, vous êtes ma maîtresse et la plus grande princesse de la chrétienté..... Commandez, et Monsieur mon père, quel tourment qu'il vous plaît que je porte ..... Mais j'ai un père au ciel , lequel , je suis sûre , me donnera autant de patience que je me vois de grands maux par vous préparés , et en lui seul j'ai ma parfaite confiance . >>
 On ne put l'ébranler. Louis XII , que le bâtard de Bourbon alla supplier d'autoriser son mariage, ne se laissa pas émouvoir. Il donna au contraire l'ordre d'arrêter le bâtard qui, heureusement, s'enfuit à temps . Renvoyée à son père, la malheureuse Anne se vit renfermer dans un château perdu au fond d'une forêt . Longtemps elle y resta ; bien des années, son tendre amour, fidèle au héros de ses rêves, envoya au loin un constant souvenir et refusa de reprendre sa foi. Un jour, elle apprit que son bâtard venait , de l'autre côté du Rhin, d'épouser une Allemande, et peu après qu'il venait de mourir misérablement. Anne, brisée , se réconcilia alors avec son père qui la reçut bien et lui donna un asile dans sa maison. A la fin , elle fut demandée en mariage par un de ses cousins Pierre de Rohan- Gié et, déjà presque âgée de quarante ans, elle l'épousa.
 Tels sont les mariages des cours l'amour y a peu de part et les rois, de tout temps, se sont cru le droit de disposer du cœur de leurs sujets , même quand l'expérience de la vie devait le plus leur conseiller de s'abstenir.

記載日

 2011年9月17日

更新日

 2024年11月15日